''Fissato il giorno 3 giugno alla solenne
funzione della pubblica consegna della Rosa, imbarcati nei peattoni dorati
della Signoria quaranta senatori, tra' quali erano i due cavalieri Giovanni
Alvise IV Mocenigo, e Giovanni Antonio Diedo, e giunti alla abitazione del
predetto nunzio apostolico, ed unitisi ivi col nunzio prefato e col portatore
della Rosa monsignor Firrao, trasferironsi quindi nella Basilica di S. Marco,
ove trattenuto si il nunzio per assumere i paludamenti sacerdotali affine di
celebrare solennemente i divini misteri, recaronsi i senatori ed il Firrao nel
Ducale Palazzo ... ".
ANNO 1759
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
Chiuso lo scontro
con i Turchi Venezia trova subito nuovi problemi in Italia dove si rifanno tesi
i rapporti con il Papa. Alla fine però, sarà Venezia a dover cedere.
LA SCHEDA STORICA - 138
Con il trattato di pace firmato a Passarowitz nel 1718, si
chiudeva per l'Europa Cristiana l'incubo della minaccia turca. Da allora
infatti, l'impero ottomano non avrebbe mai più costituito una seria minaccia nè
per l'Europa nè per la repubblica di Venezia.
Per la Serenissima veniva meno il suo storico nemico, quella
paura che ciclicamente negli ultimi quattro secoli dilagava puntualmente nella
città.
Con il nuovo secolo la repubblica aveva pagato anche il suo
ultimo tributo di sangue nel duro scontro con gli "infedeli", ma
tutto questo portava con sè imprevedibili conseguenze sul piano del prestigio
interno e internazionale.
Venezia non era più la grande potenza marittima
indispensabile baluardo contro gli eserciti turchi e nella penisola nessuno
degli altri stati italiani o delle potenze straniere poteva dire di aver
bisogno di Venezia, anzi!
L'Adriatico stesso, trascurato per molti decenni a causa del
continuo impegno in Oriente, non era più il regno privilegiato di Venezia che
ne perse il monopolio a favore delle imbarcazioni di altre e più concorrenziali
potenze europee.
Inutili le continue proteste del governo veneziano in
proposito, prive di ogni realistico sussidio.
Alla repubblica veneta, insomma, scomparsi i turchi,
restavano ben poche ragioni di orgoglio e di vanto se non la sua storia, la sua
bellezza e i suoi ricordi legati ad un glorioso passato.
Ma Venezia non era ancora pronta a cedere il passo alla
storia e reagisce come di consueto con quello che le apparteneva e da sempre la
caratterizzava, con lo sfarzo più sfrenato, con le feste, le mascherate e gli
immancabili intrighi." …[...] si
è ridotta ad una esistenza passiva, non ha più guerre da affrontare, trattati
di pace da concludere o desideri da esprimere ... ": queste le parole di
uno storico francese coevo su Venezia nel suo secolo d'oro.
Già perchè se il Settecento fu l'anno della crisi e della
fine stessa della Repubblica, fu anche il periodo di maggior splendore, non
solo vano e superficiale, ma anche culturale e artistico. Bastino i nomi di
Tiepolo, Canaletto, Guardi, Longhi per la pittura, o di Vivaldi, Benedetto
Marcello, Albinoni per la musica.
Insomma, a Venezia, esaurito lo storico ruolo di difesa
contro i turchi, restava sempre una sorprendente capacità di reagire e di
esprimersi.
Alla città restavano pur sempre anche i suoi dogi che
rapidamente si susseguirono nei primi vent'anni del nuovo secolo. Giovanni
Corner, Alvise III Mocenigo, Carlo Ruzzini fino ad Alvise Pisani e Pietro
Grimani.
Il dogato di quest'ultimo doge non si sarebbe
contraddistinto per nulla di particolare, se non per il ritorno sulla scena
storica di un antico problema che sin dalle sue più lontane origini aveva
tormentato la vita politico-religiosa di Venezia: il Patriarcato di Aquileia.
La questione del patriarcato di Aquileia ...
La parte friulana
della diocesi era infatti tagliata dal confine con l'Austria tanto che si era
arrivati all'accordo che il Patriarca di Aquileia sarebbe stato eletto
alternativamente da Venezia e da Vienna, accordo di fatto sempre ignorato dalla
Serenissima almeno fino all'avvento al trono austriaco di una donna:
l'imperatrice Maria Teresa che ora aveva tutte le intenzioni di esercitare il
suo diritto di elezione.
Appellatasi così al Papa Benedetto XIV questi alla fine fece
la sua proposta: dividere in due il Patriarcato e Venezia avrebbe avuto autorità
solo sulla parte che rientrava nei suoi confini dovendo anche spostare la sede
a Udine.
Per la Serenissima era una proposta inaccettabile! Aveva
praticamente perso tutto e ora anche la giurisdizione sul Patriarcato di
Aquileia veniva messa in discussione. Era troppo! Eppure alla fine dovette
cedere anche su questo versante.
Non era più nelle condizioni di dettare le regole, regole
che anche questa volta vennero scritte altrove grazie ad un altro Savoia, Carlo
Emanuele III, la cui proposta di abolire il Patriarcato per sostituirlo con due
autonomi arcivescovadi, veneziano ed austriaco, venne alla fine accettato anche
da Venezia.
E così, dopo dodici secoli di vita, il Patriarcato di
Aquileia veniva cancellato a tavolino. Un altro pezzo di storia di Venezia che
se ne andava.
E ad andarsene fu anche il doge, presto sostituito con un
nuovo eletto nella persona di Francesco Loredan.
Non doveva essere piaciuta troppo la vicenda del Patriarcato
al nuovo doge che, come primo atto, dal sapore di una ritorsione, firmò infatti
un editto nel quale inficiava tutti i privilegi, le indulgenze o le dispense
che i veneziani avrebbero chiesto ed ottenuto dal Papa, il quale, ovviamente,
rispose duramente ed estremamente irritato al governo veneziano.
A complicare le cose ci si misero poi anche due sovrani,
Maria Teresa d'Austria e Luigi XV di Francia che si schierarono con il
pontefice contro le posizioni del governo ducale.
Destino volle che il Papa poco dopo morisse, nel 1758,
lasciando il posto proprio ad un veneziano: Carlo Rezzonico che salì al soglio
pontificio con il nome di Clemente XIII.
La festa esplose in laguna alla notizia dell'elezione e
tutte le tensioni, come era prevedibile, rientrarono improvvisamente.
La cortese e conciliante richiesta del nuovo papa al
"suo" governo di ritirare l'editto sulle indulgenze, trovò questa
volta facile accoglienza in Senato.
La ritrovata serenità nei rapporti fra Venezia ed il Papato
trovò anche tangibile espressione in un dono del tutto speciale ed eccezionale
al doge Loredan da parte del papa veneziano.
Fra le molte onorificenze della Santa Sede, una delle più
antiche era quella della Rosa d'Oro, in genere conferita a coloro che si erano
distinti in opere magnanime o virtuose. La rosa veniva benedetta dal pontefice
in persona ogni quarta domenica di Quaresima e così fu anche in
quell'occasione.
Il 3 giugno tutto era pronto per la cerimonia che si sarebbe
svolta naturalmente in S. Marco alla presenza del Nunzio Apostolico. La saggia
scelta del doge veniva così generosamente ricompensata dal suo pontefice.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 5, SCRIPTA EDIZIONI
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