mercoledì 2 agosto 2017

IL PRIMO CAPITOLO DEL VANGELO PERDUTO: MATTEO EBRAICO






La moderna esegesi dà ormai per scontata la inesistenza di quello che fino al 19mo sec. era ritenuto il più antico dei Vangeli: il testo ebraico del Vangelo di Matteo, tanto che quell’antico e perduto documento è ritenuto, oggi, poco meno di una legenda.

Il problema é in gran parte connesso alla comparazione filologica e linguistica, tra i Vangeli di Matteo e Marco che, a giudizio degli studiosi, non lascia dubbi sulla dipendenza del primo dal secondo e non viceversa. Abbiamo avuto occasione di mostrare, con uno studio comparativo puntuale e controcorrente, la discutibilità di questa tesi illustrando svariati elementi che portano a pensare esattamente il contrario.

In questo articolo affronteremo il problema da un diverso punto di vista: quali sono gli elementi documentali a sostegno della vetustità del Vangelo di Matteo e soprattutto della esistenza di un antico testo di questo Vangelo in ebraico? Esistono elementi che ci consentono di ricostruire qualche parte di questo perduto Vangelo?

Avremo occasione di mostrare che le prove documentali a sostegno della esistenza di questo testo sono talmente limpide e numerose che non si può non restare allibiti di fronte alla unanimità dello scetticismo dei moderni studiosi.

Le testimonianze

Vediamo una rapida e certamente non esaustiva carrellata, delle testimonianze della patristica relativamente allo scomparso Vangelo di Matteo ebraico. Cominciamo con Ireneo. La sua testimonianza é databile al 175 circa, e di conseguenza é tra le più antiche disponibili:

“…(gli Ebioniti) seguono unicamente il Vangelo che è secondo Matteo e rifiutano l’apostolo Paolo, chiamandolo apostata della legge…”. (Ireneo, Adv. Haer., I, 26).

Lo stesso Ireneo aggiunge più avanti, che gli Ebioniti sostenevano la nascita non verginale di Gesù. In questa ipotesi é possibile che il Vangelo in loro possesso non comprendesse la sezione della natività e cominciasse, direttamente con il Battesimo di Giovanni. Torneremo su questa ipotesi tra breve. In linea con quanto affermava Ireneo sono le testimonianze di Origene, Epifanio e Teodoreto:

“…(I Nazarei) posseggono il Vangelo secondo Matteo, assolutamente integrale, in ebraico, poiché esso è ancora evidentemente conservato da loro come fu originariamente composto, in scrittura ebraica. Ma non so se abbiano soppresso le genealogie da Abramo fino a Gesù…”. (Epifanio, Haer. XXIX, 9,4).

“…(I Nazarei) accettano unicamente il Vangelo secondo gli Ebrei e chiamano apostata l’apostolo (Paolo)…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 1).

“…(I Nazarei) hanno usato soltanto il Vangelo secondo Matteo…”. (Teodoreto, Haer. Fabul. Comp. II, 2).

E’ indubbio che, talora, le testimonianze risultano contrastanti o palesemente errate, come quelle di Clemente Alessandrino, che citando passi attribuiti allo scomparso Vangelo di Matteo, si riferiva in realtà ad un testo ritrovato nel 1945 a Nag Hammadi: il Vangelo di Tommaso. Come pure sta scritto nel vangelo secondo gli Ebrei: “Chi si stupisce regnerà. E chi regnerà si riposerà” (CLEMENTE ALESS., Strom., 2, 9).

Chi cerca non smette fino a tanto che abbia trovato; quando avrà trovato si stupirà, ed essendosi stupito, regnerà; ed avendo raggiunto il regno si riposerà” (CLEMENTE ALESS., Strom., 5, 14).

E’ possibile, ancora, che esistessero fino al terzo secolo, altre copie ebraiche di Vangeli che erroneamente erano ritenute essere il Vangelo ebraico di Matteo. In questa categoria ricade, probabilmente, il documento che fu tradotto da Gerolamo e che, dalla sua diretta testimonianza, appare essere sostanzialmente diverso sia da Matteo in nostro possesso sia da quello desumibile dalle rimanenti testimonianze della patristica.

Gli studiosi hanno provato a sintetizzare ed analizzare le testimonianze per risalire al numero ed al contenuto di questi documenti, ma non vogliamo addentrarci in questo argomento soffermandoci su un unico dato incontrovertibile: copie ebraiche di Vangeli esistevano già alla fine del secondo secolo ed avevano, quindi, una datazione almeno paragonabile a quella dei Vangeli, inoltre, sebbene si ricavino analogie con i canonici, le testimonianze fanno credere che tra questi documenti esistevano di certo testi del tutto indipendenti.

Un dato é certamente incontestabile: la patristica da per scontata l’esistenza di questo testo, sebbene esistano testimonianze discordanti, ne esistono anche molte (specie le più antiche) che prospettano una visione abbastanza concorde del testo se non, addirittura, riportando un numero sufficiente di elementi tale da ricostruire intere sezioni di questo documento.

Esistono testimonianze particolarmente interessanti che riportano brani estremamente vicini al Vangelo ebraico di Matteo, ma con una forma che pare più arcaica e vicina al panorama storico e culturale in cui si ambientano gli eventi neotestamentari. Brani come quello riportato da Origene:

“In un certo vangelo secondo gli Ebrei, se uno vuole accettarlo non come un’autorità, ma come delucidazione della presente questione, sta scritto: “Un altro ricco gli domanda: “Che cosa debbo fare di bene per vivere?”. Gli rispose: “Uomo, pratica la Legge e i Profeti”. Gli rispose: “L’ho fatto!”. Gli disse: “Va’, vendi tutto quanto possiedi, distribuiscilo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Ma il ricco iniziò a grattarsi la testa. Non gli andava! Il Signore gli disse: “Come puoi dire di avere praticato la Legge e i Profeti? Nella Legge sta scritto: Amerai il tuo prossimo come te stesso. E molti tuoi fratelli, figli di Abramo, sono coperti di cenci e muoiono di fame, mentre la tua casa é piena di molti beni: non ne esce proprio nulla per quelli!”. E rivolto al suo discepolo Simone, che sedeva presso di lui, disse: “Simone, figlio di Giovanni, é più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco nel regno dei cieli“” (ORIGENE, In Math., 15, 14, solo testo lat.).

Sembra estremamente vicine all’equivalente Matteo ebraico che riporta:

Mt19,16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». [17]Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». [18]Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, [19]onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». [20]Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». [21]Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, và, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». [22]Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze. [23]Gesù allora disse ai suoi discepoli: «In verità vi dico: difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. [24]Ve lo ripeto: è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli».

Lo sviluppo logico e la sequenza del brano declamato da Origene appare certamente più verosimile. Praticare la Legge ed i Profeti é la sintesi del comportamento del Pio ebreo, mentre il brano di Matteo non propone la Legge ma una visione estremamente riduttiva di essa. Se supponiamo che gli interlocutori fossero ebrei il brano di Origene é di certo quello che si avvicina di più ad una situazione compatibile con il clima culturale e con la prima platea cristiana fatta di giudei. Il brano di Origene, rispetto alla versione di Matteo, inoltre, pone la Legge dell’amore non come un di più, ma come una “conditio sine qua non“, in pratica seguire la Legge ed i Profeti é solo ipocrisia se non si unisce a ciò la pratica dell’amore e della carità verso il prossimo che costituisce la base stessa della Legge.

In questa ottica la carità appare come un dover primario e la ricchezza come una colpa molto di più di quanto non lo sia nel brano di Matteo, riportandoci al tema della ipocrisia come vero nemico della fede: tema, questo, che pervade l’intero testo di Matteo a noi pervenuto.

Esiste anche un’altro interessante elemento da sottolineare. Simone é probabilmente, Simon Pietro, ma il brano identifica anche la paternità di Simon Pietro: Giovanni (che Matteo sostituisce con Giona). Giovanni il Battista, (lo vedremo più avanti) era discendente della stirpe di Aronne ed il fatto che sia proprio lui a ungere il Messia (l’Unto di Davide) non può non ricollegarlo al messia sacerdotale di Aronne che caratterizza le scritture qumramiane. Questo personaggio precede la venuta del Messia di Davide (come avviene per Gesù) e ne sancisce con il gesto dell’unzione, la regalità. Alla morte di Giovanni chi avrebbe potuto prendere il suo posto? E’ Gesù che si fa carico di entrambe i ruoli?

Supponendo che ciò sia vero non si può non notare la permanenza della duplice funzione (sacerdotale e politica) nella struttura della nascente Chiesa. Pietro sembra prendere il posto del messia di Aronne e Giacomo quello del Messia di Davide. Se per Giacomo (almeno stando agli apocrifi) non si può dubitare della sua discendenza davidica) quella di Pietro correlata ad Aronne, sembra solo una illazione. Per tornare al brano in esame, non si può escludere che il padre di Pietro fosse proprio Giovanni il Battista. La ipotesi non é poi così assurda se si pensa che il fratello, Andrea, viene segnalato come uno dei discepoli di Giovanni (vedi Gv 1,40) e il suo potrebbe essere molto più che un semplice rapporto discepolo - maestro. Ma ritorniamo a noi.

Altri brani riportatici da Origene ci spingono ad ulteriori riflessioni:

Se uno accetta il vangelo secondo gli Ebrei, resterà perplesso, giacchè‚ qui lo stesso Salvatore afferma: “Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor” (ORIGENE, In Johan., 2, 6 e In Jerem., 15, 4).

Il brano proposto, sembra richiamare il Rotolo dell’Angelo e l’ascesa di Joshua Ben Pediah al cielo trasportato dall’angelo Pnimea. L’ascesa a mezzo di trasporto soprannaturale e la straordinaria funzione dello Spirito Santo nella generazione di Gesù quale figlio di Dio, é richiamato varie volte dalla patristica e sembra essere uno dei pochi elementi certi che caratterizzavano e distinguevano i Vangelo di Matteo: scrive Origene:

“Ma chi legge il Cantico dei cantici e comprende che lo sposo dell’anima é il Verbo di Dio, e ha fiducia nel vangelo secondo gli Ebrei, che recentemente ho tradotto, non avrà difficoltà a riconoscere che il Verbo di Dio procede dallo Spirito e che l’anima, sposa del Verbo, ha una suocera, cioè lo Spirito santo che presso gli Ebrei è di genere femminile, ruah; lì, infatti, il Salvatore dice di sè: “Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi ha preso per uno dei miei capelli” (GEROLAMO, In Mich., 7, 6). [u]
Una conferma di ciò ci perviene da un’altra sensazionale scoperta fatta a Nag Hammadi nella metà dello scorso secolo: il Vangelo di Filippo.[/u]

Vangelo di Filippo 17 Taluni hanno detto che Maria ha concepito dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna? Maria è la vergine che nessuna forza ha violato, e questo è un grande anatema per gli Ebrei, che sono gli apostoli e gli apostolici. Questa Vergine, che nessuna forza ha violato […], e le Potenze si contaminano. E il Signore non avrebbe detto: “Mio Padre che è nei cieli,” se non avesse avuto un altro padre, ma avrebbe semplicemente detto: “Mio Padre”.

Altro elemento che emerge dalle testimonianze della patristica, relativamente al Vangelo degli Ebrei, é la predominanza della figura di Giacomo; lo stesso Gerolamo scrive… dopo la risurrezione del Salvatore, anche il vangelo detto secondo gli Ebrei, recentemente tradotto da me in lingua greca e latina e del quale fa spesso uso Origene, afferma: “Dopo aver dato il sudario al servo del sacerdote, il Signore andò da Giacomo e gli apparve“. Giacomo infatti aveva assicurato che, dal momento in cui aveva bevuto al calice del Signore, non avrebbe più preso cibo fino a quando non l’avesse visto risorto dai dormienti. E poco dopo (prosegue): “Portate la tavola e il cibo” dice il Signore. E subito è detto: “Prese il pane, lo benedisse, lo spezzò e diede a Giacomo il Giusto, dicendo: “Fratello mio, mangia il tuo pane, poichè il figlio dell’uomo è risorto dai dormienti“” (GEROLAMO, De viris ill., 2)

Elemento questo, certamente non nuovo e rilevabile non solo negli scritti neotestamentari come gli Atti ed, in particolare la lettera di Paolo ai Galati, ma anche da apocrifi come il Vangelo di Tommaso in cui si legge:

Vangelo di Tommaso 12. I discepoli dissero a Gesù, “Sappiamo che tu ci lascerai. Chi sarà la nostra guida?” Gesù disse loro, “Dovunque siate dovete andare da Giacomo il Giusto, per amore del quale nacquero cielo e terra.”

L’episodio che vede Gesù porgere il pane a Giacomo assume una rilevanza particolarissima se confrontato con la narrazione della Cena degli Ultimi Tempi ritrovata a Quran. In essa il Messia di Aronne (Gesù Messia di Davide aveva assunto anche le funzioni di sacerdote e quindi di Massia di Aronne, dopo la morte di Giovanni) porge il pane per primo al Messia di Davide. Si noti che il rito chiarissimo dopo la morte di Gesù sembra essersi svolto analogamente anche nell’Ultima cena. Sebbene, infatti, il testo non ne parli esplicitamente, sembra emergere chiaramente il fatto che anche in quella occasione Giacomo fu il primo a ricevere il calice con il vino.

La patristica ci da, poi, anche informazioni quantitative che ci consentono di valutare per grandi linee, le differenze tra l’originale ebraico ed il vangelo a noi pervenuto. Secondo Niceforo, il Vangelo degli Ebrei aveva 2.200 stichi e cioè solo 300 meno del nostro vangelo di Matteo. Un’ultima indicazione, prima di passare alla ricostruzione del primo capitolo del Vangelo ebraico di Matteo, ci viene da Epifanio:

non so se hanno eliminato la genealogia da Abramo a Cristo” (EPIFANIO Haeret., 1, 2, 29).

IL PRIMO CAPITOLO DEL VANGELO EBRAICO DI MATTEO

Attraverso le testimonianze di Epifanio e sulla base del confronto con i Vangeli canonici (per determinare la sequenza dei brani e l’eventuale presenza di frammenti non pervenutici) possiamo ricostruire interamente, il primo capitolo del Vangelo ebraico di Matteo. Proponiamo prima il testo e successivamente il commento ed il procedimento adottato per la ricostruzione.
  • [1] Ci fu un uomo di nome Gesù, che all’età di circa trent’anni ci scelse.
  • [2] E quando, andato a Cafarnao, entrò in casa di Simone, soprannominato Pietro, aprì la bocca e disse: “Mentre passavo lungo il lago di Tiberiade ho scelto Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, e Simone, Andrea, Taddeo, Simone, lo zelota, e Giuda Iscariota; ed ho chiamato pure te, Matteo, che eri seduto al telonio, e tu mi hai seguito”.
  • [3] Da voi dunque voglio che voi dodici apostoli siate una testimonianza per Israele. (EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 2)
  • [4] Nei giorni di Erode re di Giudea, sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome Giovanni andò sul fiume Giordano a battezzare con il battesimo di penitenza.
  • [5] Di lui si diceva che fosse della stirpe del sacerdote Aronne, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. E tutti accorrevano da lui.(EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 6)
  • [6] Quando Giovanni battezzava, accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così tutta Gerusalemme. Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi.
  • [7] Il suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello della manna, come uva schiacciata all’olio.(EPIFANIO, Haeres., 30, 13, 4)
  • [8] Mentre era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni.
  • [9] E salito che fu dall’acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in lui.
  • [10] Ed una voce disse dal cielo: “Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto”.
  • [11] Ed ancora: “Oggi ti ho generato”. E il luogo fu subito irradiato da una grande luce.
  • [12] Giovanni a questa vista chiese: “Chi sei tu?”. E di nuovo una voce dal cielo a lui : “Questo é il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto” allora Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: “Ti supplico, Signore, battezzami tu!”. Ma lui l’impedì dicendo: “Lascia! Conviene, infatti, che si adempia ogni cosa.(EPIFANIO, Haeres., 30, 13)
  •  
Cominciamo col dire che l’assenza della Natività é giustificabile con le seguenti osservazioni:

1) Marco non la cita: e vista l’antichità indiscutibile del testo (gli esegeti lo considerano unanimemente più antico di Matteo) é probabile che questa mancasse nel testo ebraico

2) La natività é inessenziale per l’autore del testo che, probabilmente, dava per scontata la discendenza davidica, visto quello che segnala Epifanio. Infatti l’autore pone l’attenzione sul battesimo non come semplice simbolo dell’inizio dell’attività pubblica di Gesù, ma come generazione a nuova vita quale figlio di Dio (la discesa dello spirito pervade Gesù: “Entra in lui”, come fa notare Epifanio)

3) L’apocrifo gnostico Vangelo di Filippo segnala questo particolare facendo notare la contraddizione insita nella doppia discesa dello spirito Santo (durante la Nascita e nel Battesimo di Giovanni) oltre che la constatazione che lo Spirito Santo é considerato (dalla gnosi) componente femminile che e quindi madre di Gesù mentre il Padre (Dio) é la componente maschile.

Il brano introduttivo 1-3 ed in particolare la frase:

ed ho chiamato pure te, Matteo, che eri seduto al telonio, e tu mi hai seguito” mi pare oltremodo credibile, poichè giustificherebbe anche la denominazione assunta successivamente, dal testo di Matteo che in alcuna sua parte sembra riportarci all’apostolo Matteo, quale autore.

Credibile sembra essere anche il verso 4 se confrontato con Luca, vediamo entrambe i testi:

Luca 3,[1] Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, [2]sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.

ProtoMatteo 1,[4] Nei giorni di Erode re di Giudea, sotto il sommo sacerdote Caifa, uno di nome Giovanni andò sul fiume Giordano a battezzare con il battesimo di penitenza. [5] Di lui si diceva che fosse della stirpe del sacerdote Aronne, figlio di Zaccaria e di Elisabetta. E tutti accorrevano da lui.2

La maggiore precisione di Luca e complessità della costruzione, tipica dell’autore e che si riscontra anche nell’altra sua opera, gli Atti, ci segnala la vetustità del brano segnalato da Epifanio. Voglio anche far notare la segnalazione presente in Epifanio, inerente la discendenza da Aronne che é tutt’altro che marginale.
Nella letteratura qumramiana esistevano due messia: uno della stirpe di Aronne con funzione sacerdotale ed uno della stirpe di Davide con funzione politica. Il Messia di Aronne aveva il compito (negli ultimi tempi) di “incoronare” il Messia di Davide: proprio ciò che Giovanni fa con Gesù. In proposito segnalo la cena degli ultimi tempi: famoso testo qumramiano che ha straordinaria similitudine con l’ultima Cena.

E quando si raduneranno alla mensa comune e a bere il vino dolce, allorchè la mensa sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato, nessuno stenda la sua mano sulla primizia del pane e del vino prima del sacerdote, giacchè egli benedirà la primizia del pane e del vino dolce e stenderà per primo la sua mano sul pane. Dopo, il messia di Israele stenderà le sue mani sul pane e poi benediranno tutti quelli dell’assemblea della comunità ognuno secondo la sua dignità. (1QSa Regola dell’assemblea I, 17)

E’ questa la regola di abitazione per gli accampamenti. Cammineranno in essa nel tempo determinato dell’empietà fino all’avvento del Messia di Aronne e di Israele in gruppi di almeno dieci uomini: per migliaia, centinaia cinquantine e decine (CD Documento di Damasco XII, 1) Anche la successione dei brani segnalata da Epifanio, riprende quella di Matteo e Marco. Mi pare plausibile l’assenza delle citazioni bibliche, introdotte in Marco e Matteo probabilmente grazie ad un approfondimento teologico assente nella stesura del primo Vangelo (quello segnalato da Epifanio).

Compariamo, ad esempio, i brani di Marco e Matteo con quelli di questo protovangelo:

Mt 3,[4]Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. [5]Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; [6]e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.

Mc 1,[4]si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. [5]Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. [6]Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico [7] e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. [8] Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».

Protovangelo di Matteo [6]Quando Giovanni battezzava, accorsero da lui i farisei e furono battezzati e così tutta Gerusalemme. Giovanni aveva un abito di pelo di cammello e una cintura di cuoio intorno ai fianchi.[7]Il suo cibo era miele selvatico, ed il gusto come quello della manna, come uva schiacciata all’olio.3

Si noti la semplicità della forma del protovangelo. Voglio far notare anche la differenza nel materiale utilizzato per la cintura: la pelle indicato in Marco e Matteo ed il cuoio per il protovangelo. Tra i ritrovamenti qumramiani, sono state rinvenute scarpe di cuoio ma nessun indumento in pelle, il che è essenzialmente dovuto alla impurità che per gli esseni, era rappresentata da questo tipo di indumenti. Per la verità essi erano soliti indossare abiti di tela e li utilizzavano finchè non erano logori, ma nel complesso credo che l’abito di peli di cammello e sottolineo “peli” e non pelle, fosse compatibile con la cultura essena e lo rende quindi credibile.

Anche la costruzione dei versi 8-12 si rivela molto più antica di quella utilizzata da Matteo e Marco… vediamo il perchè comparandole:

Mt3, [13]In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. [14]Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?». [15]Ma Gesù gli disse: «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Allora Giovanni acconsentì. [16]Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. [17]Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto».

Mc1,[9]In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. [10]E, uscendo dall’acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba. [11]E si sentì una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto».

ProtoMatteo 1,[8]Mentre era battezzato il popolo, venne anche Gesù e fu battezzato da Giovanni. [9]E salito che fu dall’acqua, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito santo, in forma di colomba, che scese ed entrò in lui. [10]Ed una voce disse dal cielo: “Tu sei il mio figlio diletto. In te mi sono compiaciuto”. [11]Ed ancora: “Oggi ti ho generato”. E il luogo fu subito irradiato da una grande luce.

La differenza all’apparenza marginale trà la narrazione della discesa dello Spirito Santo tra la versione del Vangelo di Matteo (la colomba scende su Gesù) a noi pervenuta e quella narrata da Epifanio (la colomba entra in Gesù) e attribuita agli ebrei non é marginale. Epifanio fa notare la differenza teologica esistente tra le due narrazioni affermando:

“La loro narrazione afferma che Gesù fu generato da seme umano, e scelto poi da Dio: fu per questa elezione divina che fu chiamato figlio di Dio, dal Cristo che entrò in lui dall’alto in forma di colomba. Essi negano che sia stato generato da Dio Padre ma affermano che fu creato come uno degli angeli…sebbene egli sia al di sopra degli angeli e di tutte le creature dell’Onnipotente e sia venuto, come è riferito in quel cosiddetto vangelo secondo gli Ebrei”: “Io sono venuto ad abolire i sacrifici. E se non cesserete dall’offrire sacrifici, non desisterà da voi l’ira
(EPIFANIO, op. cit., 30, 16, 4-5).

Sul medesimo argomento Origene scrive: “Se uno accetta il vangelo secondo gli Ebrei, resterà perplesso, giacchè” qui lo stesso Salvatore afferma: “Poco fa mia madre, lo Spirito santo, mi prese per uno dei miei capelli e mi trasportò sul grande monte Tabor” (ORIGENE, In Johan., 2, 6 e In Jerem., 15, 4).

La forma “entro in lui” é, a mio avviso, la più credibile vista la funzione generante che é segnalata da Epifanio e che é chiaramente indicata dalla frase “Oggi ti ho generato” (oltre che in linea con le credenze del protognosticismo segnalato dalla documentazione ritrovata a Nag Hammadi ed il particolare dal Vangelo di Filippo). Nè Matteo nè Marco segnalano la luce che irradia Gesù, ma vista la funzione generante e la particolare funzione simbolica che la luce aveva nella letteratura qumramiana, anche questo brano mi pare plausibilmente, il più antico.

In Marco e, meno pesantemente in Matteo, probabilmente, agì una mano epurativa nell’evidente intento di eliminare la centralità dell’evento battesimale in linea con il pericolo teologico segnalato da Epifanio.

Veniamo, quindi, al brano finale:

[12] Giovanni a questa vista chiese: “Chi sei tu?”. E di nuovo una voce dal cielo a lui : “Questo é il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto” allora Giovanni cadde ai suoi piedi e disse: “Ti supplico, Signore, battezzami tu!”. Ma lui l’impedì dicendo: “Lascia! Conviene, infatti, che si adempia ogni cosa.4

Mi pare la più probabile sintesi dell’evento. Solo dopo l’ingresso dello Spirito in Gesù, l’autore del protovangelo inserisce la frase di Dio che lo riconosce come figlio. Si noti la somiglianza del brano con il Matteo greco ma anche l’assenza in Marco (rimando al mio sito) che probabilmente eliminò il testo per gli stessi motivi che spinsero Epifanio a criticarlo: il testo rende irrilevante le modalità di nascita di Gesù e quindi ciò che egli era prima del battesimo di Giovanni. In quest’ottica, Marco elimina alcune parti che sottolineano la centralità dell’evento battesimale.

La centralità che l’evento battesimale aveva nel protovangelo, tanto da occupare tutto il primo capitolo, fece si che Marco, potè unicamente mitigare la portata di quell’episodio ma non eliminarlo. In Marco, infatti, la funzione teologica del battesimo rimane praticamente, indeterminata.
Conclusioni

Crediamo, a questo punto, di aver proposto un numero più che sufficiente di elementi che giocano a favore della esistenza di un Vangelo ebraico di Matteo non molto dissimile da quello in nostro possesso, lievemente più breve (88% delle attuali dimensioni, solo 300 stichi in meno su 2600, pari a circa 2-3 capitoli su 28 del Matteo pervenutoci) poichè privo dei primi 2 capitoli contenenti gli episodi della natività, e la lunga genealogia introduttiva, aggiunti successivamente.

A questa analisi va aggiunta quella comparativa proposta in un precedente articolo sul sito. Il contenuto di questo, che probabilmente é il più antico dei Vangeli, dovette creare non poco imbarazzo principalmente nella corrente paolina. Matteo ebraico sollevava problemi non solo teologici ma anche politici:

1) Esso, innanzitutto, disegna un Gesù strenuamente legato alla Legge di Mosè e suo difensore,

2) mostrando che Gesù diviene figlio di Dio attraverso la discesa ed il conseguente effetto generante dello spirito Santo “in lui” e “non su di lui”. Durante il Battesimo di Giovanni pone al centro della scena questa controversa e pericolosa figura politica della resistenza alla dominazione romana: quello che a Qumran era considerato il messia di Aronne.

3) La scelta di Dio ricade su un prescelto della stirpe di Davide (Jhoshua ben Giuseppe- Pediah?) e quindi lega questa figura inscindibilmente alla storia di Israele e non a quella universale.

Si comprende, allora, perché questo Vangelo dovette apparire pericoloso a Paolo tanto da meritare una esplicita maledizione (vedi primo capitolo Galati) e da rendere necessaria la stesura di un Vangelo che ne mitigasse gli aspetti controversi ed contrari alla nascente teologia paolina: Marco. Si comprende anche perché un dato scontato, la discendenza davidica di Gesù, dovette essere confermata aggiungendo una genealogia dettagliata e forse la natività con la narrazione della regalità di Gesù confermata (nel Matteo ebraico e solo in questo tra i canonici) dall’omaggio dei re magi, insieme a ciò é anche chiaro perchè Paolo temeva tanto quelle genealogie.

Insomma da tutte le testimonianze emerge sicuramente la impossibilità di sostenere inesistente questo scomparso Vangelo ed il fatto che esso fu redatto in ebraico. Le testimonianze tra cui quelle indirette di Paolo, configurano questo Vangelo, come il più antico e fanno emergere chiaramente la responsabilità di Paolo nella perdita di questo prezioso documento: quello che gli Ebioniti (come afferma unanimemente la patristica e lo stesso Paolo in Galati e Corinti II) utilizzavano per opporsi alla sua cristologia.

Sui motivi che portarono all’accantonamento ed alla perdita definitiva di questo Vangelo non si possono avere dubbi: lo stesso preziosissimo resoconto di Epifanio é inequivocabile e conferma appieno quanto abbiamo ipotizzato come metodo di composizione della traduzione-riduzione di questo Vangelo da parte di Marco e quanto abbiamo fatto notare attraverso i resoconti dello stesso Paolo.

Sabato Scala

Fonte: srs di Sabato scala, da l’Altro Giornale del 23 maggio  2010



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