La Natura m’ha fatto allegro: che non è un dono da poco con i tempi che corrono. E che non si creda sia facile ridere di tutto, soprattutto delle cose serie o di quelle che comunemente vengono chiamate tali. Si è spesso invisi e vituperati, di conseguenza, un motivo in più perché critiche e ingiurie arrivino da tutte le parti.
Come posso reagire? Scrollo le spalle e tiro avanti. Non posso cambiare carattere. Non mi riesce frenare gli impulsi e i pruriti di questa mia indole bizzarra i cui bisogni trovano sfogo anche nella beffa.
In quell’anno, il Carnevale sarebbe arrivato presto, e nel programmarlo, avrei dovuto tener conto di Giovanna, una cara amica di mia moglie. L'ordine era stato chiaro e perentorio.
A quei tempi, Giovanna era una giovane in crisi sentimentale, in cerca di lavoro, e la solitudine l’aveva portata ad attaccarsi a noi. Sotto il metro e settanta, con il viso da bambolotto, aveva il pregio di due gambe lunghe e ben tornite; purtroppo sul davanti era piatta, piatta come un asse da stiro. Madre Natura s’era proprio dimenticata di foggiare il seno a Giovanna: glielo aveva solo disegnato.
Come sarebbe stata se avesse avuto un bel paio di zucche?(1)
Già! A pensarci bene, poteva essere un modo per mascherarsi nelle feste di carnevale. Era un’idea. E che idea! L’avrei presentata poi a Franco: uno scapolo di trentacinque anni, libertino e affamato di tette. Caspita, che tiro gli avrei giocato!
Giorno dopo giorno inculcai le mie intenzioni a mia moglie, ovviamente senza far riferimenti a Franco. Non fu facile convincere Teresa a cattivarsi la fiducia di Giovanna e invogliarla a indossare un posticcio. Con insistenza e molta pazienza arrivai allo scopo. Una parrucca bionda, una camicetta attillata, delle vesti svolazzanti, e Marilyn Monroe rinasceva sotto l’abile tocco di due donne scatenate e divertite. Giovanna era rifiorita: le forme prosperose della bionda hollywoodiana le conferivano un’attrattiva irresistibile. Sarebbe stato impossibile riconoscerla sotto quelle vesti.
Arrivò il giovedì grasso. All’ingresso della discoteca, costrinsi Giovanna a entrare con Teresa. Con un pretesto ritornai all’automobile: non volevo farmi vedere subito da Franco e dar l’impressione a mia moglie d’aver combinato l’incontro.
Nella sala del veglione, nonostante l’atmosfera carnevalesca e la vivacità delle maschere, s'erano formati capannelli. In uno intravidi Franco mascherato da diavolo rosso, mentre Giovanna s’era scatenata nel ballo e già trionfava. Oh, dimenticavo! Io e mia moglie eravamo vestiti da ovetti: io portavo cresta e bargigli più grandi, mia moglie più piccoli.
Con maestria orchestrai l’incontro fra Tersicore e il suo Apollo. Da quel momento, il figlio di Latona le fu sempre attorno come un cane che difende il proprio osso. Un comune amico mi si avvicinò e mi fece notare come Franco fosse attaccato a quei magnifici guanciali. Sottovoce risposi ch’era tutto un’impalcatura: ch'erano finti
Dopo un attimo, la sala seguì con occhi maliziosi e indiscreti l’attacco sfrenato del diavolo alle curve della bionda attrice. Lei cercava sempre di svincolarsi, lui, come una piovra, di stringerla.
Non mi sono mai divertito così tanto!
Il giorno dopo, Giovanna telefonò a Teresa chiedendo informazioni sul cavaliere della sera precedente; espresse poi il timore di svelare l’inganno che le aveva dato tanto successo. Mia moglie le suggerì di lasciarlo perdere, che, se le intenzioni fossero state serie, l’uomo si sarebbe fatto avanti comunque, e di certo, avrebbe tollerato qualche difettuccio.
Teresa mi confidò le sue preoccupazioni, io, al contrario, cantavo vittoria. Mi raffiguravo l’espressione di Franco nel vedere due capezzoli senza polpa. Potevo pretendere forse qualcosa di più?
Gli amici vanno e vengono; si perdono per noia e per qualche chiacchiera in più che le brave persone sibilano alle spalle. Forse per quest’ultima ragione persi di vista sia Franco che Giovanna.
Il tempo passa. Si sposarono dopo un paio d’anni. E la storia sarebbe finita qui, se l’altro giorno non mi fossi voltato per ammirare in Corso Sant’Anastasia un bel tocco di donna. Spingeva davanti a sé una carrozzina con dentro un marmocchio e tenendo per mano un bimbo di tre o quattro anni. S’accorse di me, mi salutò e sorrise.
Era Giovanna: s’era fatta bionda e aveva messo qualche chilo in più. Andai a salutarla; lei m’accolse con grandi sorrisi … rideva, e come rideva! Da una camicetta scollata mi fece intravedere un paio di zucche ch’erano una meraviglia.
Mah! a quei tempi di silicone non se ne parlava ancora! Cosa sarà stato allora? Forse la maternità? L'allattamento? Di sicuro non la Matematica con il suo calcolo delle probabilità… Ma che dall’amore per lo scherzo, sia inciampato in uno scherzo d’amore?
(1) Zucche, in questo caso seni.
Fonte: srs di Enzo Monti di domenica 22 dicembre2013
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