Dal testo di Francesco Zanotto
" Dignitoso fu il modo con cui il Nani
presentossi dinanzi a quel porto, intimando al bey, che se entro breve periodo
di giorni non avesse condegnamente risarcito i Veneziani del danno, avrebbe
egli operato l'eccidio di que' luoghi e di quelle coste. La minaccia non era di
vane parole; imperocchè con ogni facilità avrebbe il Nani potuto ottenere l'effetto delle sue minaccie.
Impaurito quindi il Bey di Tripoli, recossi egli stesso a bordo della nave
dell'ammiraglio, ed acconsentì ben presto alle condizioni che gli vennero
imposte".
ANNO 1766
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Con la scomparsa
delle grandi battaglie navali nel Mediterraneo, la pirateria, appoggiata dai
signori nord africani, diventa un insopportabile problema per i traffici delle
navi europee e veneziane.
LA SCHEDA STORICA - 139
La tensione tra Santa
Sede e governo veneziano rientrò immediatamente dunque, dopo l'elezione di un
cittadino della Repubblica al soglio di S. Pietro.
Venezia nel corso della sua secolare storia, a dire il vero,
non si era mai distinta per un particolare fervore religioso e tanto meno per
una decisa politica filo-papale, tutt'altro, erano stati molti di più i momenti
di tensione fra le due "potenze" che quelli di serena collaborazione.
La spiccata laicità dello stato
veneziano, ma specialmente la coscienza di una chiesa "nazionale" e
perciò autonoma in un certo senso da Roma, contribuirono a questo stato di cose
che neppure ora vennero smentite.
Pochi anni dopo aver ricevuto in dono la rosa d'oro da parte
del pontefice, il governo ducale pensò bene di chiudere ben 127 monasteri e
conventi con la messa in vendita delle loro rispettive proprietà a favore dello
stato che incassò la notevole cifra di tre milioni di ducati.
Era il 1767 e Venezia aveva più che mai bisogno di denaro
contante dal momento che in quegli stessi anni la Repubblica doveva cercare di
risolvere un altro gravoso problema, quello della pirateria.
Era questo un altro degli antichi problemi che avevano
praticamente accompagnato la nascita stessa della città e della repubblica
veneta che sin dai lontani V-VI secolo dovette fare i conti infatti, con le
feroci scorrerie dei pirati slavi nell'Alto Adriatico.
Allora, con la potenza veneziana in costante ascesa, il
problema si risolse alla fine con la soppressione puntuale delle bande
piratesche, anche se quello della pirateria resterà sempre per Venezia una
questione da affrontare.
Mediterraneo: mare di Venezia ma anche dei pirati ...
Dopo gli slavi infatti, arrivarono gli arabi e dopo di
questi i turchi. Il Mediterraneo, insomma, non si poteva certo considerare un mare tranquillo.
Chi lo attraversava, oltre che gli elementi naturali, non poteva non mettere in
conto anche eventuali, spiacevoli incontri.
Il problema si fece a dir poco assillante proprio nel corso
del XVIII secolo quando, cessate le grosse battaglie navali tra l'Europa
Cristiana e il Turco, le acque del Mediterraneo - e dell'Adriatico - divennero
libero campo d'arrembaggio da parte delle squadre navali dei più importanti
regni del nord Africa.
In Marocco, Algeria, Tunisia e attuale Libia, infatti
trovavano riparo e protezione i pirati che con le loro azioni preoccupavano non solo Venezia, ma
tutte le potenze europee che con l'Oriente intrattenevano cospicui traffici
commerciali.
E così Francia, Inghilterra e Olanda considerarono molto più
vantaggioso scendere a patti con i regnanti di quei paesi piuttosto che muovere
loro guerra, una guerra navale che nessuna delle potenze europee in questione
aveva la benchè minima idea di scatenare o di affrontare.
E Venezia scende a compromessi: pagare per evitare gli
assalti alle navi ...
La Serenissima a quel punto non potè che prendere atto di
questo e comportarsi di conseguenza. E così il governo ducale arrivò a firmare
un accordo con i principali signori nord africani.
I trattati che dal 1764 vennero via via firmati, prevedevano
che Venezia avrebbe pagato ai diversi governi africani chiamati in causa, una
somma complessiva di 60.000 ducati annui. In cambio le navi della Serenissima
non sarebbero state più attaccate dai pirati collegati a quei paesi; nessun
cittadino veneziano poteva essere catturato e trattenuto prigioniero nè venduto
in uno dei loro porti; nel caso in cui le navi veneziane venivano aggredite da
navi corsare, i firmatari dei trattati dovevano provvedere ad arrecare loro
assistenza.
Detto questo, tuttavia, le cose ben presto in realtà presero
ben altra piega. Incuranti dei trattati, infatti, i pirati d'Algeri, di Tunisi
e di Tripoli ripresero ben presto ad infestare le coste veneziane della
Dalmazia. Dopo alcune proteste da parte del governo veneziano, le cose
sembrarono rientrare almeno con i due bey (signori) di Algeri e di Tunisi, ma
non con quello di Tripoli.
Dopo inutili e poco convincenti proteste, il governo
veneziano decise alla fine di passare all'azione inviando una propria flotta
fino a Tripoli per rivendicare il rispetto del trattato e la restituzione del
bottino.
Jacopo Nani comandante della spedizione, dopo aver
attraccato in quel porto intimò al bey di Tripoli la restituzione del maltolto
se non voleva trovarsi le coste devastate dalla sicura ritorsione che i
veneziani erano pronti a mettere in atto.
La flotta anzi venne prontamente schierata in assetto di
guerra, in attesa della risposta del sovrano di Tripoli. Questi alla fine
riconobbe tutto il vantaggio di una saggia scelta, restituendo per quanto
possibile, le merci trafugate nelle azioni di pirateria ai danni della
repubblica.
Per le merci mancanti, Venezia avrebbe accettato anche un
indennizzo in denaro sempre molto gradito, naturalmente. Le richieste del
governo veneziano vennero dunque accolte e la faccenda per il momento si esaurì
così anche se la questione "pirati" non era ancora finita e sarebbe
ben presto riesplosa chiedendo alla Serenissima un ben altro impegno e un più
alto sacrificio.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 5, SCRIPTA EDIZIONI
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