Dal testo di Francesco Zanotto
"Cadder de' nostri, fra gli altri,
prigioni Gentile da Lionessa, Roberto da Montalbotto, Guido Rangoni, ed
eziandio i due provveditori Ermolao Donato e Gerardo Dandolo, i quali ultimi,
quantunque parecchie volte fatti
avvertiti del pericolo loro, affinchè si salvassero colla fuga, magnanimemente
risposero: voler piuttosto morire daccosto alle insegne di San Marco, di quello
sia salvarsi, abbandonandole vilmente ... "
ANNO 1448
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Dopo la morte del
Visconti per Venezia tuttavia non c'è pace. Il
nuovo duca Francesco Sforza, dopo aver combattuto anche nelle fila
veneziane, lavora ora per il suo personale ed ambizioso progetto di potere. Sulle prime la sorte sembra favorirlo, ma non tutti gli si arrendono ...
LA SCHEDA STORICA - 76
L'anno in cui Venezia estese la sua giurisdizione fino a
Ravenna (1441), fu anche l'anno in cui le parti belligeranti ormai esauste,
firmarono la pace (Cremona).
Nel 1440, un anno prima, dopo un'ultima battaglia che
permise di far giungere i rifornimenti a Brescia assediata, il Gattamelata si
ritirò per sempre dagli impegni militari, a causa anche di due attacchi di
apoplessia, lasciando il comando delle armate veneziane al solo Francesco
Sforza. E costui prima della firma della pace a Cremona riuscì finalmente a
sposare la figlia del Visconti Maria, già da tempo promessagli dallo stesso
duca milanese che non aveva altri eredi diretti.
Con le nozze lo Sforza otteneva quale dote della moglie
Cremona e Pontremoli. Le nozze vennero celebrate nell'ottobre del 1441 nella
chiesa di San Sigismondo a Cremona e il 20 novembre venne finalmente siglata la
pace tra Milano e Venezia.
Qui lo Sforza venne accolto quale trionfatore e la casa che
fu del Gattamelata a San Polo venne messa a disposizione dell'illustre coppia.
A Bianca Maria Sforza venne anche regalato un gioiello del valore di un
migliaio di ducati. Niente in quei giorni festosi sembrava poter incrinare
l'amicizia e la devozione dello Sforza verso Venezia. Niente, fuorchè il mutare
rapido degli equilibri e delle ambizioni che presto avrebbero fatto della pace
di Cremona una semplice formalità. Gli ingredienti per creare una situazione
esplosiva, non mancavano.
Ancora e sempre il Visconti
Milano Filippo Maria
Visconti continuava a tessere complotti e intrighi, Francesco Sforza era ormai
all'apice dell'energia e delle sue ambizioni tanto più dopo le nozze con la
Visconti; a Firenze Cosimo de Medici guardava ora con crescente preoccupazione
all'espansione veneziana in Lombardia.
Date queste premesse l'unica potenza che avrebbe voluto
finalmente una pace duratura era proprio Venezia che si ritrovava ora a gestire
un dominio di terraferma che si estendeva per ben trecento chilometri verso
occidente e a sud fino a Ravenna. Ma le circostanze incalzavano il governo
ducale che nel 1446 scendeva con il suo esercito nuovamente in guerra. Il
Visconti infatti, si era mosso per l'ennesima volta contro il potente genero
che Venezia accettò di aiutare ed appoggiare ( come avrebbe potuto non farlo?).
Nel settembre di quel medesimo anno l'esercito veneziano
sbaragliava così i Milanesi a Casal Maggiore e attraversando l'Adda giungeva
fin sotto le mura di Milano. Disperato Filippo Maria Visconti chiese aiuto a
destra e a manca. A quel punto lo Sforza sapeva benissimo che se avesse atteso
un altro po' il Visconti avrebbe prima o poi ceduto. E così fu.
Purchè retrocedesse dall'assedio di Milano, il duca promise
allo Sforza di nominarlo suo erede e capitano generale delle forze milanesi. Il
destino poco dopo sembrò confermare queste promesse.
Il 13 agosto del 1447 infatti, Filippo Maria Visconti moriva
improvvisamente dopo una settimana di agonia tenuta nascosta. La notizia della
morte del duca sorprese anche Francesco Sforza che infatti allora non si
trovava a Milano dove invece scoppiò la più totale confusione.
Lodi e Piacenza poi, colsero l'occasione per consegnarsi
spontaneamente a Venezia, creando le premesse per un inevitabile scontro tra la
Serenissima e lo Sforza. Questi infatti, era stato nominato dal fragile governo
della neonata repubblica ambrosiana comandante delle forze milanesi.
E così venne chiesto più volte al senato veneziano di
restituire a Milano tutte le terre al di là dell'Adda appartenute al ducato
visconteo, ma i veneziani risposero che l'avrebbero fatto a patto che si fosse
rimborsato loro tutta la spesa occorsa per conquistarle. La richiesta,
inaccettabile anche finanziariamente per i milanesi fu la scintilla che provocò
il nuovo scontro tra Milano e Venezia.
Lo Sforza ora è a casa sua
Lo Sforza questa
volta combatteva apertamente per i suoi interessi con l'esercito milanese
contro i veneziani riuscendo a conquistare Pavia che si diede spontaneamente, e
dopo lungo e sanguinoso combattimento anche Piacenza. Alla fine del 1447 era
così riuscito a recuperare tutti i territori oltre l'Adda ad eccezione di Caravaggio.
Lo Sforza inviò così una flotta sul Po per contrastare i veneziani che al
comando di Andrea Querini dovettero ripiegare.
Intanto il capitano generale delle truppe terrestri
Attendolo, premeva affinchè l'esercito veneziano muovesse contro quello milanese
contro il parere dei due provveditori di campo Ermolao Donato e Gerardo
Dandolo. A nulla valsero i loro consigli di rimandare lo scontro poichè
l'Attendolo si era già mosso con le sue truppe contro lo Sforza. Per l'esercito
veneziano numericamente molto inferiore fu il disastro più totale.
L'urto con le soldataglie dello Sforza presso Caravaggio
provocò ben presto tra le fila dei Veneziani un fuggi fuggi generale dopo che i
due principali condottieri furono uccisi. Bartolomeo Colleoni dopo un generoso
tentativo di resistenza alla fine fuggì un un bosco lì vicino; Michele
Attendolo, capitano generale e colui che spinse l'esercito veneziano nel
disastro, ugualmente fuggì con ottomila tra cavalli e fanti. Solo i due
provveditori Donato e Dandolo invece, si rifiutarono di abbandonare il campo
anche se il loro generoso e orgoglioso gesto non mutò l'esito finale della
battaglia.
Francesco Sforza aveva ricostituito il ducato visconteo e
aveva dato a Venezia una sonora lezione sancendo definitivamente il suo personale
dominio.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 3, SCRIPTA EDIZIONI