Dal testo di Francesco Zanotto
"Il Senato ed il popolo veneziano preparato era a
riceverlo con tutta la pompa dovuta al suo grado ed ai suoi meriti. […] Sbarcava quindi il
Doge venuto al Lido, al suono festivo de' sacri bronzi, ed al tuonare delle
artiglierie de' legni pubblici e del castello di Santo Andrea; ed era
incontrato dall'abate di quel monastero di San Nicolao, e dal corpo intero de' Senatori; e ivi giunto il
bucintoro, questo saliva, al continuo fragore de' bronzi guerrieri. Vestiva egli ricchissimo manto aurato, ed avea
sul capo il berretto in costume di generale supremo del mare, ed il bastone,
accennante cotal grado, impugnava nella
destra."
ANNO 1690
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
L'11 gennaio del
1690, Francesco Morosini fa finalmente rientro a Venezia
dove lo aspetta un accoglienza trionfale. A ritornare infatti non era solo un
comandante, ma anche il nuovo
doge.
LA SCHEDA STORICA - 133
Dopo la conquista di
Napoli di Romania, le armate e le navi cristiane proseguirono anche per tutto
l'anno seguente nella loro vittoriosa avanzata in territorio nemico. Lepanto,
Patrasso e Corinto vennero conquistate proprio in quell'anno dalle navi
dell'inarrestabile ed intrepido Morosini, le vittorie scatenarono ovviamente
l'entusiasmo a Venezia e procurarono allo stesso comandante un busto bronzeo in
Palazzo Ducale.
Sull'onda delle inattese conquiste, le navi del Morosini si
portarono così lungo le coste dell'Attica puntando niente meno che su Atene.
L'antica città da secoli ormai seguiva il suo triste destino
di decadenza. Dell'antica e splendida città antica, culla della cultura e della
civiltà occidentali, era rimasto poco più che il ricordo.
Eppure questo da solo bastava per fare della conquista di
Atene un motivo di forte e profonda emozione. Tuttavia a prevalere non furono
certo gli aspetti emozionali quanto quelli militari.
Una volta posto l'assedio alla città da parte dei Veneziani,
infatti, accadde poco dopo il fattaccio. Morosini aveva fatto puntare un
mortaio proprio sul Partenone, l'antico tempio della città sull'acropoli.
Dal mortaio il 26
settembre del 1687 verso le sette di sera partì improvviso un micidiale colpo
che prese in pieno lo storico monumento
simbolo di Atene e della sua passata grandezza. Non bastava. I danni
dell'esplosione infatti vennero ulteriormente ingigantiti dal fatto che i
turchi a loro volta avevano trasformato il Partenone in una polveriera.
L'esplosione ebbe così proporzioni devastanti e deturpò per sempre il tempio
distruggendone completamente la cella e numerose colonne con la loro
trabeazione a rilievi.
Non contento, il Morosini, una volta conquistata la città, volle
recuperare i cavalli e il carro di Atena che si trovavano sul frontone del
tempio, ma al momento dello sciagurato furto, il gruppo scultoreo andò in mille
pezzi.
Lo scempio di uno dei più antichi monumenti d'Europa e
simbolo stesso della sua civiltà, si era miseramente compiuto.
Poco importava in quel momento ai soldati veneziani la
misera fine di tanta bellezza sopravvissuta nei secoli. Troppo grande e cieco
era l'entusiasmo per la vittoria che procurò al Morosini niente meno che la
nomina a nuovo doge nel marzo del 1688, nomina avvenuta eccezionalmente
all'unanimità e al primo scrutinio.
Il segretario Giuseppe Zuccato venne incaricato di portare
le insegne ducali al neo eletto dal momento che neppure l'alta nomina sembrò
distogliere il Morosini dal suo impegno nell'Egeo che anzi proseguì a pieno
ritmo.
L'8 luglio del 1688 infatti, il comandante veneziano fece
uscire le sue navi dal porto di Atene puntando dritto su Negroponte. Veneziana
per oltre 200 anni, Negroponte venne strappata alla Serenissima dai turchi nel
14 70 con orribile strage della popolazione civile il cui ricordo veniva ora ravvivato dalla
possibilità della sua riconquista.
Ma ad attendere i veneziani e le truppe del conte svedese
Von Konigsmark, non c'erano questa volta solo i turchi - numericamente molto,
molto inferiori ai cristiani -, ma anche un imprevisto destino di morte che
avrebbe infatti ben presto sterminato l'esercito alleato con una terribile
epidemia, forse di malaria.
Lo stesso comandante svedese finì la sua esistenza in quelle
tragiche circostanze e neppure l'arrivo di 4000 soldati freschi da Venezia mutò
la situazione che si fece veramente tragica anche a seguito di una
ammutinamento degli uomini. Morosini a quel punto fu costretto a retrocedere
dall'intento e a toglier l'assedio.
La sconfitta dovette risultargli tanto più bruciante per
essere stata causata da agenti esterni -l'epidemia - e di fatto dal tradimento
dei soldati. Doveva assolutamente recuperare la faccia, tanto più ora che era
anche diventato doge!
E così, l'orgoglioso comandante veneziano decise di puntare
su di un altro obbiettivo: la fortezza di Malvasia nel Peloponneso
sud-orientale. Tuttavia anche Malvasia si trasformò per il Morosini in un altra
cocente sconfitta personale.
Fiaccato nel fisico da una grave malattia, Morosini si vide
infatti costretto a cedere il comando a Girolamo Cornaro. Questi conquistò alla
fine la cittadella fortificata che tornò così veneziana dopo 150 anni, ma
Francesco Morosini allora era già sulla nave che lo avrebbe riportato a
Venezia.
E Venezia si dimostra magnanima con quel suo
condottiero ...
Era il mese di gennaio del 1690 quando il comandante
veneziano rimise piede nella sua città.
Ad accogliere il
''Peloponnesiaco'', come ormai era chiamato dal popolo il Morosini, c'erano i
membri del Senato e una moltitudine di persone, oltre a vari rappresentanti
stranieri.
Le ultime tristi vicende avevano appena offuscato lo
splendore delle precedenti imprese e in fondo a fare ritorno a Venezia non era
solo un comandante alquanto provato, ma anche il doge di tutti i veneziani.
Malgrado questo, l'indole guerriera aveva fatto indossare al
Morosini in quella giornata gli abiti del comandante anche se ora si trovava
nel più rassicurante Bucintoro, la nave ducale.
Risalito con questo il Canal Grande fino alla Piazzetta,
Morosini venne accolto da un folla festante e da un arco trionfale fatto
erigere per l'occasione. Un corridoio di colonne, con armi, trofei e scudi lo
condusse poi fino a Palazzo Ducale, splendidamente addobbato a festa.
Morosini si accingeva così dopo anni e anni spesi al
servizio della Repubblica ad impugnare le redini del potere supremo,
dismettendo le vesti del comandante per indossare quelle del doge.
Con l'assunzione alla massima carica dello stato, Francesco
Morosini poteva ritenersi soddisfatto. In quelle ore di giubilo e di calorosa
riconoscenza anche le umilianti operazioni di Negroponte e Malvasia gli
dovettero sembrare alquanto lontane.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 5, SCRIPTA EDIZIONI
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