Un corposo rapporto dei Noe accusa la giunta provinciale di Vicenza della leghista Manuela Dal Lago di non essere intervenuta per fermare l’avvelenamento delle acque.
Lo sapevano. Lo sapevano tutti e non hanno fatto niente. Non hanno fatto niente anche se, per scongiurare il più devastante caso di inquinamento della falda acquifera dell’intera Europa, sarebbe bastato applicare la legge! 350 mila persone – ed è una stima per difetto – avvelenate dai Pfas, gli acidi perfluoro alchilici utilizzati dalla Miteni per produrre rivestimenti impermeabili. 350 mila uomini, donne e bambini avvelenati grazie al silenzio complice delle autorità che avevano il compito di difendere la loro salute.
Per almeno 13 anni, l’Arpav e la giunta provinciale di Vicenza hanno deliberatamente ignorato tutte le prove della contaminazione. Hanno fatto finta di non vedere per non dover intervenire nonostante fossero evidentissimi i segnali dell’ “incremento nella contaminazione da benzotrifluoruri, sintesi o sottoprodotti derivati dall’attività della Miteni”, come si legge nel documento di monitoraggio ambientale chiamato Giada avviato sin dal 2003 dall’Ufficio ambiente della provincia di Treviso.
Un rapporto del Nucleo operativo ecologico (Noe) dei carabinieri di Treviso testimonia come sin dal 2006 i preoccupanti risultati emersi dal progetto Giada fossero stati portati all’attenzione della giunta provinciale di Vicenza, capitanata dalla leghista doc Manuela Del Lago. Lo studio evidenzia senza possibilità di errore come la falda acquifera di Trissino, dove sorgeva la Miteni, avesse subito un drastico inquinamento imputabile “a fattori idrologici o a fatti nuovi verificatesi all’interno dell’area dello stabilimento”.
Se la Provincia fosse intervenuta immediatamente, ora non saremmo all’emergenza. Ed invece sono stati zitti e hanno scelto di lasciare tutto come stava, permettendo alla Miteni di continuare a produrre Pfas ed al conseguente inquinamento di allargarsi sino a contaminare le falde delle vicine province di Treviso e Padova.
Sempre dal rapporto dei Noe emerge la strana vicenda della barriera idraulica anticontaminazione che la Miteni ha sempre dichiarato di aver installato nel 2013 ma che in realtà era stata realizzata almeno sette anni prima. Come dire che la Miteni sapeva esattamente e sin dall’inizio che stava avvelenando le falde acquifere. “La barriera idraulica è una struttura grande e complessa – si legge nel rapporto – sorprende che sia sfuggita all’occhio esperto di tecnici deputati a controlli ambientali”. Secondo i tecnici del nucleo operativo ecologico, l’Arpav– l’agenzia regionale per l’ambiente che avrebbe il compito di tutelare la salute pubblica! – ha deliberatamente finto di non vedere la barriera per non far emergere l’inquinamento in atto. Nel rapporto del Noe viene sottolineato come già dal 13 gennaio 2006 i tecnici dell’agenzia di Vicenza intervenivano direttamente su questa barriera idraulica per sigillare i contatori dei pozzi.
“Si ritiene che la Provincia di Vicenza – si legge sempre nel rapporto del Noe -, oltre a non condividere il documento, avrebbe dovuto richiedere espressamente ad Arpav una verifica approfondita dello stabilimento Miteni. Se ciò fosse avvenuto, l’Arpav avrebbe notato immediatamente la presenza della barriera idraulica, la quale era stata istallata nel 2005 proprio per tentare di bloccare l’inquinamento della falda da benzotrifluoruri. Allo stesso modo, l’Arpav, nonostante fosse a conoscenza degli esiti del Progetto Giada, inspiegabilmente non ha avviato una verifica approfondita e mirata dello stabilimento Miteni”.
Chi doveva sapere, sapeva. Chi doveva intervenire, non è intervenuto ed ha consentito l’avvelenamento delle acque con tutte le conseguenze sui prodotti dell’agricoltura e sulla salute di uomini, donne e bambini. Oggi, 90 mila persone devono vivere monitorando continuamente le loro condizioni di salute. E restano aperte domande come quante persone siano già morte a causa di patologie legate all’inquinamento da Pfas e quante ne dovranno ancora morire.
Fonte: srs di Riccardo Bottazzo, da ECO MAGAZINE del 11 giugno 2019
GLI PFAS PER ANTIMACCHIA E IMPERMEABILI: I LUOGHI CONTAMINATI IN ITALIA E I RISCHI
di Jacopo Giliberto
Molte aree dell’Alta Italia e della Toscana — come il bacino dell’Adda, la zona di Alessandria oppure l’Arno pisano— sono contaminate da Pfas, i composti perfluoroalchilici usati per decenni come impermeabilizzanti e come antimacchia per pellami, abiti, moquette, divani e scarpe ma anche come antiaderenti per carte forno, bigliettini adesivi attacca-stacca e padelle.
Gli Pfas contaminano le acque del Veneto centrale, soprattutto la zona pianeggiante compresa tra le province di Vicenza, Padova e Verona, ma in Italia la maggiore contaminazione da Pfas si riscontra in tutte le zone di produzione e di utilizzo di questi composti. Ed emerge una contaminazione la cui fonte non è ancora stata individuata lungo il bacino del fiume Serio, nella provincia di Bergamo.
Non si sa ancora se e quanto sono pericolosi questi composti, per i quali non ci sono vincoli o limiti tranne in Italia e in pochissimi altri Paesi.
L’assenza di conoscenze e di regole per gestire l’eventuale rischio ha fatto sì che gli Pfas siano stati dispersi nei decenni scorsi in modalità che allora erano del tutto legali, e che nel resto del mondo il fenomeno continui senza alcun controllo.
Scoperta la contaminazione pochi anni fa, in Veneto sono partite campagne di controllo della cittadinanza e in questi giorni è cominciato per circa 85mila persone il secondo “screening” sanitario.
Altissima in Veneto la paura delle persone, soprattutto per i bambini nel sangue di molti dei quali sono scoperti livelli impressionati di composti del fluoro, e ai primi di dicembre l’associazione ecologista Greenpeace ha organizzato proteste a Venezia per sollecitare il risanamento della fabbrica chimica del Vicentino da cui più si è diffusa la contaminazione.
Peraltro l’azienda, la Miteni, ha già avviato da anni un’intensa opera di decontaminazione, ormai quasi del tutto completata.
Carta forno, padelle, divani di pelle
Gli Pfas sono composti chimici del fluoro la cui caratteristica pregiata è l’assoluta inerzia chimica: non reagiscono con nulla, non s’incollano e non aderiscono, non bruciano, non fanno attaccare i grassi ma nemmeno l’acqua, non sono sensibili agli acidi, non si degradano; se ingeriti non sono metabolizzati né digeriti.
Per questo motivo i composti perfluoroalchilici Pfas sono usati come antiaderenti sulle padelle, antimacchia su tessuti, moquette e divani, impermeabilizzanti su pellami e giacconi. Sono l’ingrediente che rende ideali le carte forno, i bigliettini attacca-stacca per appunti, le carte oleate dei salumieri. Si usano come composto antifiamma.
Ma negli anni questi composti sono filtrati anche negli acquedotti del Veneto centrale, soprattutto nelle province di Padova e Vicenza, perché il principale produttore europeo di Pfas si trova da mezzo secolo a Trìssino, in provincia di Vicenza e, ritenuti da sempre innocui, nel mondo non sono mai stati né normati né controllati tranne che in pochissimi Paesi.
L’accumulo nel sangue
Mentre in animali sperimentali gli Pfas assunti tramite l’acqua vengono espulsi senza che abbiano prodotto alcuna interazione con l'organismo, invece dalle esperienze condotte in questi anni in Veneto si è scoperto che nell’uomo queste sostanze non riescono a passare il filtro dei reni e quindi non sono smaltite: nelle persone gli Pfas possono accumularsi senza alcun limite e continuano a circolare nel sangue, raggiungendo spesso tassi altissimi.
Non è chiaro se sono pericolosi: alcuni studi sospettano rischi, altri invece assolvono del tutto gli Pfas.
Il caso del Veneto centrale
La presenza più vasta e diffusa di Pfas è a partire dalla provincia di Vicenza, dove si trova lo stabilimento Miteni, principale produttore europeo. I composti Pfas, ritenuti ancora oggi innocui e quindi non normati in quasi tutto il mondo, sono finiti nella falda acquifera sotterranea sotto allo stabilimento vicentino e da lì i composti hanno viaggiato nel sottosuolo di tutto il Veneto centrale.
La presenza più vasta e diffusa di Pfas è a partire dalla provincia di Vicenza, dove si trova lo stabilimento Miteni, principale produttore europeo. I composti Pfas, ritenuti ancora oggi innocui e quindi non normati in quasi tutto il mondo, sono finiti nella falda acquifera sotterranea sotto allo stabilimento vicentino e da lì i composti hanno viaggiato nel sottosuolo di tutto il Veneto centrale.
Lambro e Olona
Importanti anche le contaminazioni nei luoghi di utilizzo di Pfas, l’area vicentina delle lane e l’area vicentina della concia dei pellami. Quantità rilevanti ma meno diffuse nell’ambiente sono state riscontrate nella zona di Spinetta Marengo (Alessandria)dove uno stabilimento fabbrica prodotti fluorurati e antiaderenti, nella zona industriale lombarda fra i bacini dei fiumi Lambro e Olona, in Toscana nella zona conciaria di Santa Croce sull’Arno(Pisa) e nell’area tessile di Prato.
Le analisi delle acque erano state avviate pochi anni fa sulla base di lievi sospetti a cominciare dalle acque del Po, che mostravano una lieve contaminazione.
Dal Po si è risaliti a un importante stabilimento chimico a Spinetta Marengo (Alessandria),fra i principali produttori di composti del fluoro, e da questo stabilimento è stata fatta un’analisi chimica sul principale fornitore di materia prima, la Miteni di Trìssino (Vicenza), dove è stata scoperta una contaminazione vastissima fino ad allora sconosciuta.
Dallo stabilimento vicentino, tra i più importanti d’Europa, si è voluto verificare quasi per scherzo le acque degli acquedotti della zona: e purtroppo non era uno scherzo.
I risultati a mano a mano che si analizzavano le acque potabili del Veneto centrale rivelavano tassi altissimi di Pfas negli acquedotti.
Dagli acquedotti, in questi anni sono cominciate le analisi sulla cittadinanza, e i risultati sono stati sconvolgenti.
Ora le indagini chimiche hanno rilevato un’altra fonte di contaminazione da Pfas nella provincia di Bergamo, nel fiume Serio, una sorgente di inquinamento forse legata al polo tessile della val Serianae della val Gandino.
Il Tevere pulito
Con ogni probabilità presenze rilevabili di Pfas si trovano anche nel polo conciario campano di Solofra e nel bacino del fiume Sarnoma non vi sono ancora state condotte campagne di analisi. È stato studiato anche il Tevere ma per fortuna la presenza degli immancabili Pfas è in percentuali fisiologiche e non patologiche.
Per saperne di più
Chi volesse saperne di più può trovare molti dati nel rapporto finale del Progetto tra Irsa-Cnr e ministero dell’Ambiente, il quale mostra la situazione italiana. Lo studio è scaricabile all’indirizzo http://www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/reach/progettoPFAS_ottobre2013.pdfed è stato coordinato dal gruppo di ricerca sugli inquinanti emergenti presso dell’Irsa Cnr (l’Istituto di ricerca sulle acque del Cnr) a Brugherio, il cui sito web è www.irsa.cnr.it.
Fonte: srs di di Jacopo Giliberto, da il Sole 24 ore, del 7 dicembre 2017
CHIMICA / CHE COSA SONO GLI PFAS: COMPOSTI DEL FLUORO
Gli Pfas sono una gamma di circa 3mila composti chimici del fluoro, gran parte dei quali sono artificiali. In particolare, Pfas è la sigla generica di tutti i perfluoroalchilici; Pfoa è la sigla dell'acido perfluoro-ottanoico; Pfos è perfluoro-ottano solfonato.
Vi sono i composti a catena lunga (più contaminanti) o a catena corta.
Sono composti organico-fluorurati, cioè che combinano insieme carbonio e fluoro. Ciò li rende molto stabili. Non reagiscono chimicamente, non sono degradati dai raggi ultravioletti del sole, non bruciano, non sono attaccati dagli acidi, non vegono né digeriti né metabolizzati dall’organismo umano, non fanno aderire i grassi e lasciano scivolare via l’acqua.
Queste caratteristiche ne fanno prodotti pregiati per l’industria e finora sono ritenuti a basso rischio per l’ambiente e la salute, tant’è che solamente l’Italia e pochi altri Paesi ne hanno fissato limiti e regole.
Caratteristiche degli Pfas: inerti e inattaccabili
Gli Pfas hanno la caratteristica di essere composti fluorurati stabilissimi, indistruttibili, chimicamente inerti.
Non sono aggrediti dagli acidi, non vengono incollati dagli adesivi, non sentono l’effetto dei grassi né dell’acqua, non sono danneggiati dai raggi ultravioletti del sole, non reagiscono ai radicali né agli ossidanti, non bruciano, non reagiscono con gli altri composti e così via.
Di conseguenza resistono per decenni nel tempo (per decenni perché sono stati sintetizzati pochi decenni fa, e non si ha esperienza più duratura nel tempo) e non vengono nemmeno metabolizzati dall'organismo e quindi, così inerti e neutri, non sono digeriti o assimilati.
Fonte: da il Sole 24 Ore, del 6 dicembre 2017