Lo squadrismo fu un fenomeno politico-sociale che coinvolse l’Italia a partire dal 1919 e che si manifestò nell'uso di “squadre d'azione”, di carattere paramilitare armate, che avevano lo scopo di intimidire e reprimere gli avversari politici, specialmente quelli appartenenti al movimento operaio. Lo squadrismo, in breve tempo, venne assorbito dal regime fascismo che lo impiego come un autoritario strumento della propria affermazione e per piegare le volontà degli avversari.
Le azioni squadriste - di norma caratterizzate da violenze contro persone e cose (e talvolta anche da caratteri di mera goliardia) - avevano lo scopo, secondo ciò che affermavano gli squadristi, di impedire l'attività reazionaria in Italia di una rivoluzione di ispirazione bolscevica e di rispondere alle crescenti rivendicazioni sociali degli operai e dei braccianti: gli squadristi cercarono di giustificare ideologicamente la loro attività presentandola come una risposta alle violente azioni e al clima di agitazione politica socialista e anarchica, che culminò con il biennio rosso (1919-1920), nonché come un'affermazione di quei valori nazionalisti che (secondo gli squadristi) erano stati vilipesi dal socialismo; tale giustificazione ideologica valse a nascondere, soprattutto agli occhi degli attivisti più giovani, il reale carattere di classe delle azioni squadriste, ammantandole di illusorie motivazioni morali. Lo squadrismo fascista fu protagonista di numerosi episodi di violenza in tutta Italia e spesso anche di brutali omicidi che, ben poco avevano di politico.
La tecnica squadrista era tipica, gli squadristi si avvicinavano a bordo di camion aperti (generalmente i BL 18 in dotazione all'Esercito), cantando inni e mostrando le armi ed i manganelli, quindi assalivano gli avversari praticando una sistematica devastazione: si colpivano le sedi ed i luoghi di aggregazione dei partiti (principalmente il partito socialista), le Camere del Lavoro, le sedi di cooperative e leghe rosse. Queste venivano danneggiate o, spesso, completamente devastate, le suppellettili e le pubblicazioni propagandistiche bruciate nella pubblica piazza, gli esponenti o i militanti delle fazioni avverse bastonati e costretti a bere olio di ricino. Tali azioni di norma davano luogo a scontri fisici o con bastoni; spesso però, specialmente nelle fasi più calde del conflitto, diventava frequente l'uso di armi da fuoco e persino da guerra, cosicché le azioni terminavano con feriti e morti, sia tra le diverse fazioni in campo, che tra le forze dell'ordine.
Durante il periodo fascista un po’ ovunque si ebbero di questi sanguinosi episodi e chiaramente non ne fu esente neppure la Lessinia durante il ventennio.
I più anziani di Velo Veronese ricordano ancora le scorribande “punitive” perpetrate dagli squadristi di Roverè Veronese, in gran parte originari dalla zona del “colonèl bastardo de Roarè”, notoriamente persone piuttosto ombrose e rissose e ben conosciute per la loro aggressività e violenza; nella quasi totalità dei casi lo squadrismo paesano celava invece il pretesto di regolare vecchi rancori o dissapori tra vicini o paesani e quando si aveva il sentore che vi fosse qualche “sovversivo” o che qualcuno non volesse aderire “spontaneamente” al partito fascista ed alla sua ideologia gli squadristi partivano in gruppo per “rinfrescare” a suon di pugni e manganellate le idee. E’ quanto accadde ad esempio a Velo Veronese nell’autunno del 1932 nella corte retrostante il monumento, allorché all’interno della locanda “Ballarini” si trovava un gruppetto di giovanotti intenti a festeggiare.
Salesio Bonomi (N. 1895 - M. 1974), fratello consanguineo (nati dallo stesso padre ma di madri diverse, in quanto il loro padre Mariano Bonomi rimase vedovo in giovane età ) di Annibale Bonomi (localmente conosciuto come “Nibe pistor”, della famiglia dei “pistori de la piàssa de Velo”, dell’omonimo forno Bonomi). Salesio, alto di statura ed imponente di corporatura, era dotato di una forza fisica eccezionale e prendendo a pugni gli squadristi fascisti di Roverè Veronese, che lo aggredirono, li fece fuggire a gambe levate.
A quell’epoca nella corte in questione erano presenti varie locande e spesso al loro interno, tra qualche bicchiere di vino ed il suono di una fisarmonica, si cercavano di dimenticare per qualche ora le miserie della vita. Da tempo gli squadristi di Roverè avevano adocchiato un paesano di Velo, tale Salesio Bonomi(N. 1895 - M. 1974), fratello consanguineo (nati dallo stesso padre ma di madri diverse, in quanto il loro padre Mariano Bonomi rimase vedovo in giovane età ) di Annibale Bonomi (localmente conosciuto come “Nibe pistor”, della famiglia dei “pistori de la piàssa de Velo”, dell’omonimo forno Bonomi).
Salesio, alto di statura ed imponente di corporatura, era dotato di una forza fisica eccezionale e svolgendo la professione di bracciante agricolo era quotidianamente abituato a spostare a mani nude ingenti pesi; erano note a tutti le sue simpatie socialiste e questa circostanza non passò inosservata agli squadristi di Roverè che si prefissero l’obiettivo “de purgarlo co l’ojo de risìn e darghe carche manganelà”.
All’interno della locanda erano presenti una decina di giovanotti che insieme a Salesio cercavano, tra canti e vino, di passare in gaiezza la serata. Ad alta voce iniziarono ad intonare alcuni canti popolari, quando all’improvviso giunse davanti alla locanda una camionetta carica di squadristi, circa una quindicina che, armati di manganello e bastoni, con arroganza entrarono nella locanda. Il loro capo spavaldamente rivolgendosi al fisarmonicisca esclamò la frase:” qua non se canta robe da done, qua bisogna cantàr canszoni fasciste!. Dovì cantàr giovinessa”. Dapprima gli avventori non diedero loro bado e proseguirono con i loro canti popolari, il capo degli squadristi, indispettito, diede un forte colpo di manganello su uno dei tavoli e urlando disse nuovamente:” cantì e sonì giovinessa, se no ve batemo e ve purghemo!”. Cercando di calmare lo squadrista, Salesio gli si avvicinò e disse pacatamente:” Sen qua che ne godemo, parchè no ne lassì star?”.
In risposta, brandendo il manganello, il fascista cercò di colpire Salesio sulla testa, ma quest’ultimo molto più veloce e forte di lui glielo strappò di mano e con uno spintone lo fece finire in fondo alla sala. Vedendo il loro capo volare come uno straccio e finire sul pavimento, gli altri squadristi assalirono Salesio e scoppiò subito una rissa tra i presenti, ma era Salesio il loro obiettivo.
Cercando di divincolarsi dalle persone che lo assalivano contemporaneamente, Salesio iniziò a sferrare dei pugni di una tale potenza che i fascisti iniziarono a volare rovinosamente come dei fazzoletti e a sanguinare. Ad ogni pugno di Salesio si vedeva un fascista tirare lungo sotto un tavolo o tra le sedie; ripresisi dai colpi ricevuti, tre fascisti gli saltarono addosso e ad uno di loro Salesio sferrò in pieno volto un pugno di una tale potenza che l’uomo finì diritto in cucina, cadendo con la faccia sotto “el seciàr” (secchiaio).
Dopo aver ricevuto “ ‘na rua de pache” i fascisti si resero conto che contro Salesio non avrebbero avuto la meglio in quanto era dotato di una forza eccezionale. Nel frattempo lo squadrista che era finito sotto “el seciàr” si riprese dallo stordimento e dirigendosi verso quest’ultimo gli si pose innanzi in ginocchio esclamando: “Scusame Salesio, scusame!. Non so se te me dato un pugno o 'na massà (mazzata, colpo di mazza)!. Scusame, la me parea 'na massà !”.
Salesio, che di indole non era un cattivo uomo, prese da terra i malcapitati fascisti e li sistemò in qualche modo sul loro camion e disse: ”l’è mejo che nasì a casa, l’è mejo. Quando gavì in mente da batar carcheduni dovì catàrne de pì boni, se no i fà bruta fegura come uàltri e i fa la vostra fine!”.
Il Podestà fascista di Velo Veronese, Giulio Gaspari (N. a Camposilvano di Velo Veronese il 22.09.1904 - M. a Cologno Monzese il 10.07.1974).
Fonte: srs di lfred Sternberg, da facebook, Amici di Velo Veronese
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