Alfredo Cattabiani - Scrittore e saggista
Nel periodo presolstiziale si celebravano nell'antica Roma i Saturnalia, la ricorrenza più festosa
dell'anno. Gli schiavi erano temporaneamente liberi, venivano scambiati doni,
si eleggeva una specie di re di burla. Tale festa in onore del dio Saturno,
segnava la fase di passaggio tra il vecchio e il nuovo anno, tra il sole che
muore ed nuovo che deve rinascere.
Combattimento simbolico fra il carnevale (metà
sinistra del quadro) e la quaresima (metà destra), di P. Bruegel il Vecchio
(1559).
Il tempo che precede il solstizio d'inverno e le feste ad esso
collegate, dal Natale al Capodanno, è un periodo di passaggio tra il vecchio e
il nuovo anno, tra il sole che sta morendo e il nuovo che deve
"risorgere". La Chiesa ha trasformato questo periodo con la liturgia
dell'Avvento, che consta di quattro domeniche, simboli dei 4.000 anni mitici di
attesa del Messia dopo la Caduta originale. Il carattere dell'Avvento è
duplice: di penitenza, che si esprime con il carattere violaceo delle
paramenta, la proibizione dei fiori sull'altare e del suono dell'organo, la
soppressione del Gloria in excelsis e del Te Deum; e di un santo
"entusiasmo", di un intenso desiderio della venuta del Messia,
espresso nei numerosi Alleluia. Ma la liturgia cristiana non è se non un velo
sovrapposto a una sequenza di riti che ancor oggi riaffiorano, pur stravolti,
nell'ambito delle feste natalizie e di fine anno.
Per orientarci meglio in questi meandri, dove convivono residui
mitici e rituali di epoche diverse, occorre cominciare dal calendario.
Il dodicesimo mese dell'anno, in cui si situa il periodo
presolstiziale, si chiama dicembre, dal latino december, che deriva a
sua volta da decem, dieci. Questa contraddizione si spiega ricostruendo
la storia del calendario romano che prima della riforma di Numa Pompilio -
secondo la narrazione tradizionale - constava di dieci mesi. L'anno cominciava
a marzo e terminava a dicembre (oggi ancora, settembre, ottobre e novembre
ricordano l'antico calendario).
Sei mesi - riferisce Macrobio, - aprile, giugno, sestile, settembre,
novembre e dicembre, erano di 30 giorni; quattro, marzo, maggio, quintile e
ottobre, di 31[1].
L'anno sarebbe stato dunque di 304 giorni. Come fossero ordinati gli
altri giorni dell'anno solare, non lo sappiamo con certezza. Sappiamo tuttavia
dalla tradizione, che Numa riformò il calendario aggiungendo i mesi di gennaio
e di febbraio e facendo così un anno lunare di 355 giorni, cominciante sempre
da marzo. Ma per uniformarlo a quello solare si dovevano intercalare 22-23
giorni, che venivano collocati dopo il 23 febbraio: i cinque giorni tolti a
questo mese venivano aggiunti all'altro, detto "intertalare", che era
di 27 o 28 giorni.
Il calendario di Numa durò fino al 46 d.C., quando Giulio Cesare lo
riformò con la collaborazione dell'astronomo Soligene di Alessandria, formando
un anno solare di 365 giorni e 6 ore (Più il giorno dell'anno bisestile per
recuperare ogni 4 anni le 6 ore eccedenti) e facendolo cominciare il I gennaio.
Si sa che nemmeno la riforma giuliana riuscì ad accordare
perfettamente il calendario all'armo solare, sicché fu necessaria un'ulteriore
riforma - quella gregoriana del 1582 - per eliminare l'eccedenza di 11 minuti e
9 secondi sul corso del sole. E nemmeno quella fu perfetta perché è rimasta
un'eccedenza di 24 secondi sull'anno tropico che fra 3.500 anni formerà lo
spazio di un giorno.
Il Calvario, di A. Mantegna (1431-1506). In basso sulla destra
l'artista ha raffigurato alcuni soldati che si disputano con i dadi le vesti
del Cristo. Nell'antica Roma il gioco dei dadi e il gioco d'azzardo in genere,
era permesso unicamente durante i Saturnalia.
Ma torniamo all'antico calendario romuleo di dieci mesi: secondo
alcuni studiosi, era l'eco di quello dei popoli di lingua indouropea.
Rifletteva il ciclo dell'anno nelle regioni intorno al polo artico da dove
provenivano, secondo la tradizione, gli indoeuropei: dieci mesi di luce cui
seguiva la lunga notte polare.
Quando il popolo ario - osserva il Tilak - migrò più a sud dall'antica
patria, fu obbligato a mutare calendario per adattarsi alla nuova patria,
aggiungendo due nuovi mesi al vecchio anno. Ma le tracce dell'antico calendario
non furono del tutto cancellate e abbiamo molte prove dalla tradizione e dai
sacrifici, per poter sostenere che l'anno di dieci mesi, seguito da una notte
di due mesi fosse bene conosciuto al tempo degli indoeuropei[2].
La notte artica cominciava in realtà verso la fine di novembre, e
quindi dicembre non corrisponde esattamente al decimo mese degli indoeuropei.
Vi corrisponde tuttavia in un altro senso, perché le notti più lunghe dell'anno
sono quelle intorno al solstizio, che cade appunto il 21 dicembre quando il
sole, toccato il punto più basso, comincia la sua "rinascita" sull'orizzonte.
Nel periodo presolstiziale, si celebravano a Roma i Saturnolia,
la festa in onore del dio Saturno: dapprima il 17 dicembre, poi per sette
giorni fino al 24 dicembre, cioè alla vigilia del Natalis Solis, festa
solstiziale perché anticamente i Romani, come narra l'Imperatore Giuliano,
stabilirono questa festa non nel giorno esatto della conversione solare, ma nel
giorno in cui il ritorno del sole, dal sud al nord, appare agli occhi di tutti.
Nell'ignoranza in cui si trovavano ancora delle leggi scoperte dai
Caldei e dagli Egizi, e condotte alla loro perfezione da Ipparco e Tolomeo, si
fondarono sulle testimonianze sensibili e sulle semplici apparenze, imitati poi
dai loro successori che, come ho già detto, hanno adottato questo punto di
vista[3].
I Saturnalia erano la ricorrenza più festosa dell'anno. Gli
schiavi erano temporaneamente liberi di far quel che credevano, venivano
scambiati doni, specialmente candele di cera e piccole immagini o bambole di
terracotta, dette sigillaria. Si eleggeva anche una specie di re di
burla, Saturnalicius princeps. Poi, intorno al secolo IV gran parte di
quelle celebrazioni vennero trasferite al capodanno.
Quel clima festoso, su cui regnava Saturno, celebrava la notte
"artica", la notte solstiziale, il momento di passaggio e di
rinnovamento annuale in cui si ristabiliscono simbolicamente le condizioni
anteriori all'inizio: perciò i riti e le usanze di "rovesciamento",
osserva Brelich, e di "sospensione dell'ordine", anche ove
cronologicamente posteriori, si innestano coerentemente sul colpo più antico
della festa"[4].
D'altronde il passaggio tra l'anno vecchio e il nuovo, è analogo a
quello tra due cicli cosmici: è simbolicamente un passaggio sulle acque,
reintegrazione del mondo nella sua origine informale. E non casualmente nell'alchimia
Saturno rappresenta l'opera in nero.
Un mito induista narra che Vishnu in forma di pesce apparve - alla
fine del ciclo che ha preceduto il nostro - a Satyavrata, il futuro Manu o
Legislatore, annunciandogli che il mondo stava per essere distrutto dalle
acque. Poi gli ordinò di costruire l'arca nella quale si dovevano rinchiudere i
germi del mondo futuro; e infine guidò l'arca, con Satyavrata a bordo, sulle
acque durante il cataclisma. René Guénon ha osservato, non sappiamo con quale
fondamento, che Satyavrata ha la stessa radice di Saturno, sicché il mito induista potrebbe confermare
questa funzione del dio[5].
Da tale punto di vista è facile spiegare la confusione rituale dei
giorni natalizi che segna appunto il rimescolamento, il passaggio, la notte da
cui dovrà sorgere la nuova alba.
La Festa dei Folli, incisione di P. Bruegel il Vecchio. A
differenza di quanto rappresentato in quest'opera, che ritrae un insieme di
pazzi in libertà, la medievale Festa dei Folli costituiva un'occasione -
raccolta dall'intera comunità - per celebrare in libertà il periodo fra Natale
e il primo dell'anno. In tale senso la Festa dei Folli come l'analoga Festa
dell'Asino, è da considerare una sopravvivenza dei Saturnalia.
Questa confusione, tipica di ogni "capodanno" (e anche il
Carnevale, erede per tanti aspetti dei Saturnalia, è un
"capodanno") giunse nel medioevo persino all'interno delle chiese con
le Feste dei Folli, l'Episcopello e l'Asinaria Festa, che si svolgevano
fra il Natale e il primo dell'anno, nei giorni in cui era stata spostata la
festa romana a partire dal secolo IV. Si eleggeva per sino un Episcopus
puerorum o innocentium (vescovo dei fanciulli o degli innocenti)
cantando un ritornello significativo, dove affiora la funzione saturnalizia che
ristabilisce le condizioni anteriori all'inizio della storia umana: "Deposuit
potentes de sede et exaltavit humiles" (depose i potenti dal seggio ed
esaltò gli umili)[6].
Ma Saturno non è soltanto il dio che presiede al rinnovamento
dell'anno, che attraversa "le acque". È anche il dio che approda alla
nuova riva felice, che regna sull'età dell'oro. Non è soltanto il dio che
spegne il passato e accende il futuro, è il dio del regno senza ombre e senza
conflitti. Secondo la tradizione romana, Giano, il Creatore e Iniziatore per
eccellenza, il Tempo Infinito che genera tutti gli dèi, accolse Saturno, giunto
nel Lazio, associandolo nel regno che fu un periodo di pace e di tranquilla
operosità, l'Età dell'Oro. Dopo quel lungo regno, amministrato in concordia con
Giano, Saturno "improvvisamente scomparve"[7].
Certo, le due funzioni di Saturno sembrano quasi il frutto di una
giustapposizione mitica di cui non abbiamo tuttavia riscontro. Né ci aiutano
gli scrittori dell'epoca, che anzi avvolgono il dio in un velo di mistero, come
ad esempio Macrobio che faceva dire a uno dei suoi personaggi nei Saturnalia.
Infatti nelle stesse sacre cerimonie non è concesso di illustrare le
origini occulte e promananti dalla fonte della pura verità: se poi qualcuno le
consegue, gli è ordinato di contenerle protette nella coscienza[8].
Giorgio de Santillana e Herta von Dechend, ne danno
un'interpretazione che lo collega esclusivamente all'età dell'oro:
Era Yama in India, Yina Xsaeta nell'Avesta antico-iranico (nome che
in persiano è diventato Jamshid), Saeturnus e poi Saturnus in latino. Saturno o
Kronos era noto sotto molti nomi come il Sovrano dell'Età dell'Oro ... Era il
Signore della Giustizia e delle Misure.
[9]
Saturno, incisione tratta dall'Encyclopedie di Diderot.
Questo Saturno-Kronos in cui è difficile distinguere gli apporti
greci da quelli specificamente etrusco-laziali, venne detronizzato da Zeus che
lo gettò dal carro, esiliandolo in un'isola desertica ove dimora addormentato
perché, essendo immortale, non può morire: vive in una specie di
vita-nella-morte, avvolto in lini funerari fino a quando non verrà il tempo
destinato al suo risveglio, ed egli allora rinascerà a noi come bambino;
rinascita che coinciderà con l'inizio del nuovo ciclo.
Questo mito è simbolicamente analogo a un rito che si svolgeva ogni
anno a Roma durante la festa del dio. Macrobio narra che i legami in cui veniva
serrata la statua di Saturno nel tempio ai piedi del Campidoglio, venivano sciolti
il giorno della sua festa[10], quasi potessero ritornare, sia pur
per breve durata quelle condizioni la cui apparente contraddittorietà ci aveva
sinora stupito - commenta Renato Del Ponte - da una parte la notte e la
confusione dell'indeterminato, dall' altra la gioia e il lucore di una lontana
età di pienezza.
E soggiunge:
Lo "scioglimento" del dio sta semplicemente a significare,
secondo le leggi della magia simpatica, lo scatenamento della sua forza
(benefica, ma nel contempo ambigua, come tutto ciò che è "anteriore"
all'inizio), nel tempo sacro che la sua festa ogni anno riammette nella
comunità.[11]
Per questo motivo i giorni "solstiziali" fino a Capodanno
sono vissuti, spesso inconsapevolmente, nell'apparente contraddizione fra
euforia, confusione e desiderio di rinnovamento, fra mortificazione, penitenza
(Avvento) e attesa di una palingenesi. Saturno, dio contraddittorio, regna su
queste contraddizioni solstiziali, ma regna anche con un ambiguo sorriso,
quello di Colui che ha le chiavi del Grande Gioco cosmico. Egli infatti è il
dio che chiude un ciclo e ne apre uno nuovo, che ritira simbolicamente i dadi
dalla tavola e li rigetta formando nuove combinazioni. Non si è parlato a caso
di dadi: non è soltanto una metafora, perché il gioco d'azzardo era
strettamente connesso con il dio, tanto che a Roma era permesso giocare
soltanto durante i Saturnalia.
Con il tempo, dopo tante modifiche e aggiunte, il gioco d'azzardo è
stato introdotto nel banchetto privato e considerato un divertimento privato. Ma
all'origine era sacro. Come ha osservato Margarethe Riemschneider nel saggio
sui Saturnalia[12], l'enigmatico dio non è soltanto Colui che
regna sulla notte solstiziale, non soltanto Colui che regna sull'Età dell'Oro,
ma anche il Giocoliere supremo che possiede la chiave del Gioco Cosmico, ovvero
di ogni ciclo. Commenta Del Ponte:
Egli regola l'Ordine Universale con le mosse del suo bastone scettro[13].
Molti di noi hanno giocato alla tombola nei giorni natalizi: ebbene,
questo gioco non è se non il ricordo sbiadito del Grande Gioco del dio e
parallelamente del gioco-oracolo con il quale anticamente, e non soltanto a
Roma, si cercava di capire la nostra collocazione nel cosmo.
La sovrapposizione del Natale cristiano alle antiche usanze
cristiane ha reso meno riconoscibili queste altre usanze che pure, come quella
della tombola, continuano a sussistere. Margarethe Riemschneider le ha studiate
nel saggio che si è già citato. Ma persino i comportamenti più banali, come ad
esempio l'usanza di sbarazzarsi degli oggetti inservibili nella notte di San
Silvestro, o la confusione euforica delle ore che precedono il Capodanno sono
un segno che certi archetipi sono radicati nella psiche e non soggetti
all'usura del tempo. D'altronde non si dice anche "Anno nuovo, vita
nuova"? Pare un detto banale, eppure si ricollega perfettamente ai giorni
su cui regna enigmaticamente Saturno.
Il simbolo di Saturno nella figura CVI del Viridarium Chymicum.
Note
[1] Macrobio, Saturnali, I, 12, 3.
[2] G.B. Tilak, The artic home in the Vedas, Poona 1971, cap
VIII.
[3] Imperatore Giuliano, Su Elios Re, 156b.
[4] Angelo Brelich, Tre variazioni romane sul tema delle origini,
Roma 1955, p. 89.
[5] René Guénon, Alcuni aspetti del simbolismo del pesce, in Simboli
della Scienza Sacra, Milano 1975.
[6] Cfr. V. De Bartolomeis, Origini della poesia drammatica in
Italia, Torino 1952, pp. 180-182.
[7] Virgilio, Eneide, VII, 319; Ovidio, Fasti, I, 239.
[8] Macrobio, cit., I, 7, 18.
[9] Giorgio de Santillana e Herta von Dechebd, Il mulino di
Amleto, Milano 1983, p. 179 e ss.
[10] Macrobio, cit., I, 8, 15.
[11] Renato Del Ponte, Dei e miti italici, Genova 1985, pp.
104 e 119.
[12] Margarethe Riemschneider, Saturnalia, in
"Conoscenza Religiosa" n. 4, 1981, e n. 1-2, 1982.
[13] Renato Del Ponte cit., p. 106.
Fonte: srs di Alfredo Cattabiani,
da ETHNIKA