“De falco non è un eroe e la telefonata del salga a bordo era costruita”
7 settembre ROMA
– Sull’opportunità o meno del trasferimento in ufficio,
preso dal diretto interessato come una sorta di “punizione”, non si sbilancia.
Ma è certo che Gregorio De Falco,
l’ormai ex capo della sezione operativa della direzione marittima di Livorno,
non sia un eroe. E ne è convinto perché è stato lui stesso, dice, a dimostrare
che quella telefonata del “salga a bordo cazzo” era tutta preparata, studiata a
tavolino.
A parlare così è, in esclusiva per Qui Grosseto, Patrizio Lepiane, noto penalista di
Monza, che nell’ambito del processo Concordia ha svolto, per la difesa di
Francesco Schettino, il controesame del capitano quando sedette sul banco dei
testimoni. In quel caso il legale aveva messo sotto torchio De Falco per oltre
tre ore, al fine – racconta “di riabilitare la figura di Schettino agli occhi
dell’opinione pubblica da diversi punti di vista, tra cui quello marittimo”.
“Dopo la famosa udienza uscirono sui giornali diversi
articoli dai quali emerse che, per quanto incalzato dalla difesa, il comandante
De Falco ha sempre sostenuto di aver agito nell’interesse delle persone a
bordo. La stampa però ha sviato da quello che era l’intento del controesame”.
Quindi, il vero e proprio attacco al comandante diventato
eroe:
La telefonata che ha fatto il giro del mondo non nasce
direttamente tra De Falco e il comandante Schettino. All’inizio della
registrazione, infatti, si sente che il comandante della Capitaneria di Livorno
dice: “Dovevo chiamare il procuratore, cazzo!” Tutto è stato costruito in modo
tale da poter dare in pasto all’opinione pubblica il capro espiatorio migliore
del mondo.
Insomma tutto ribaltato: De Falco non è un eroe. E Schettino
non è l’unico colpevole
Fonte: visto su IMOLAOGGI del 27 settembre 2014
Sotto l’articolo completo
COSÌ HO DIMOSTRATO IN AULA CHE DE FALCO NON FECE L’EROE”
foto Avv. Lepiane tratta da Lifestyleblog.it, foto Schettino
tratta da tvblog.it, foto De Falco tratta da youfeed.it, elaborazione grafica
qigrosseto.it
Il comandante è stato rimosso dai ruoli operativi. Ora
parla Patrizio Lepiane, l’avvocato che lo interrogò al processo Concordia: «La
famosa telefonata fu costruita prima»
di Angela Cipriano
Grosseto - La notizia è stata battuta in breve tempo da
tutte le agenzie di stampa. Gregorio De Falco, il comandante diventato celebre
per aver intimato a Schettino di tornare a bordo, la terribile notte del
naufragio, viene rimosso da incarichi operativi dopo dieci anni. Dalla fine di
settembre verrà trasferito in un ufficio, sempre della Sezione Marittima di
Livorno.
Il comandante non l’ha presa bene e parla addirittura di
mobbing. Si dichiara amareggiato e pensa di togliere la divisa e abbandonare il
suo lavoro: «Il nuovo incarico che mi hanno assegnato cancella in un attimo
dieci anni della mia vita e della mia professione».
Intanto pesa come un macigno l’ipotesi che questo
trasferimento non sia casuale e che possa essere collegato all’operato di De
Falco relativo a quella notte.
È lui stesso ad ammettere : «Mi sono fatto questa idea: che
ci possa essere un collegamento con il lavoro che ho fatto per il soccorso e
forse nelle indagini».
A questo proposito, in esclusiva per Qui Grosseto,
parla Patrizio Lepiane, noto
penalista di Monza, che nell’ambito del processo Concordia ha svolto, per la
difesa di Francesco Schettino, il controesame del capitano quando sedette sul
banco dei testimoni.
In una delle udienze più celebri, l’avvocato, con le sue
domande, è riuscito a mettere più volte sotto pressione il teste. Ha chiesto, e
ottenuto, che in aula venisse fatta riascoltare la famosa telefonata quasi
parola per parola. Tre ore di domande a raffica, per raggiungere un obiettivo
preciso: dimostrare che quell’uomo in divisa non era affatto un “eroe”.
E chissà che, viste le ultime notizie da Livorno, non ci sia
riuscito.
Avvocato, è notizia di queste ore che il comandante De
Falco è stato rimosso da incarichi operativi. Che idea si è fatto su questa
decisione, potrebbero esserci dei legami con il processo Concordia?
«Sicuramente qualcosa deve essere successo. È una cosa
alquanto strana. È ovvio che gli atti del processo siano stati letti da chi
sovraintendeva il tutto. Che poi agli occhi dell’opinione pubblica possa essere
una scelta di opportunità, non sta a me dirlo».
Quando De Falco ha testimoniato in aula, lei lo ha
incalzato con domande precise per oltre tre ore. Cosa voleva che emergesse?
«Il mio fine era quello di riabilitare la figura di
Schettino agli occhi dell’opinione pubblica da diversi punti di vista, tra cui
quello marittimo. Dopo la famosa udienza uscirono sui giornali diversi articoli
dai quali emerse che, per quanto incalzato dalla difesa, il comandante De Falco
ha sempre sostenuto di aver agito nell’interesse delle persone a bordo.
La stampa però ha sviato da quello che era l’intento del
controesame».
Perché, cosa non è stato detto dal punto di vista
mediatico?
«Che c’era un accordo a monte tra De Falco e la Procura. De
Falco tra i denti l’ha ammesso: quella telefonata non era diretta a Schettino
ma fatta d’accordo con la Procura.
La telefonata che ha fatto il giro del mondo non nasce
direttamente tra De Falco e il comandante Schettino. All’inizio della
registrazione, infatti, si sente che il comandante della Capitaneria di Livorno
dice: “Dovevo chiamare il procuratore, cazzo!”
Tutto è stato costruito in modo tale da poter dare in pasto all’opinione pubblica il capro espiatorio
migliore del mondo.
Ricordiamo poi, ed è un dettaglio non da poco, che quella
telefonata non è stata la sola intercorsa tra i due comandanti. Si erano già
sentiti altre tre volte. In queste occasioni i toni erano tutt’altro che
repentini, anzi, direi quasi concilianti.
Inoltre, Schettino aveva già avuto modo di riferire le
informazioni necessarie sull’incidente, al Comando generale delle Capitanerie
di Roma. Quindi lo stato dei fatti, avrebbe dovuto essere già a conoscenza di
tutti in quel momento.
Era impossibile, per esempio, non sapere che la nave,
all’ora della telefonata, fosse già ribaltata su un fianco. Questo è un
ulteriore elemento che conferma la “costruzione” della telefonata».
Qual era l’obiettivo di quella registrazione?
«Tutto era incentrato a dimostrare l’ipotesi di abbandono
nave. Cosa che, di fatto, non c’è mai stata. Schettino, fino a prova contraria,
come sostenuto anche da testimoni tra cui qualche sottufficiale, è stato
l’ultimo a scendere dal lato destro della nave, che si abbassò repentinamente.
Il comandante saltò su una scialuppa che era rimasta incastrata. A questo
proposito voglio specificare una cosa. Un ufficiale in seconda, a mia precisa
domanda provocatoria, disse: “Avvocato, eravamo sul lato sinistro, (quindi
quello opposto a dove si trovava il comandante), perché si stava più sicuri.
Ormai la nave si era sdraiata e stava ferma”».
Perché Schettino non risalì sulla nave?
«Schettino cercò di ritornare a bordo della nave con una
scialuppa mandata da una delle imbarcazioni arrivate sul posto per i soccorsi,
che però fu rimandata indietro. De Falco ammise senza dubbio che l’unico modo
per andare sulla nave era farlo con un elicottero. Ricordo bene che una delle
mie ultime domande fu: “Mi scusi, ma se lei ha ammesso che per salire sulla
nave l’unico modo era quello di andare con l’elicottero, perché non mandò
quello a Schettino?” De falco non rispose. Ci fu silenzio.
Purtroppo Schettino è stato preso a calci in faccia per cose
che sono state date in pasto all’opinione pubblica in modo falsato. Gli atti
hanno detto sicuramente altro».
Lei ha contestato fortemente al comandante De Falco di
aver dato a Schettino un ordine impraticabile, quello cioè di dover risalire
sulla nave utilizzando la biscaggina di prua, lato dritto.
«Esatto. Io avevo fatto descrivere bene a De Falco
l’inclinazione della nave al momento della famosa telefonata. Lui ha dichiarato
che, a causa della distanza, non era in grado di capire la posizione della
Concordia.
Gli feci allora notare che su internet c’erano già le foto
che mostravano la situazione in modo molto chiaro. La biscaggina che De Falco
erroneamente indicava, a quell’ora, era completamente sott’acqua.
Per quello Schettino continuava a ripetere che non poteva
risalire. L’unico modo per utilizzare la biscaggina era salire da quella posta
sul lato sinistro. Per fare questo Schettino avrebbe dovuto prima
circumnavigare la nave e poi bloccare il flusso delle persone che stavano
scendendo dalla scaletta, per farle risalire e poter andare a bordo. Una cosa
impensabile. Lui poteva risalire sulla Concordia solo con gli elicotteri e
questo lo dicono anche i Vigili del fuoco. Non c’erano altre vie logiche».
Dopo il suo controesame, l’impressione è che la figura
dell’“eroe” De Falco, sia stata molto ridimensionata.
«Secondo me sì. Era pacifico che fosse ridimensionata l’
eroicità del buon De Falco. Non so in che modo poi siano state gestite in
seguito le cose. Immagino ci sia stata un’indagine a livello marittimo ma cosa
abbiano letto non lo so. Non conosco quegli atti».
Cosa pensa del fatto che l’ex comandante della Concordia,
sia l’unico imputato di questo processo?
«Ricordiamoci sempre che qui c’è un grande assente, che per
ovvi motivi processuali e di opportunità ne è uscito bellamente ma che in
questo processo ha avuto il ruolo “fantastico “ di essere imputato, parte
civile e responsabile civile. Le sue responsabilità sono emerse in modo sempre
più evidente.
Se poi uno vuole negare la verità e non attenersi alle carte
processuali è un’altra cosa.
Le parti civili in aula sono rimaste senza dubbio scontente
da alcune decisioni, si sono molto lamentate ma fatto sta che è stato tutto
inutile. È rimasto un solo imputato».
Il 2 dicembre parlerà in aula Francesco Schettino. Cosa
si aspetta?
«Sono convinto che darà la sua verità che probabilmente è
quella molto più aderente ai fatti di quella che è stata raccontata finora. È
giusto che lui abbia diritto di difendere la propria dignità e la propria
persona nel miglior modo possibile».
La sentenza, invece, è prevista non prima della primavera
2015.
«Spero solo che la verità su quanto accaduto emerga in modo
totale e non parziale. I giudici hanno dato sempre dimostrazione di essere
imparziali e sono sicuro che lo saranno fino in fondo».
foto Avv. Lepiane
tratta da Lifestyleblog.it, foto Schettino tratta da tvblog.it, foto De Falco
tratta da youfeed.it, elaborazione grafica qigrosseto.it
Fonte:
da cui Grossseto del 28 settembre 2014
Link:
http://quigrosseto.corrierenazionale.it/interviste/a__cosa__ho_dimostrato_in_aula_che_de_falco_non_fece_la__eroea__/
CONCORDIA, DOMNICA: “LA NAVE AFFONDAVA E SCHETTINO ASPETTAVA
UN ELICOTTERO”
Aveva dato
sei
giorni all’ex capitano della Costa Concordia Francesco Schettino per
“dire la verità su quello che è successo immediatamente dopo aver dato l’annuncio
di
abbandono della nave”. Ora
Domnica Cemortan, la moldava che
era in plancia di comando della nave nella notte del
naufragio al
Giglio, rispetta la scadenza data all’ex capitano e dà la sua versione dei
fatti sul settimanale
Oggi.
La ballerina conferma che, dopo aver dato l’annuncio
di abbandono della Concordia, Schettino sarebbe salito al
ponte 11 della nave proprio con lei e il maitre Ciro Onorato.
“Anche se Schettino sostiene di esserci andato per controllare la dritta
della nave, io dico che eravamo lì ad aspettare un elicottero che
portasse via tutti e tre. O forse solo qualcuno di noi”. Una rivelazione che
non cambia la ricostruzione dell’incidente, ma secondo la moldava “riaccende i
riflettori sulla notte del 13 gennaio 2012 e mostra nello sviluppo delle
operazioni di soccorso alcune stranezze. Mentre a bordo si scatenava
l’inferno e decine di persone perdevano la vita, veniva predisposta un’uscita
rapida e indolore per pochi privilegiati“.
“Nessuno parlò dell’arrivo di un elicottero – precisa
Domnica su Oggi – ma mentre eravamo lì, il comandante aveva un’aria impaziente,
continuava a guardarsi in giro, come se aspettasse qualcosa. A un certo punto
disse: ‘Ma qui non ci vede nessuno!’”. La frase dell’ex capitano,
secondo la ballerina moldava, è un riferimento “inequivocabile” proprio
all’arrivo di un elicottero. “Chi mai doveva vederci di notte in cima alla
nave? – continua Domnica – Da sotto nessuno ci poteva vedere. Evidentemente era
dall’alto che dovevamo renderci visibili”.
Secondo il racconto della ballerina, dopo aver aspettato per
una ventina di minuti sul ponte 11, arrivò una telefonata a Schettino.
“Gli chiesi se stava arrivando un elicottero – conclude Domnica – ma lui
rispose che i piani erano cambiati e dovevamo tornare giù, ai ponti
inferiori“.
Fonte: visto su Il Fatto
Quotidiano,
del 30 settembre 2014