di Milo Bozzolan Zago
Piccolo brano, scritto di pugno da Fra Paolo Sarpi (Venezia
1552 – Venezia 1623) che ci aiuta a comprendere bene il Suo punto di vista
riguardo alla laicità dello stato.
Egli è stato per gran parte frainteso, a volte volutamente,
infatti mai ha affermato che lo stato non dovesse in alcun modo occuparsi della
Religione, ma bensì l’avrebbe dovuta favorire, poiché “il Principe” era
tenuto a interessarsi sia al benessere materiale, che a quello spirituale dei
sudditi. Era suo dovere, fin dai tempi più antichi.
La terza via di Paolo Sarpi e della Serenissima Repubblica,
tra laicità moderna e stato clericale. Brano
tratto dal “Discorso dell’origine dell’uffizio dell’Inquisizione”.
“Tra le
perverse opinioni, de’ quali abbonda il nostro secolo infelice, questa ancora è
predicata, che la cura della Religione non appartenga al Principe, qual è
colorata con due pretesti. L’uno, che per esser cosa spirituale, e divina, non
s’aspetti all’autorità temporale. L’altro, perché il Principe, occupato in
maggiori cose, non può attendere a questi affari.
E’ certo degna di
maraviglia la mutazione, che il mondo ha fatto. Altre volte li santi Vescovi
niuna cosa più predicavano, e raccomandavano ai Principi, che la cura della
Religione. Di niuna cosa più li ammonivano, e modestamente riprendevano, che
del trascurarla. E adesso niuna cosa più si predica, e persuade al Principe, se
non che a lui non si aspetta la cura delle Cose Divine, con tutto che pel
contrario la Scrittura Sacra sia piena di luoghi dove la Religione è
raccomandata alla protezione del Principe dalla Maestà Divina, la qual anco
promette tranquillità, e prosperità a
quei Stati, dove la Pietà è favorita, si come minaccia desolazione, e
distruzione, a quei governi dove le cose divine son tenute come aliene. (
Il neretto è mio, seguono esempi di antichi regni dove la Religione era curata
massimamente)……
La vera Religione
essendo fondamento dei Governi, sarebbe grande assurdità, tenendo ciò per vero,
com’è verissimo, il lasciarne cura totale ad altri, sotto pretesto che sono
spirituali, dove la temporale autorità non arriva, ovvero che il Principe abbia
maggior occupazione che di questa.
Chiara cosa è, che
siccome il Principe non è Pretore, né Prefetto, né Provveditore: così parimente
non è Sacerdote, né Inquisitore, ma è ben anco certo che la cura sua è di
sovrintendere, con tener in Ufficio, e procurar che sia fatto il debito, così
da questi, come da quelli: e qui sta l’inganno, chè la cura particolare della
Religione è propria delli Ministri della chiesa, siccome il governo temporale è
proprio del Magistrato, ed al Principe non conviene esercitar per se medesimo
né l’uno né l’altro, ma indirizzar tutti, e lo star attento, perché niuno
manchi all’Uffizio suo, e rimediare alli difetti delli Ministri: questa è la
cura del Principe così in materia di Religione, come in qualsivoglia altra
parte del Governo.
Si capisce quindi che
la religiosità dei cittadini è vista come un bene primario, da favorire e
curare. Una società cristiana sarà naturalmente portata a ben operare in ogni
campo, cercando attraverso le sue istituzioni, di sopperire con la carità, la
pietà, la giustizia alle inevitabili sue storture e ai problemi che via
via si presentassero. Infatti fu scritto che ”la Repubblca conserva il suo
potere con la Religione, la Legge, la giustizia, i suoi cittadini con la
Carità, l’amore, la Pietà. Tre virtù teologali.”
Riportiamo di seguito
un commento di Europa Veneta che può aiutare a comprendere il testo
Lo Stato, quindi, non era affatto indifferente alla
religione: essa era invece il suo primo fondamento, discendendo la sovranità da
Dio. La Serenissima era uno Stato Confessionale, da confiteor = io
testimonio Dio. Nessuno avrebbe potuto governare se non fosse stato di Fede
cattolica (come lo era il grosso del popolo). In conclusione, la
struttura sociale di allora si componeva di diversi ambiti riuniti in forma
armoniosa, tanto che il trinomio popolo-Stato-Chiesa tendeva a formare un
inscindibile tutt’uno.
La Divina Maestà e la Maestà Temporale – secondo l’antico
concetto di laicità – erano il duplice vertice del potere d’allora, distinti
come struttura, ma entrambi d’origine divina e convergenti nell’unico fine di
santificare l’uomo e la società. Il LAICISMO moderno è tutt’altra cosa.
Vuol dire che lo Stato traccia una SEPARAZIONE NETTA tra
politica e valori etico-religiosi: prescinde, quindi, da un preesistente ordine
morale e tende ad abolire qualsiasi scrupolo di coscienza. Si spalancano
le porte dell’arbitrio totale, che incontra l’unica barriera illusoria della
legge scritta, come se questa dovesse agire di forza propria (e non discendesse
da principî trascendenti).
Eliminato il retroterra della Tradizione, senza un
patrimonio di Fede, lo Stato (quindi chi lo controlla) ha mano libera nel fare
e disfare tutto.
Nell’attuale sistema la sovranità discende da un popolo
concepito come aggregato privo di identità spirituale; oggi “l’identità
nazionale” è un retaggio di segni materiali ed esteriori (simboli, bandiere,
uniformi, eserciti, squadre sportive, o la lingua, ecc.).
Fonte: da
Vivere Veneto del 10 febbraio 2014