L'archeologo Emmanuel Anati è stato ospite del Festival biblico
Dove si trova realmente il Monte Sinai? In quale luogo Mosé ricevette le tavole della legge del decalogo?
Emmanuel Anati, che è stato ospite del festival biblico, non ha dubbi: il Monte Sinai non è, come suggerisce la tradizione, il rilievo su cui sorge il monastero di Santa Caterina, ma è la montagna di zafferano, la montagna gialla dell'Har Karkom. In due libri, editi da Edizioni Messaggero Padova, ha esposto i risultati portati alla luce da spedizioni italiane nel deserto del Negev, in Israele.
Proprio qui, ad Har Karkom, le ricerche di Anati hanno messo in luce una montagna sacra con altari, santuari ed altri luoghi di culto circondata da innumerevoli insediamenti riferibili all'età del bronzo, nel cuore del deserto dell'Esodo. Per la prima volta, ricerche in cui convergono archeologia, antropologia culturale, sociologia e topografia all'esegesi teologico-biblica, portano prove archeologiche concrete in accordo con il Pentateuco biblico. La Bibbia, rapportata anche a elementi di letteratura extra-biblica, smette dunque di essere mito e diventa storia.
Professor Anati, cosa l'ha portato alla scelta di diventare archeologo?
È stato il caso. Quando ho fatto la maturità, mio padre, che era architetto, mi ha iscritto a ingegneria. Dopo tre settimane sono scappato: ho frequentato corsi di geografia, scienze umane, storia e infine archeologia orientale. In realtà non faccio solo l'archeologo: mi interesso in generale alle scienze dell'uomo.
Da cosa ha avuto origine la sua teoria sull'Har Karkom?
Non è una teoria, è una verità sostenuta da prove. Ho scoperto questa montagna quando ero ancora studente, nel'54. Mi ha affascinato da subito, ma solo trent'anni più tardi ho cominciato a pensare che potesse essere il Sinai. È dunque una convinzione che è arrivata molto dopo che mi fossi interessato alla montagna stessa.
Come si difende dall'accusa di non essere in linea con la cronologia biblica maggiormente accettata?
Non mi devo difendere, ho dei fatti concreti. Penso che la cronologia tradizionale sia vecchia di cent'anni e che non tenga in considerazione le scoperte recenti.
L'archeologia e l'esegesi procedono di pari passo?
La ricerca delle scienze umane è trascinata dalla passione e dalla curiosità di saper risolvere i problemi e le domande che possono sorgere. Per rispondere a queste domande si usano tutti i mezzi a disposizione: io non faccio distinzione tra archeologia, esegesi, antropologia e semiotica. Ho trattato l'argomento non da studioso biblico, ma da antropologo sociale.
Quale ricerca l'ha più personalmente emozionato?
L'ultima, quella che farò domani. Non guardo al passato, guardo al futuro.
Lei ha viaggiato molto, è nato in Italia, ha studiato in Israele, negli Stati Uniti e in Francia. Qual è la sua patria?
Il pianeta terra. Viaggio per arrivare dove devo andare, non viaggio per diletto perché tutta la vita è un diletto. Viaggiare non vuol dire avere una casa dovunque. Forse la mia vera casa è nel deserto, dove non c'è casa.
Che cosa significa essere ebrei oggi?
Io sono di famiglia ebraica e in quanto tale ho condiviso molte esperienze della tradizione ebraica. Ma ho condiviso esperienze anche con gli aborigeni australiani, con i contadini del Messico e con alcune popolazioni africane.
Non posso dare una risposta, perché chi si sente ebreo oggi, ha esperienze diverse dalle mie.
Certo è che le persecuzioni che hanno colpito il popolo ebraico hanno influenzato la nascita di uno spirito particolare: ci portiamo dietro la tradizione dell' "ebreo errante" e siamo sempre con le valige pronte.
Fonte: Il giornale di Vicenza del 30 Maggio 2010 di Domenica 30 Maggio 2010, CULTURA, pagina 56
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