giovedì 31 dicembre 2015

STORIA VENETA – 138: 1759 - DOPO ALCUNE TENSIONI COL PAPATO. IL DONO DEL PAPA

''Fissato il giorno 3 giugno alla solenne funzione della pubblica consegna della Rosa, imbarcati nei peattoni dorati della Signoria quaranta senatori, tra' quali erano i due cavalieri Giovanni Alvise IV Mocenigo, e Giovanni Antonio Diedo, e giunti alla abitazione del predetto nunzio apostolico, ed unitisi ivi col nunzio prefato e col portatore della Rosa monsignor Firrao, trasferironsi quindi nella Basilica di S. Marco, ove trattenuto si il nunzio per assumere i paludamenti sacerdotali affine di celebrare solennemente i divini misteri, recaronsi i senatori ed il Firrao nel Ducale Palazzo ... ".


ANNO 1759


Giuseppe Gatteri


Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.


Chiuso lo scontro con i Turchi Venezia trova subito nuovi problemi in Italia dove si rifanno tesi i rapporti con il Papa. Alla fine però, sarà Venezia a dover cedere.


LA  SCHEDA STORICA  - 138


Con il trattato di pace firmato a Passarowitz nel 1718, si chiudeva per l'Europa Cristiana l'incubo della minaccia turca. Da allora infatti, l'impero ottomano non avrebbe mai più costituito una seria minaccia nè per l'Europa nè per la repubblica di Venezia.
Per la Serenissima veniva meno il suo storico nemico, quella paura che ciclicamente negli ultimi quattro secoli dilagava puntualmente nella città.
Con il nuovo secolo la repubblica aveva pagato anche il suo ultimo tributo di sangue nel duro scontro con gli "infedeli", ma tutto questo portava con sè imprevedibili conseguenze sul piano del prestigio interno e internazionale.
Venezia non era più la grande potenza marittima indispensabile baluardo contro gli eserciti turchi e nella penisola nessuno degli altri stati italiani o delle potenze straniere poteva dire di aver bisogno di Venezia, anzi!
L'Adriatico stesso, trascurato per molti decenni a causa del continuo impegno in Oriente, non era più il regno privilegiato di Venezia che ne perse il monopolio a favore delle imbarcazioni di altre e più concorrenziali potenze europee.
Inutili le continue proteste del governo veneziano in proposito, prive di ogni realistico sussidio.
Alla repubblica veneta, insomma, scomparsi i turchi, restavano ben poche ragioni di orgoglio e di vanto se non la sua storia, la sua bellezza e i suoi ricordi legati ad un glorioso passato.
Ma Venezia non era ancora pronta a cedere il passo alla storia e reagisce come di consueto con quello che le apparteneva e da sempre la caratterizzava, con lo sfarzo più sfrenato, con le feste, le mascherate e gli immancabili intrighi." …[...] si è ridotta ad una esistenza passiva, non ha più guerre da affrontare, trattati di pace da concludere o desideri da esprimere ... ": queste le parole di uno storico francese coevo su Venezia nel suo secolo d'oro.
Già perchè se il Settecento fu l'anno della crisi e della fine stessa della Repubblica, fu anche il periodo di maggior splendore, non solo vano e superficiale, ma anche culturale e artistico. Bastino i nomi di Tiepolo, Canaletto, Guardi, Longhi per la pittura, o di Vivaldi, Benedetto Marcello, Albinoni per la musica.
Insomma, a Venezia, esaurito lo storico ruolo di difesa contro i turchi, restava sempre una sorprendente capacità di reagire e di esprimersi.
Alla città restavano pur sempre anche i suoi dogi che rapidamente si susseguirono nei primi vent'anni del nuovo secolo. Giovanni Corner, Alvise III Mocenigo, Carlo Ruzzini fino ad Alvise Pisani e Pietro Grimani.
Il dogato di quest'ultimo doge non si sarebbe contraddistinto per nulla di particolare, se non per il ritorno sulla scena storica di un antico problema che sin dalle sue più lontane origini aveva tormentato la vita politico-religiosa di Venezia: il Patriarcato di Aquileia.


La questione del patriarcato di Aquileia ...


 La parte friulana della diocesi era infatti tagliata dal confine con l'Austria tanto che si era arrivati all'accordo che il Patriarca di Aquileia sarebbe stato eletto alternativamente da Venezia e da Vienna, accordo di fatto sempre ignorato dalla Serenissima almeno fino all'avvento al trono austriaco di una donna: l'imperatrice Maria Teresa che ora aveva tutte le intenzioni di esercitare il suo diritto di elezione.
Appellatasi così al Papa Benedetto XIV questi alla fine fece la sua proposta: dividere in due il Patriarcato e Venezia avrebbe avuto autorità solo sulla parte che rientrava nei suoi confini dovendo anche spostare la sede a Udine.
Per la Serenissima era una proposta inaccettabile! Aveva praticamente perso tutto e ora anche la giurisdizione sul Patriarcato di Aquileia veniva messa in discussione. Era troppo! Eppure alla fine dovette cedere anche su questo versante.
Non era più nelle condizioni di dettare le regole, regole che anche questa volta vennero scritte altrove grazie ad un altro Savoia, Carlo Emanuele III, la cui proposta di abolire il Patriarcato per sostituirlo con due autonomi arcivescovadi, veneziano ed austriaco, venne alla fine accettato anche da Venezia.
E così, dopo dodici secoli di vita, il Patriarcato di Aquileia veniva cancellato a tavolino. Un altro pezzo di storia di Venezia che se ne andava.
E ad andarsene fu anche il doge, presto sostituito con un nuovo eletto nella persona di Francesco Loredan.
Non doveva essere piaciuta troppo la vicenda del Patriarcato al nuovo doge che, come primo atto, dal sapore di una ritorsione, firmò infatti un editto nel quale inficiava tutti i privilegi, le indulgenze o le dispense che i veneziani avrebbero chiesto ed ottenuto dal Papa, il quale, ovviamente, rispose duramente ed estremamente irritato al governo veneziano.
A complicare le cose ci si misero poi anche due sovrani, Maria Teresa d'Austria e Luigi XV di Francia che si schierarono con il pontefice contro le posizioni del governo ducale.
Destino volle che il Papa poco dopo morisse, nel 1758, lasciando il posto proprio ad un veneziano: Carlo Rezzonico che salì al soglio pontificio con il nome di Clemente XIII.
La festa esplose in laguna alla notizia dell'elezione e tutte le tensioni, come era prevedibile, rientrarono improvvisamente.
La cortese e conciliante richiesta del nuovo papa al "suo" governo di ritirare l'editto sulle indulgenze, trovò questa volta facile accoglienza in Senato.
La ritrovata serenità nei rapporti fra Venezia ed il Papato trovò anche tangibile espressione in un dono del tutto speciale ed eccezionale al doge Loredan da parte del papa veneziano.
Fra le molte onorificenze della Santa Sede, una delle più antiche era quella della Rosa d'Oro, in genere conferita a coloro che si erano distinti in opere magnanime o virtuose. La rosa veniva benedetta dal pontefice in persona ogni quarta domenica di Quaresima e così fu anche in quell'occasione.
Il 3 giugno tutto era pronto per la cerimonia che si sarebbe svolta naturalmente in S. Marco alla presenza del Nunzio Apostolico. La saggia scelta del doge veniva così generosamente ricompensata dal suo pontefice.


Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,  volume  5,  SCRIPTA EDIZIONI




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