PRIMA PARTE. (1 DI 2)
Gli antefatti della distruzione di Gerusalemme dal 7 d. C. al 66 d. C.
La distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C. viene letta comunemente come l’avveramento di una profezia di Gesù(Lc., XIX, 411). Da allora il popolo ebraico ha perso la sua patria, che ha riacquistato solo parzialmente e con la forza nel 1948 a danno dei Palestinesi, i quali vi abitavano da circa duemila anni, ma il Tempio è andato distrutto completamente e con esso è cessato il Sacrificio della Vecchia Alleanza, che è stato rimpiazzato dall’Olocausto del Verbo Incarnato con cui è iniziata la Nuova ed Eterna Alleanza.
Gli antefatti che portarono alla conquista e distruzione di Gerusalemme da parte di Roma sono poco conosciuti.
Innanzitutto sorge spontanea la domanda sul come sia potuta avvenire una guerra talmente assurda in cui il piccolissimo popolo ebraico provocò nel 66 d. C. il gigantesco Impero romano. Una guerra del genere non poteva che essere vinta da Roma e persa dagli Ebrei. Eppure essi non esitarono a provocare Roma, come mai?
Per poter rispondere occorre conoscere lo stato d’animo degli Ebrei di quei tempi acceso dall’Apocalittica e dal Messianismo temporale2.
La Palestina, sotto il governo di Roma, non si trovava poi tanto male, ma vi fu un avvenimento che fece insorgere la maggior parte degli Ebrei contro Roma.
Quest’atto fu il censimento degli abitanti la Palestina, che Roma indisse 7 anni dopo la nascita del Salvatore. La reazione a questo censimento romano fu grande e fu capitanata da Giuda il Galileo coadiuvato da un sacerdote di nome Sadduc. Essi incitarono il popolo alla rivolta contro il censimento e l’autorità di Roma che lo aveva ordinato.
Israele si considerava la Nazione di Dio e non poteva essere censita dall’uomo, poiché ciò avrebbe significato usurpare i diritti di Dio e considerarsi il Padrone di Israele al posto di Jahveh. Flavio Giuseppe narra che i due ispiratori della rivolta anti-romana non “tolleravano padroni mortali dopo Dio” (Guerra giudaica, II, 8, 1). I Romani erano, quindi, visti come tiranni che volevano sostituirsi a Dio e i Giudei che avrebbero acconsentito a farsi censire sarebbero stati ritenuti come apostati religiosi e rinnegati nazionali. Le turbe insorsero, Roma rispose con la forza; dopo gravi disordini e scontri cruenti la ribellione fu domata, Giuda il Galileo venne ucciso e i suoi seguaci si dispersero3.
Il censimento fu portato a termine anche grazie alla collaborazione dei sacerdoti con Roma, specialmente dei sacerdoti Sadducei che non erano avversi ai Romani. I Farisei, invece, aiutarono i ribelli.
Tuttavia Ricciotti commenta che la vittoria militare di Roma, moralmente divenne una “vittoria di Pirro”. Infatti l’atteggiamento di rivolta iniziato da Giuda il Galileo sopravvisse e durò tanti anni sino alle insurrezioni ebraiche contro Roma domate da Tito (70 d. C.) e da Adriano (135 d. C.). Questi, in breve, sono gli antefatti della distruzione di Gerusalemme col suo Tempio (70 d. C.) e poi della Giudea intera (135 d. C.).
I ribelli anche dopo la prima sconfitta avvenuta in concomitanza col censimento del 7 d. C. non si arresero, anzi si isolarono e si circondarono di segreto per raccogliere le loro forze. Essi provenivano dal partito dei Farisei, ma erano ancor più radicali di quelli che avevano taciuto, pur se a malincuore, di fronte al censimento romano, tuttavia aiutando nascostamente i ribelli ma non andando oltre.
Questi ribelli ad oltranza siccome si erano dati totalmente alla causa religioso-politica di Israele vennero chiamati Zeloti, ossia zelanti. Essi si distinguevano dai Farisei solo per ragioni pratiche: la necessità di agire contro Roma e non restare in silenzio, seppure all’opposizione, ma la sostanza della loro dottrina era comune a quella dei Farisei. Il loro “zelo” era rivolto ad avere un unico Signore come Capo, anche nel campo politico: Iddio e pur di non riconoscere nessun uomo (tantomeno i Romani) come loro capo erano pronti anche a farsi uccidere (cfr. Flavio Giuseppe, Antichità giudaiche, XVIII, 1, 6).
Tuttavia la sconfitta subìta e l’uccisione di Giuda il Galileo dimostravano abbondantemente che Roma era troppo forte per essere sconfitta in battaglia aperta e frontale. Fu così che gli Zeloti passarono alla “guerriglia”, alla congiura, alla guerra segreta e occulta. Lavorarono col pugnale che i Romani chiamavano sica e si fecero chiamare Sicari. Si nascondevano tra la folla e pugnalavano un Romano o un Giudeo collaborazionista, addirittura arrivavano ad incendiare un villaggio reputato filo-romano. Erano sostenuti dalla letteratura Apocalittica giudaica, dal Messianismo materiale e da un nazionalismo acceso.
Ricciotti scrive: “L’attività dei congiurati recava i danni maggiori, non ai Romani, bensì ai Giudei non affiliati alla congiura. Il sistema della sica, infatti, richiamò tra le fila degli Zeloti molta e varia gente che di ideali nazional-religiosi non ne aveva affatto, mentre aveva grande inclinazione ad ammazzare e derubare; così la congiura dello zelotismo s’ingigantì ben presto, ma grazie ai ladri, assassini e simili furfanti. Per essere esatti il sicarismo fu una degenerazione dello zelotismo: gli Zeloti saranno stati dei fanatici, ma nei primi tempi sentivano in maniera profonda e sincera i principi del fariseismo; i Sicari invece, di poco posteriori, erano degli autentici malfattori, per i quali i princìpi nazional-religiosi del fariseismo erano semplici pretesti per esercitare il brigantaggio.
Si aggiunga che, col degenerare dello zelotismo, si diffondeva e deformava sempre di più un’idea della massima efficacia: il “Messianismo” (cit., p. 56), secondo il quale il Messia sarebbe stato un condottiero, un Re temporale, che avrebbe reso Israele la prima tra le Nazioni. Il Messianismo era interpretato dai Farisei e dagli Zeloti in maniera materiale, politica, nazionalistica ed economica. Tuttavia il Messia non era ancora apparso. Secondo l’Apocalittica giudaica sarebbe comparso quando Israele fosse stato nel più profondo delle sue umiliazioni, calpestato dagli idolatri. Ma questo era il momento opportuno. Infatti i Romani occupavano la Terra Promessa. “Gli incirconcisi erano padroni della Città Santa, con le aquile romane che erano in vista del sacro Tempio. Indubbiamente il Messia stava lì lì per comparire: era assurdo che tardasse ancora!” (G. Ricciotti, cit., p. 57).
Questa presunzione spinse gli Ebrei e soprattutto i Farisei e gli Zeloti a provocare Roma. Oggi in Siria si assiste ad uno scenario molto pericoloso, che coinvolge Israele, l’Iran, la Russia e gli Usa. Si sta deliberatamente provocando la Russia, ma la guerra che rischierebbe di scoppiare potrebbe essere nucleare e con la tecnologia che ha raggiunto l’umanità di oggi sarebbe una catastrofe globale. Sorge spontanea la stessa domanda di fronte alla provocazione fatta contro Roma nel 66 d. C. come potrebbe avvenire una guerra talmente assurda? Purtroppo l’orgoglio e la presunzione accecano le menti e spingono l’uomo verso il baratro. Purtroppo quando un uomo (o un popolo) si mette al posto di Dio commette le peggiori scempiaggini.
Curzio Nitoglia
1–«Quando [Gesù] fu vicino alla città [di Gerusalemme], la guardò e pianse su di lei, dicendo: “O se conoscessi anche tu e proprio in questo giorno, quel che giova alla tua pace! Invece ora sono cose rimaste nascoste ai tuoi occhi. Poiché verranno per te giorni, nei quali i tuoi nemici ti costruiranno attorno delle trincee, ti circonderanno e distruggeranno te e i tuoi figlioli che sono in te, e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il momento nel quale sei stata visitata”».
2–L’Abate Giuseppe Ricciotti scrive: «ai veri ‘Profeti’ dell’Antico Testamento erano succeduti i falsi ‘veggenti’ dell’Apocalittica: i Rabbini, gli Scribi e i Farisei; ma l’opera di costoro non poteva sostituire adeguatamente quella dei primi. […]. Il Profeta, sotto l’azione dello Spirito Santo, era una “fonte di acque vive” (Ger. II, 13), lo scriba incanalava quelle acque facendole confluire nello stagno della casuistica. […]. I Profeti avevano parlato condizionatamente, e in particolar modo avevano annunciato le grandi promesse di Dio al popolo d’Israele in dipendenza dell’atteggiamento futuro di costui. L’Apocalittica al contrario non conosce condizioni; ciò che fu vaticinato deve avverarsi infallibilmente» (G. RICCIOTTI voce “Apocalittica”, in Enciclopedia Italiana, Roma, II ed., 1950, III vol. coll. 657-658). Monsignor Francesco Spadafora qualifica l’Apocalittica come «odio atroce conto i Gentili, morbosa attesa della rivoluzione e della liberazione futura di Israele. All’Apocalittica si deve la formazione del più acceso nazionalismo ebraico, che sfocerà nella ribellione all’Impero romano. Tramite essa si spiega la fiducia cieca dei Giudei per straordinarie rivincite nazionali vaticinate dai ‘falsi profeti’» (F. SPADAFORA, Dizionario Biblico, III ed., 1963, Roma, Studium, voce “Apocalittica”, p. 42).
3–Cfr. G. Ricciotti, Questioni giudaiche, Roma, AVE, 1945, p. 52 ss. su cui mi baso per la compilazione di questo articolo.
SECONDA PARTE (2 di 2)
Cristianesimo e Giudaismo nel 50 d. C.
Circa 15 anni prima della Guerra giudaica, che portò alla distruzione del Tempio di Gerusalemme (l’unico luogo in cui i sacerdoti del Vecchio Testamento potessero offrire il sacrificio a Dio) assistiamo ad un altro affrontamento, tutto teologico e spirituale, tra il Cristianesimo, che è l’erede del Vecchio Testamento perfezionato dalla Nuova ed Eterna Alleanza e il Giudaismo farisaico, che cercava già allora di infiltrarsi nel Cristianesimo per renderlo schiavo delle prescrizioni cerimoniali del Vecchio Patto tra Dio e Israele.
La questione dei rapporti tra Cristianesimo e Giudaismo venne risolta canonicamente, magisterialmente e infallibilmente nel Concilio di Gerusalemme (49/50 d. C.), in cui gli Apostoli si riunirono sotto Pietro per definire se fosse ancora necessaria l’osservanza del cerimoniale veterotestamentario oppure no.
L’Abate Giuseppe Ricciotti scrive che S. Paolo nella sua Epistola ai Romani ha commentato le decisioni del Concilio di Gerusalemme riguardo alla relazione tra Antica e Nuova Alleanza (G. Ricciotti, Questioni giudaiche, Roma, AVE, 1945, p. 59).
Oggi la dottrina cattolica su Cristianesimo e Giudaismo resta vincolata a ciò che decretò il Concilio di Gerusalemme e a ciò che è divinamente Rivelato in San Paolo e negli altri Libri del Nuovo Testamento. La Dichiarazione pastorale Nostra aetate del Concilio Vaticano II non cita nessun testo di Tradizione patristica, nessun testo del Magistero e travisa il senso genuino della S. Scrittura. Quindi il cattolico fedele deve restare fermo e ancorato a quanto rivelato, insegnato e tramandato costantemente sino a prima di Nostra aetate e dei pronunciamenti post-conciliari sulla “Antica Alleanza mai revocata” (Giovanni Paolo II, Magonza, 1981) e su “Gli Ebrei fratelli maggiori dei Cristiani nella Fede di Abramo” (Giovanni Paolo II, Tempio Maggiore di Roma, 1986).
Don Giuseppe Ricciotti scrive: “Oggi, alla distanza di 19 secoli, le basi di quella questione non sono cambiate; e tanto meno possono essere cambiate le soluzioni date allora dalle Colonne della Chiesa, San Pietro e San Paolo, giacché la Chiesa non cambia le sue fondamentali dottrine” (cit., p. 59).
L’Antico Testamento o Giudaismo mosaico era tutto relativo a Gesù e al Nuovo Testamento; esso è sostanzialmente distinto dal Giudaismo rabbinico e talmudico, che invece nega Cristo.
Nel Vecchio Testamento si trovava rivelato che il Messia sarebbe venuto e che tutte le Genti sarebbero accorse a Lui.
Invece l’Apocalittica giudaica, il fariseismo e lo zelotismo, che sono l’architrave del Giudaismo attuale o post-biblico, ritenevano che solo Israele doveva esser il vero popolo di Dio e solo lui sarebbe entrato nel Regno di Dio.
L’Antico Testamento sapeva di essere una preparazione a Cristo e quindi transitorio e caduco, destinato ad essere perfezionato e inglobato dal Nuovo Testamento. I Farisei non accettavano questa visione della Religione, non volevano neppure pensare che il particolarismo di Israele fosse rimpiazzato dall’Universalismo di Cristo.
I primi a non accettare il disegno di Dio su Antica e Nuova Alleanza furono i Giudei.
Essi possono essere divisi in due classi:
1°) coloro che si ostinarono sino in fondo a negare Cristo e dettero nascita alla nuova setta o falsa religione che è il Giudaismo talmudico;
2°) coloro che pur essendosi convertiti al Cristianesimo volevano obbligare i pagani divenuti Cristiani ad osservare la legge cerimoniale dell’Antico Testamento (costoro vengono chiamati “giudaizzanti”), ma poi accettarono le decisioni del Concilio di Gerusalemme.
I primi, come scrive Ricciotti: “reputandosi gli eletti dell’antico periodo di preparazione, non acconsentirono ad essere parificati a tutti gli altri popoli nel periodo di perfezione, non vollero ammettere che quell’antico periodo per essi privilegiato fosse oramai abolito e superato: perciò in massima parte respinsero il Cristianesimo. La questione giudaica fu ed è ancora tutta qui, con le sue conseguenze sociali che riaffiorano di tempo in tempo lungo i secoli. Con la morte espiatrice di Gesù Cristo, allorché fu versato il Sangue del Nuovo ed Eterno Testamento, l’Antico Testamento fu abolito e l’antico periodo fu chiuso” (cit., p. 61).
Pertanto si scorge un’enorme opposizione di contraddizione tra la posizione di San Paolo nell’Epistola ai Romani e di San Pietro al Concilio di Gerusalemme, riassunte mirabilmente dall’Abate Ricciotti, e le teorie giudaizzanti contenute nel Decreto Nostra aetate e nei pronunciamenti post-conciliari.
Se la Fede cristiana sin dalla morte di Cristo annunziava la chiusura della Vecchia Alleanza e l’apertura di una Nuova ed Eterna, questa Fede rivelata fu definita nel 50 al Concilio di Gerusalemme e pose fine alle diatribe tra i Cristiani che non avevano ancora le idee chiare su Cristianesimo e Giudaismo.
La figura di San Paolo, un ex rigorosissimo fariseo ostile a Cristo e al Vangelo, si impone perché è stato colui che ha approfondito e commentato meglio di tutti la dottrina dei rapporti tra i due Testamenti. San Pietro, definì dogmaticamente la dottrina già insegnata da San Paolo e stabilì infallibilmente che il Nuovo Testamento, avendo sostituito l’Antico, lo aveva anche superato e abolito, perfezionandolo. Tutti gli uomini sostanzialmente sono eguali, sia i Giudei che i Greci, forniti di un’anima spirituale e immortale, riscattati dal Sangue di Cristo e chiamati ad entrare, con la loro libera cooperazione, nel Regno di Dio.
Certamente rimasero molti spiriti torvi che non accettarono la decisione del Concilio e continuarono a spargere la zizzania dell’errore giudaizzante e della divisione nella Chiesa apostolica. Contro costoro suonano lapidarie le parole di San Paolo: “Noi stimiamo che l’uomo è giustificato per la Fede senza le opere della legge [cerimoniale giudaica]” (Rom., III, 28).
Il Giudaismo è stato sostituito dal Cristianesimo e anche i Pagani fattisi Cristiani non hanno nessun obbligo verso il cerimoniale giudaico.
Il termine ‘giudeocristianesimo’ si applica in senso stretto ai “cristiani nati ebrei, i quali ritenevano che la Legge cerimoniale dell’Antico Testamento non fosse abrogata e sono entrati così in conflitto non solo con San Paolo, ma con il Cristianesimo stesso”1.
Mentre la parola ‘giudaizzanti’ etimologicamente riguarda “i Pagani convertiti al Cristianesimo, che imitavano i costumi ebraici (…) e ritenevano obbligatoria per salvarsi l’osservanza, totale o parziale, della Legge [cerimoniale] mosaica, di fatto però furono quasi tutti Cristiani di sangue ebraico”2.
Le pretese giudeocristiane si fondavano – materialmente ed erroneamente – sulle promesse fatte da Dio ad Abramo e ai Patriarchi, sul fatto che il Messia, nato dalla razza ebraica, avrebbe stabilito sulla terra un regno che era quello di Israele, che Cristo era venuto per compiere la Legge dell’antico Israele. Il giudeocristianesimo (di cui si parla tanto e a sproposito oggi, teologicamente e politicamente, senza definirne il significato) voleva così “ricalcare il Cristianesimo sul Giudaismo, chiedendo ai popoli di affiliarsi – tramite la circoncisione [e l’osservanza della Legge cerimoniale] – alla nazione ebraica”3. Inoltre i proseliti o convertiti dal Paganesimo al giudeocristianesimo, sarebbero stati Cristiani di seconda serie, con un’inferiorità ontologica nell’ordine della salvezza.
La Chiesa rispose in vari modi, immediatamente e fermamente, a quest’insidia:
1 Il battesimo del centurione romano Cornelio:
Attesta che un pagano è entrato, per ordine di Dio, nella Chiesa senza passare per la Sinagoga (Atti, X). Quindi si può essere Cristiani senza essere Ebrei di sangue (giudeo-cristiani) e nemmeno sottomettersi al cerimoniale ebraico (giudaizzanti). L’antica Legge è stata abrogata, il ‘muro di separazione’ (Ef., II, 14) tra Ebrei e Gentili è caduto, la Chiesa è aperta a tutti, senza distinzione o primati di razza, non ci sono ‘fratelli maggiori o minori’, ontologicamente parlando.
2 Il Concilio di Gerusalemme(Atti, XV; Gal., II, 1-10):
Riconobbe la libertà dei Gentili ad entrare nella Chiesa senza passare per il Giudaismo fondandosi sul battesimo di Cornelio, essi non sarebbero neppure diventati ‘fratelli minori’, ossia non avrebbero avuto un rango secondario nella Chiesa.
3 L’incidente di Antiochia(Gal., II, 11-21):
I pagani si salvano senza obbligo di sottomettersi alla Legge cerimoniale, basta la Fede e la Carità (o le buone opere). Anche gli Ebrei, si sarebbero potuti salvare attraverso la Fede e la Carità, mentre il sangue non avrebbe dato loro una dignità ontologica maggiore. S. Paolo insegna che “la circoncisione è nulla” (Gal., VI, 15) e che ciò che salva è “la Fede che agisce per la Carità” (Gal.,V, 6).
Così il giudeocristianesimo fu rigettato fuori della Chiesa, mentre oggi si cerca di farvelo rientrare con la teoria dei ‘fratelli maggiori’, dell’Antica Alleanza ‘mai revocata’, delle radici ‘giudaico-cristiane’ dell’Europa. Occorre fare attenzione perché il vecchio errore non si riproduca. Onde non bisogna mai dimenticare la dottrina apostolica. San Paolo nell’Epistola ai Romani insegna che “il ruolo d’Israele è oramai finito. Dio, irritato dalla sua condotta, l’ha abbandonato. Verrà un tempo in cui un resto d’Israele si salverà. Ora le promesse divine passano ai Gentili”4.
La dottrina sul pericolo del giudeo-cristianesimo, come abbiamo visto, è esposta specialmente nelle Epistole di San Paolo e soprattutto in quella ai Romani. Egli nel suo secondo viaggio apostolico (nel 50 circa) arrivò in Galazia del nord (con capitale Ankara). Ritornandovi tre anni dopo, si accorse che coloro che aveva evangelizzato nel primo incontro, si “erano lasciati abbindolare dai fanatici giudeocristiani, abbracciando le pratiche del Giudaismo (circoncisione, ecc.) quasi necessarie alla salvezza”5. Dunque, da Efeso (nel 54 circa) S. Paolo, divinamente ispirato, scrive loro confutando gli errori del giudeocristianesimo e dei giudaizzanti.
Nell’Epistola ai Galatiinsegna: “Mi meraviglio che così presto vi siete allontanati da Colui che vi ha chiamato nella grazia di Cristo, passando ad un vangelo diverso…, vi sono alcuni che gettano lo scompiglio in mezzo a voi e si propongono di stravolgere il Vangelo di Cristo. Ora se anche un Angelo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che noi stessi vi abbiamo annunciato, sia anatema!” (I, 6-8).
I Padri, i Dottori e gli esegeti approvati nella Chiesa spiegano in tal senso il passaggio paolino: i giudaizzanti disertano e abbandonano il Vangelo di Cristo, predicato dai suoi apostoli, per aderire ad un altro vangelo contrapposto a quello cristiano, esso è un contro-vangelo, poiché i giudeo-cristiani si propongono di pervertire il Vangelo di Cristo. Il giudeo-cristianesimo vuole abbandonare Dio, che chiama gli uomini nella grazia ottenutaci da Cristo, con la sua Passione e morte, e rimpiazzarlo con l’osservanza delle cerimonie legali antiche. La salvezza invece si ottiene solo grazie alla Fede (vivificata dalla Carità) in Cristo.
I giudaizzanti sono bestemmiatori e votati alla dannazione, tal è, infatti, il significato dell’anatema (v. 8) che equivale all’heremebraico, che designava gli scomunicati come votati alla perdizione per motivi religiosi. Neppure un apostolo e S. Paolo stesso potrebbe sfuggire alla dannazione, se predicasse il contro-vangelo giudeo-cristiano (v. 9).
Nel capitolo II ai versi 3-4, l’Apostolo rivela che nel 50 circa, era salito al Concilio apostolico di Gerusalemme, assieme a Tito, il quale essendo greco non era circonciso. I giudaizzanti gridavano allo scandalo, poiché la presenza di un incirconciso a Gerusalemme e ad un Concilio era ritenuta da loro intollerabile e quindi chiesero che fosse circonciso. L’Apostolo qualifica i giudaizzanti come ‘falsi fratelli intrusi’ (v. 4), e non “maggiori”, “che si erano infiltrati per spiare la libertà nostra, che abbiamo in Gesù Cristo e renderci schiavi (v. 4). Il loro scopo era d’imporre la Legge giudaica come necessaria alla salvezza, abolendo la grazia che rende liberi dal peccato, in Gesù Cristo. I cristiani giudaizzanti più che a Cristo credevano al vecchio cerimoniale mosaico, ma l’antico cerimoniale è oramai – con l’avvento di Gesù – incapace di santificare, esso è stato rimpiazzato dalla grazia di Cristo in virtù dei suoi meriti. “Se, la giustificazione vien dalla Legge cerimoniale, certamente Gesù è morto invano o senza scopo” (v. 21). Il giudeocristianesimo è l’annullamento radicale e totale del Sacrificio di Gesù e della grazia cristiana che ne deriva, in breve è l’apostasia e la distruzione del Cristianesimo apostolico. “Se vi lasciate circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla” (V, 2).
Nella II Epistola ai Corintisan Paolo specifica che i giudaizzanti sono “falsi apostoli, operai fraudolenti e mentitori, che si camuffano da Apostoli di Cristo, [come] lo stesso satana si traveste da angelo di luce” (XI, 13-14). Il giudeocristianesimo è la contro-chiesa o la ‘sinagoga di satana’ (Apoc., II, 9) che vuole carpire la buona fede dei semplici, con un falso zelo e una virtù simulata.
d. Curzio Nitoglia
1 – F. Vernet, voce Juifs et Chrétiens in ‘Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique’, vol. II, col. 1654, Parigi, Beauchesne, 1911.
2 – Ibidem.
3 – Ivi, col. 1655.
Fonte: srs di don Curzio Nitoglia, del 7-8 maggio 2018
-->
Nessun commento:
Posta un commento