Memorie di un finanziere della polizia
tributaria. Si potrebbe intitolare così il sorprendente documento esclusivo che
state per leggere. Si tratta della trascrizione, fedele alla lettera, del
disarmante sfogo di un disincantato, onesto e preparato maresciallo della
Guardia di Finanza, impegnato da diversi lustri nei temutissimi controlli alle
imprese. L’uomo, di cui evitiamo di indicare dati anagrafici e curriculum per
non renderlo riconoscibile, ha apparecchiato per Libero uno zibaldone di
pensieri, suddiviso in capitoletti, sul suo lavoro di tutti i giorni. Che per
lui è diventato un tran tran asfissiante, capace di condurlo quasi al rigetto.
Il risultato è questa spietata radiografia che stupisce e, in un certo senso,
preoccupa di un mestiere che tanto trambusto porta nelle vite degli italiani.
Infatti in questo sfogo il militare dipinge le ispezioni delle Fiamme gialle
come un ineluttabile meccanismo stritola-imprenditori il cui obiettivo non
sarebbe una vera e sana lotta alle frodi fiscali, ma una fantasiosa e famelica
caccia al tesoro indispensabile a lanciare le carriere di molti professionisti
dell’Antievasione. «Nel nostro lavoro ci sono forzature evidenti, a volte
imbarazzanti», ammette con Libero il maresciallo. Che qui di seguito svela
retroscena e segreti dei controlli che intralciano ogni giorno il lavoro di
centinaia di imprenditori. Una lettura che potrebbe agitare qualcuno e far
alzare il sopracciglio ad altri. Ma a tutti deve essere chiaro che non di
fiction si tratta e che domani il nostro maresciallo e la sua pattuglia
potrebbero bussare alla vostra porta. Preparatevi a leggere il testo di questo
finanziere raccolto in esclusiva da Libero.
Ossessione numeri - Dietro alle verifiche
ci sono enormi interessi economici: il dato del recupero dell’imposta serve a
molti. Sia ai politici che ai finanzieri. Nella Guardia di Finanza il
raggiungimento degli obiettivi legittima l’ottenimento dei premi incentivanti e
gli stipendi stellari dei generali, che sono decine: uno per provincia, più uno
per regione. Nel nostro Corpo esistono vere e proprie task-force che si
occupano di fare previsioni di recupero d’imposta e a fine anno queste devono
essere raggiunte, come se l’evasione fiscale si basasse su dei budget. Gli
operatori sul territorio sono meno di chi elabora questa realtà virtuale, su 64
mila finanzieri siamo circa 4 mila a fare i controlli.
Indietro non si torna - A fine anno i
generali chiedono il dato dell’imposta evasa constatata e lo confrontano con
quello dell’anno prima. Il risultato non può essere inferiore a quello di 12
mesi prima. Se il dato scende bisogna dar conto al reparto centrale di Roma del
perché si siano recuperati meno soldi e il comandante del reparto periferico
rischia di vedersi bloccare la carriera. Per questo le nostre verifiche
proseguono anche di fronte a evidenti illogicità. I nostri ufficiali
parlano solo di numeri e quando hanno sentore di un risultato, magari per una
previsione affrettata di un ispettore, corrono dai loro superiori anticipando
che da quella verifica potrà venir fuori un certo risultato: a quel punto non
si può più tornare indietro. Il verbale diventa subito una statistica, una voce
acquisita e ufficiale di reddito non dichiarato. Quando si prospetta un
ventaglio di possibilità per risolvere una contestazione si concentrano le
energie sempre su quella che porta il risultato più alto. Che sarebbe poco
grave se fosse la strada giusta. Ma spesso non lo è. Per la Finanza quello che
conta è il dio numero. Il nostro unico problema è come tirarlo fuori.
Per riuscirci c’è un nuovo strumento infernale,
la cosiddetta “mediana”, che va di
gran moda tra gli ufficiali. La si pronuncia con rispetto e deferenza, anche
perché da essa dipende la carriera di chi la evoca. Si tratta di uno studio
fatto a tavolino, che stabilisce il valore medio della verifica necessario a
raggiungere gli obiettivi, il tetto al di sotto del quale non si può andare. Se
capiamo che in un’azienda il verbale sarà di entità inferiore alla mediana,
derubrichiamo la verifica a controllo in modo che non entri nelle statistiche
ufficiali.
Alla Guardia di Finanza abbiamo uffici
informatici che elaborano dati in continuazione. Ma si tratta di numeri
“drogati”, come lo sono quelli dei sequestri. Nei magazzini dei cinesi ho visto
colleghi registrare alla voce “giocattoli” ogni singolo pallino delle pistole
per bambini. Spesso questi servizi si fanno in occasione delle feste natalizie,
così passa l’informazione che sul territorio c’è sicurezza.
Con questi numeri i
generali si riempiono la bocca il 21 giugno, giorno della festa del Corpo. Lo
speaker spara cifre in presenza di tutte le autorità, dei presidenti dei
tribunali, dei politici, ecc. ecc. Quel giorno è un tripudio di dati pronunciato
con voce stentorea: recuperata tot Iva, scovati tot milioni di redditi non
dichiarati, arrestati x emittenti fatture false. Una festa!
Normativa astrusa - La normativa
tributaria italiana è talmente ingarbugliata che si presta alla nostra logica
del risultato a ogni costo. Per noi è piuttosto semplice fare un rilievo visto
che siamo aiutati da questa legislazione astrusa e abnorme, spesso
contradditoria e conflittuale. Nel nostro Paese è quasi impossibile essere in
regola e per chi lo sembra ci prendiamo più tempo per spulciare ogni carta.
Infatti se una norma può apparire favorevole all'imprenditore, c’è sicuramente
un’altra interpretabile in maniera opposta. E in questo ci aiuta l’oceanica
produzione di sentenze, frutto di un eccessivo contenzioso. Un contratto,
un’operazione possono essere interpretati in mille modi e alla fine trovi
sempre una sentenza della Cassazione che ti permette di poter fondare un
rilievo su basi giuridiche certe. Questo
è il Paese delle sentenze.
Analizzando un bilancio, un’imperfezione si
trova sempre. Magari per colpa dello stesso controllore che prima dice
all’imprenditore di comportarsi in un modo e poi in un altro, inducendolo in
errore. Per esempio, su nostro suggerimento, un’azienda non contabilizza più
certe spese come pubblicità (deducibili), ma come spese di rappresentanza
(deducibili solo in parte). Quindi arriva l’Agenzia delle Entrate e spiega che
quelle non sono né l'una né l’altra. A volte succede che qualcuno abbia già
subito un controllo, abbia aderito a un condono e, zac, arriviamo noi e
contestiamo lo stesso aspetto, ma in modo diverso. Dopo i primi anni nel Corpo
non ho più sentito di controlli chiusi con un nulla di fatto e in cui si torna
a casa senza aver contestato qualcosa. Alla fine chi lavora impazzisce.
Chi sbaglia non paga - Come è
possibile tutto questo? Semplice: perché chi sbaglia non paga, ma anche perché
chi sbaglia non saprà mai di averlo fatto. Il motivo è semplice: noi non
comunichiamo con l’Agenzia delle Entrate e non sappiamo mai che fine facciano i
nostri verbali. Per questo se ho commesso un errore non lo verrò mai a sapere:
il nostro è solo un verbale di constatazione, a renderlo esecutivo è l’Agenzia
delle Entrate che lo trasforma in verbale di accertamento. Però raramente i
nostri colleghi civili bocciano il nostro lavoro, anzi questo non succede nel
99,9 per cento delle situazioni. Si fidano di noi e, anche se sono molto più
preparati, nella maggior parte dei casi prendono il nostro verbale e lo
notificano, tale e quale, al contribuente. Quello che sappiamo per certo è che
i nostri verbali, giusti o sbagliati che siano, diventano numeri e quindi non
ci interessa che vengano annullati, tanto non ne verremo mai a conoscenza né
saremo chiamati a risponderne. Per noi resta un grosso risultato. E visto che
nessuno paga per i propri errori, il povero imprenditore continuerà a trovarsi
ignaro in un castello kafkiano fatto di norme e risultati da ottenere.
Imprese sacrificali - Gli imprenditori
con noi sono sempre gentili, ci accolgono con il caffè, sopportano di averci
tra i piedi per settimane, ma si capisce che vorrebbero dirci: scusateci, ma
avremmo pure da lavorare. A noi però questo non interessa: dobbiamo
contestargli un verbale a qualsiasi costo e quando bussiamo alla loro porta
sappiamo che non hanno praticamente speranza di salvezza. Per contrastare
e contestare questa trappola infernale l’imprenditore è costretto a pagare
consulenti costosissimi, ma noi rimaniamo sempre sulle nostre posizioni. A
volte capita che per provare a difendersi il presunto evasore chiami in
soccorso come consulenti ex finanzieri, ma spesso questo non gli evita la
sanzione. Anzi.
Negli ultimi anni ho notato una certa
arrendevolezza da parte degli imprenditori: dopo un po’ si stancano. Capiscono,
e ce lo dicono, che tanto dovranno fare ricorso perché noi non cambieremo idea.
Per tutti questi motivi molti di loro costituiscono a inizio anno un fondo in
previsione della visita della Finanza. Sono coscienti che qualcosa dovranno
comunque pagare.
Chi fa veramente le grandi porcate, chi apre e
chiude partite Iva, emette false fatture o costituisce società di comodo magari
alle Cayman è molto più veloce di noi e per questo non lo incastriamo, mentre
azzanniamo quelli che operano sul territorio e che sono regolarmente censiti
nelle banche dati. Alla fine lo Stato colpisce sempre i soliti noti. Non è una
nostra volontà, ma dipende dal fatto che non abbiamo risorse per fare la vera
lotta all’evasione e in ogni caso dobbiamo fornire dei numeri al ministero per
poter legittimare la nostra esistenza come istituzione. Anche in Europa.
Tangente di Stato - L’imprenditore, se
accetta la proposta di adesione al verbale entro 60 giorni, paga solo un terzo
di quanto gli viene contestato e spesso salda anche se non lo ritiene giusto, per
togliersi il dente ed evitare ricorsi costosi (a volte più dei verbali) e sine
die. In pratica accetta di pagare una tangente allo Stato. Agli
imprenditori i ricorsi costano molto e se la commissione provinciale, il primo
grado della giustizia tributaria, dà ragione allo Stato, l’imprenditore prima
di ricorrere alla commissione regionale, il secondo grado, deve pagare metà del
dovuto. Per questo chi lavora spesso preferisce chiudere la partita all’inizio,
pagando un terzo.
Giustizia da farsa - Il contradditorio
tra Guardia di Finanza e imprenditori durante le verifiche è una farsa, perché
ognuno rimane sulla propria posizione, ma va fatto per legge. Nel
contradditorio gli imprenditori non hanno scampo: quel numero, quell’ipotesi di
evasione, ormai è stato venduto e non può più essere ridimensionato. È entrato
nel sistema e nelle nostre statistiche. A noi non interessa se magari dopo anni
quel verbale verrà annullato e non avrà prodotto alcun introito per lo Stato.
Le cose non vanno meglio con la giustizia
tributaria, gestita da commissioni composte da avvocati, commercialisti,
ufficiali della Finanza in pensione che fanno i giudici tributari gratuitamente
giusto per fare qualcosa o per sentirsi importanti. È incredibile, ma in Italia
il sistema economico-finanziario viene affidato a un servizio di
“volontariato”.
La verità è che un tale esercito di volontari
senza gratificazioni economiche non se la sente di cassare completamente il
lavoro di finanzieri e Agenzia delle Entrate e l’imprenditore qualcosa deve
sempre pagare. Difficilmente questi giudici per hobby danno torto allo Stato.
L’assurdità
è che vengono pagati 30-40 euro per motivare sentenze complesse che hanno come
oggetto verbali da milioni di euro, scritti da marescialli aizzati dal sistema.
Formazione assente - Il nostro vero
problema è la mancanza di specializzazione di un Corpo che cerca di riscattarsi
nel modo sbagliato, provando a portare a casa grandi risultati, sebbene
“storti”. A volte l’ignoranza aiuta a far montare un rilievo che non sta né in
cielo né in terra. Sulla nostra formazione non ho niente da dire, perché non
esiste. Eppure dobbiamo confrontarci con specialisti agguerriti, leggere
documenti in lingue straniere, e la gran parte di noi non sa una parola in
inglese. Non ci forniscono nemmeno i codici tributari aggiornati, mentre
spendono milioni per farci esercitare ai poligoni, visto che siamo
inspiegabilmente ancora una polizia militare, come solo in Equador e
Portogallo. Un commercialista lavora 12 ore al giorno e si forma
continuamente. Dall’altra parte della barricata c’è gente come noi che non vede
l’ora di scappare via dall’ufficio, dove spesso non ha neppure a disposizione
una scrivania o la deve condividere con altri colleghi. In questo modo il
lavoro diventa l’ultimo dei pensieri. I più bravi vanno in pensione appena
possono, per riciclarsi come professionisti al soldo delle aziende. Ci
vuole una fortissima motivazione per studiare una materia terribile come il
diritto tributario. Avvocati e commercialisti trovano gli stimoli nelle
parcelle, da noi un maresciallo con vent’anni di servizio guadagna 1.700 euro.
Gli incentivi li dobbiamo trovare dentro di noi, magari pensando di sfruttare
il sistema per trovare un altro lavoro. È illogico che un mestiere così
delicato, dove si contestano milioni di euro d’evasione, sia affidato a gente
sottopagata e impreparata. L’unico modo di tenersi aggiornati è quello di
studiare a proprie spese, pagandosi master e corsi. Purtroppo la formazione è
costosissima e spesso ci rinunciamo. È chiaro che un sistema del genere presti
il fianco al rischio della corruzione.
In più bisogna considerare che per noi le
verifiche sono particolarmente rischiose. In base alla mia esperienza non le
facciamo con la giusta professionalità, possiamo commettere errori in buona
fede, essere invischiati in fatti che neanche capiamo. Per esempio alcuni di
noi sono stati accusati di aver ammorbidito un verbale per un tornaconto, in
realtà lo avevano fatto per ignoranza e per questo ora quasi nessuno vuole più
fare questo tipo di lavoro.
Risorse all'osso - I nostri capi hanno
budget di spesa sempre più ristretti. Nonostante ciò ogni ufficiale deve
portare a casa i risultati con i soldi e le pattuglie che ha. Risultati almeno
uguali a quelli dell’anno precedente. A causa di questa mancanza di mezzi siamo
costretti a portare via dalle aziende penne, risme di carta, spillatrici. E
secondo me gli imprenditori se ne accorgono, ma non dicono nulla per
compassione.
Onestamente gli ufficiali non sono responsabili di questa penuria
di risorse, visto che i fondi destinati alla lotta all’evasione vengono decisi
dai politici. Ma la frustrazione dei nostri superiori viene compensata da
ottimi stipendi personali che lievitano grazie ai risultati conseguiti. Cosa
che ovviamente non succede a noi.
Nel nostro lavoro, la mattina, ammesso che
trovi una macchina libera, devi prima fare car-sharing e accompagnare diversi
colleghi ai reparti, quindi ti restano due o tre ore per fare visita a
un’azienda. Quando rientriamo da una verifica il nostro principale problema è
segnare sul registro quanti chilometri abbiamo fatto e quanta benzina abbiamo
consumato. Arriveremo al paradosso di fare le verifiche in ufficio a
contribuenti trovati su Google.
Lontani dalla realtà - I nostri vertici
sono lontani dalla realtà, sono convinti che noi facciamo “lotta all'evasione”.
C’è una distanza siderale tra chi sta in trincea, come me, e chi vive nei
salotti. Un maresciallo può parlare solo con il tenente e non con i gradi
superiori. Il nostro messaggio viene filtrato e arriva al vertice completamente
distorto. Nel nostro sistema militare non conta quello che pensi del tuo
lavoro, ma il grado che hai sulle spalle. L’ufficiale non va a riferire al
superiore se l’ispettore gli ha detto che un controllo potrebbe non portare a
niente. Al contrario insinua nei vertici la speranza che un risultato arriverà.
E così chi va in giro per aziende deve ingegnarsi per trovare il cavillo che
porti al risultato, solo per sentirsi dire bravo o per una pacca sulla spalla.
L’animo umano si accontenta di poco. In questa catena di comando in cui tutti
devono fare carriera non sono ammessi dubbi od obiezioni, l’informazione reale
resta a valle, al generale arriva quella virtuale, il famoso “numero”. In nome
del quale vengono immolati molti evasori virtuali.
Fonte:
visto su Libero.it del 26 aprile
2014
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