martedì 16 dicembre 2014

IL GIORNALISMO COME MERETRICIO






Scritto da: Gianni Petrosillo (04/12/2014)


Il giornalismo è da sempre un’ancella di chi comanda. Governino i gobbi o gli storpi, i ladri o i farabutti, come scriverebbe Balzac, questi saranno inevitabilmente bellissimi e moralmente irreprensibili sulle colonne dei giornali. Ovviamente, a patto che occupino posizioni di rilievo nei consigli d’amministrazione delle testate o nella scala gerarchica della società. La verità costa cara ed è un investimento che non tutti possono permettersi nei nostri sistemi democratici e capitalisti. La verità come proprietà privata, anche se con sovvenzionamenti pubblici. La verità è un prodotto come un altro e c’è chi la produce e chi la consuma senza preoccuparsi troppo del suo sapore, l’importante è che sia appetibile perchè ben confezionata. Per questo non siamo mai sorpresi dalla maniera in cui i fogliacci ci raccontano la realtà, o meglio non siamo meravigliati dalle svariate modalità alle quali ricorrono per fabbricare gli eventi, a loro uso ed abuso, imprimendo sui loro resoconti il marchio di garanzia della “loro” verità.

E’ tutto vero perché il vero è semplicemente un momento del falso, in un mondo rovesciato, come diceva Debord. Oppure, si potrebbe anche dire, che è vero che tutto è falso sui giornali, ed è questa l’unica verità incontrovertibile che ci spetta dalla carta stampata. Il sacerdozio ridotto a meretricio. Quando un giornalista afferma che scopo del suo lavoro è raccontare i fatti per quelli che sono sta già mentendo spudoratamente. Perché i fatti non sono nulla se non vengono interpretati nella loro dinamica particolare e nella connessione plurale con altri accadimenti e circostanze del passato e del presente. Ma poiché ogni pessimo giornalista è anche un po’ filosofastro, costui cerca di persuadere il prossimo che l’obiettivo della sua professione è la ricerca della Verità (scritta rigorosamente con la maiuscola). Soltanto che mentre il giornalaio di professione s’incammina e ricerca finisce inevitabilmente per perdersi nei corridoi del veritierificio giornalistico, dove la verità è, prima di tutto, un prodotto editoriale al costo popolare di euro 1,40, o giù di lì.

Facciamo qualche esempio a supporto di quanto detto. Quando agli inizi degli anni ’90 scoppia tangentopoli, tutti i quotidiani sposano un’unica versione dei fatti. Il regime istituzionale del Paese era marcito dalla base, ogni partito (o quasi) era corrotto, rubava, sperperava denaro pubblico, corrompeva, intascava tangenti e s’approfittava del popolo italiano.

Si salvarono unicamente quelle forze per le quali i nostri padroni mondiali avevano altri programmi. Insomma, nessuna novità eclatante ( lo vediamo benissimo ora che le cose non sono cambiate e che semmai sono peggiorate, con ampia trasversalità di furfanterie), eppure, d’improvviso, quello che si era finto di non vedere per lustri si elevò al rango di notizia da pubblicare, ripubblicare e ingigantire ogni volta. Quello che per decenni non aveva suscitato scandali, perché affine alla riproducibilità dell’intera classe dirigente italiana, in un certo contesto di rapporti di potere interni ed esterni al Paese, con congrui vantaggi per gli stessi giornalisti, opportunamente da sdraio quando conveniva ed altrettanto inopportunamente diventati d’assalto quando l’aria iniziava a cambiare, diventò d’emblée intollerabile ed indecoroso.

Se non ricordo male, fu Vittorio Feltri a rivelare che i direttori delle principali testate, anche di tendenze avverse, si consultavano per i titoli del giorno dopo, al fine di amplificare determinate informazioni o sottacerne altre. L’intento era di fomentare l’odio dei cittadini verso Esecutivo e Parlamento, per rovesciare gli assetti costituzionali. Tra giornalismo e putschismo caddero le distinzioni.  Roba eversiva che aveva una regia esterna alle redazioni e alla stessa nazione. Golpe di Palazzo lo definì il socialista Rino Formica. Qualcuno aveva deciso che il regime DCI-PSI aveva esaurito la sua funzione storica. Andreotti lo aveva previsto già dopo l’unificazione della Germania che egli giudicò una jattura. I giornali furono investiti di un onere sedizioso che ossequiosamente e servilmente svolsero, gettando fango sui vecchi intoccabili della I Repubblica e fumo negli occhi alla gente, ovunque occorresse e per il tempo necessario a rovinare la carriera di chi si opponeva al complotto (perchè di questo si trattò).

Zero prigionieri tra gli uomini più in vista dei partiti di governo e ampio spazio ai nuovi eroi del repulisti giudiziario. Guardate che bordello è adesso lo Stivale e saprete chi ringraziare.

Uguale tecnica calunniosa e menzognera viene usata attualmente dalla stampa contro la Russia di Putin e contro quei movimenti (anti)europei che si candidano a spostare l’asse delle alleanze nazionali e internazionali dei loro contesti di riferimento, sottraendosi dalla gravitazione atlantica. La Lega di Salvini è stata oggetto di tali attacchi concordati tra Corriere, il Fatto, La Repubblica, La Stampa ecc. ecc. per il suo avvicinamento a Mosca. Stessa trattamento in Francia a Marine Le Pen accusata di prendere soldi illegalmente da una potenza straniera. Sono fioccati articoli tendenziosi che sembrano scritti tutti dalla medesima penna, per mettere in cattiva luce i leader, i parlamentari e i funzionari di partito che hanno avviato un dialogo più costruttivo con il gigante dell’Est, contravvenendo ad un diktat della Casa Bianca.

Le parole d’ordine, rilanciate da questi scribacchini, sono prefabbricate e pensate apposta per imprimere un marchio d’infamia indelebile sulle scelte politiche degli avversari, non collimanti con quelle dominanti in occidente, senza alcuna possibilità di contraddittorio. Accuse di razzismo, di fasciocomunismo, di sessismo ecc. ecc. sono maldicenze dalle quali non ci si può difendere, perchè si resta comunque infettati. Semper aliquid haeret. Prendete l’articolo di qualche giorno fa di Pieluigi Battista sul Corriere e troverete tutti questi luoghi comuni del politicamente corretto russofobo e filo-americano condensati in poche righe.

La democrazia è sempre in pericolo, per i sacerdoti liberali e liberisti, quando qualcuno non è in linea con le tavole sacre di Bruxelles o Washington. Il giornalista Lib-Lib (liberticida-libertino, questa l’effettiva dicitura nonostante tutte le arie che si dà il tipo) è il monaco guerriero che protegge il santuario della democratura. Poi però lo stesso afflato democratico si sopisce di fronte ad un fatto gravissimo che discrimina i russofoni in uno Stato candidato ad entrare nell’Ue. Parliamo della Moldova dove prima del voto sono state oscurate le trasmissioni russe ed il principale partito di opposizione all’ingresso nell’Ue, Patria, è stato messo fuori legge, tanto che il segretario è dovuto fuggire per non essere incarcerato. Per non commentare ancora dell’Ucraina (ne abbiamo detto abbastanza in questi mesi), Stato fantoccio in mano ad oligarchi, squadristi e ministri con passaporto americano, sorto da un golpe finanziato dalla Nato, allegramente sostenuto da Battista e dal suo giornale.

Saltando alle conclusioni dovremmo sostenere che Battista è un collaborazionista nazionalsocialista ucraino. Ma noi non ci facciamo offuscare gli occhi dai veli ideologici d’antan e non cadiamo nel misero tranello degli opposti estremismi che si toccano e si baciano. Battista lo vediamo nudo e crudo per quello che è: un altro giornalista a quattro zampe che scondinzola ai suoi padroni ameri-cani. Lui come tutti quelli che appartengono alla casta sacerdotale del culturame prezzolato della propaganda a mezzo stampa.

Fonte: visto su CONFLITTI E STRATEGIE  del 4 dicembre 2014
Link: http://www.conflittiestrategie.it/il-giornalismo-come-meretric

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