Mario Monti
Se Monti capisce di economia come capisce di
Università, siamo a posto! Ma non è stato perfino Rettore alla Bocconi? O era
troppo occupato con il Bilderberg e con la Trilaterale? E intanto, a farne le
spese è l'istruzione italiana. Meno cultura, meno consapevolezza dei propri
diritti e più lavoro sottopagato: lentamente, il modello cinese si avvicina.
di Valerio Valentini
Stringe il cuore vedere il presidente del consiglio Mario
Monti darsi così tanto da fare per gli universitari italiani, sbattendo i pugni
per permettere agli Erasmus in giro per l’Europa di poter votare alle prossime
elezioni: “Bisogna
fare tutto il possibile per consentire loro il diritto di voto”, aveva
sobriamente ribadito ai suoi ministri Cancellieri e Terzi di Sant’Agata. Forse,
però, un po’ troppo sobriamente. E infatti tre giorni dopo il Consiglio dei
Ministri ha bloccato tutto: non ci sono i tempi tecnici. L’Erasmus, del
resto, esiste soltanto dal 1987.
La responsabilità, va precisato, non può certo ricadere
soltanto su Mario Monti il quale, al massimo, è colpevole di non aver fatto
nulla per adeguare una legge ormai avariata per quanto riguarda le modalità di
voto dall’estero. Una legge tra le più arretrate di tutta l’Unione Europea, la
quale evidentemente è un modello a cui guardare solo quando si parla di banche
e finanza. Ma, al di là della questione degli studenti Erasmus, che
idee ha il professore Mario Monti sull’Università italiana?
Leggendo l’Agenda
Monti ci si può fare qualche idea. Va subito detto che, per essere stata
scritta - si presume - da un professore universitario, nonché ex presidente di
una prestigiosa università (privata), la superficialità con la quale viene
trattato l’argomento è un po’ stupefacente. O, se volete, sconcertante. Ci si
aspetterebbe di trovare – entro i limiti concessi da un documento di 25 pagine,
ovviamente – un’analisi tecnica accurata e meticolosa, che esponga problemi non
noti ai non addetti ai lavori e proponga soluzioni illuminanti. E invece su
quelle pagine non c’è nulla che non avrebbe potuto scrivere un qualunque
italiano cercando su google: “problemi università italiana” e spendendo
mezzora a leggere qualche statistica, oppure pescando a caso nel repertorio dei
cliché. Un esempio? “C’è bisogno di invertire la rotta. Per questo bisogna
prendere l’istruzione sul serio”. (Il commento a quest’affermazione tanto
arguta lo trovate qui).
Il tutto diventa ancora più assurdo se si confrontano
le miracolose soluzioni di Monti con le disposizioni prese dal suo governo
negli ultimi mesi. Scrive Monti: “Serve rompere uno schema culturale per cui il
valore dello studio e della ricerca e il significato della professione di
insegnante sono stati mortificati. Gli insegnanti devono essere rimotivati e il
loro contributo riconosciuto”. Sarà stato per questo motivo che Monti qualche
mese fa aveva dapprima proposto di portare da 18 a 24 le ore settimanali di
servizio dei docenti, e poi li aveva bollati come
dei corporativisti animati “da spirito conservatore” a causa della loro
“indisponibilità a fare due ore di lavoro in più”. Scrive ancora Monti: “investire in capitale
umano è la strada per sfuggire alla morsa della competizione di Paesi con costi
di manodopera più bassi”. Investire in capitale umano? Ma Monti lo sa che la
sua revisione di spesa (perché chiamarla “spending review”?) ha tagliato 200
milioni al Fondo di Finanziamento Ordinario dell’Università, imponendo un
nuovo blocco del turn-over e riducendo drasticamente (di circa il 40%)
la possibilità di nuove assunzioni?
Tuttavia, leggendo tra le righe, forse si capisce
qualcosa in più circa i progetti futuri di Monti sull’Università. Si potranno
creare, chiarisce il professore, “nuovi spazi per investimenti nell’istruzione”
soltanto “man mano che si riduce il costo del debito pubblico e si eliminano
spese inutili”. Cioè, più o meno, tra qualche secolo. Tanto più che di sprechi
Monti ne ha tagliati pochini (province? rimborsi elettorali? rimborsi spese
parlamentari?); quanto al debito pubblico, erano
quindici anni che non aumentava ad un ritmo così vertiginoso: oltre 15
miliardi al mese.
E ora veniamo alla parte più sorprendente. Scrive
Monti: “Bisogna rilevare per ogni facoltà in modo sistematico la coerenza degli
esiti occupazionali a sei mesi e tre anni dal conseguimento di laurea, rendendo
pubblici risultati”. Al di là del fatto che è discutibile l’idea di istituire
una classifica dei vari atenei italiani sulla base di quanti dei laureati di
quell’ateneo vengono immediatamente assunti, Monti parla di “facoltà”.
Facoltà? Ma non lo sa, il professor Monti, che le facoltà, di fatto, non
esistono più? E mica da ieri. Sono state abolite nel 2010, dalla
famigerata riforma Gelmini. Il punto C del secondo comma della legge numero 240/2010,
infatti, prevede la loro sostituzione con “strutture di raccordo, comunque
denominate, con funzioni di coordinamento e razionalizzazione delle attività
didattiche”. Ora, che uno sprovveduto cittadino che si occupa di tutt’altro
nella vita, possa non conoscere questo dettaglio è comprensibile; ma che ad
ignorarlo sia un esperto del settore, che per giunta aspira a governare il
Paese anche con l’obiettivo di rilanciare l’Università italiana, forse è un po’
meno ammissibile.
Ma forse una giustificazione a Monti la si può
concedere: magari la riforma Gelmini non l'ha letta. O, se l’ha letta,
l’avrà fatto distrattamente, mentre era indaffarato in uno dei ritrovi del
Bilderberg. Lo dimostra un
articolo che scrisse nel gennaio del 2011 per il Corriere della Sera,
quando ancora non era premier ma cominciava già a formulare profezie da
Sibilla.
Scriveva Monti che in Italia l’illusione marxista e la
mancanza di una cultura autenticamente liberale avevano ostacolato le riforme
volte alla competitività. Un ostacolo, questo, tuttavia superabile, a
giudizio di Monti. “L'abbiamo visto di recente – affermava il professore
– con le due importanti riforme dovute a Mariastella Gelmini e a Sergio
Marchionne. Grazie alla loro determinazione, verrà un po' ridotto l'handicap
dell'Italia nel formare studenti, nel fare ricerca, nel fabbricare automobili”.
L’abbiamo visto, infatti, professore... L'abbiamo visto.
Fonte: srs di Valerio Valentini, da http://www.byoblu.com,
del 26 gennaio 2012