Toni è stato l’ultimo indimenticabile amico.
Più vecchio di me d’un paio d’anni, privo della nobile
pancetta che il bere e l'età procurano alla maggior parte di noi uomini, aveva
un aspetto giovanile: non dimostrava la sua età o li portava bene, come si
suol dire. Anche se sugli anni rubava più delle donne.
Credo d’averlo mai visto sbracciato o con i
capelli fuori posto. Sempre in giacca e cravatta, calzando scarpe che più
lucide non si poteva. Vestiva alla vecchia, con toni grigi o
blu. L’unico tocco un po’ moderno glielo davano i jeans. Mascherava le
calvizie con capelli cotonati, laccati e riportati. Credetemi! C’era
un lavoro di pettine e specchio non indifferente. Sul metro e settanta, capelli
neri (i pochi rimasti), occhi scuri, carnagione olivastra, sempre sbarbato,
naso camuso, labbra carnose, voce afona, sembrava un terroncino (1)
più che un padovano. D’altra parte, come poteva chiamarsi un padovano se non
Toni?
Ma Antonio non era il suo vero nome: per l’anagrafe
era Egidio, mentre la moglie lo chiamava Maurizio, e chissà quanti
altri nomi aveva dato in giro. Per noi amici e per il grande pubblico, era
comunque Toni: Toni Gussa.(2) Eh, sì! Si vantava di saper fare
all’amore. Raccontava che le sue stecche(3) duravano dalle tre alle
quattro ore. E noi, da buoni amici, gli rispondevamo che se ne avesse fatte un
paio, la femmina, dopo tanta goduria o tanto lavoro, doveva chiedere un giorno
di riposo. Esagerava forse, ma qualcosa di vero ci doveva pur essere per
il successo che otteneva.
Visto che l’ho frequentato per tanto tempo, a
malincuore devo ammettere che per lui le donne erano tutte uguali. Giovani o
vecchie, magre o grasse, belle o brutte: tutte uguali. Lo ripeto: non ne
percepiva la differenza. Erano donne. E teneva lo stesso atteggiamento con
tutte, senza distinzione. Oltre ai modi gentili, le contornava di complimenti
e, come ultimo atto, le invitava a bere qualcosa. Se rifiutavano, aveva sempre
pronto dei cioccolatini da offrire quando non aveva a portata di mano un
fiorista. Un’adulazione considerata dalle più sofisticate untuosa, ma non così
ripugnante, anche perché alcune ci cascavano.
Spesso, non si rendeva conto d'essere un nonno, e
m’irritava quando non capiva che alcune erano troppo giovani. A volte, il loro
imbarazzo o le loro risposte avrebbero fatto vergognare chiunque, mentre lui
quei rimbrotti li inghiottiva come se nulla fosse. Non capiva, o se capiva,
faceva finta di niente.
Altra passione di Toni era la musica. Sapeva
strimpellare un po’ il pianoforte e voleva cantare a tutti costi senza
avere una gran voce. Abbastanza intonato, anche se spesso non ricordava
tutte le parole delle canzonette, a bassa voce si riduceva a imitare Fred
Bongusto, accontentandosi di qualche applauso da parte di chi non lo
conosceva, e dei fischi e delle ingiurie di noi che non lo volevano sentire.
Ma veniamo al giorno che appresi d'una sua avventura
galante senza che lui m’avesse confidato alcun che.
Una sera, andando a cena con Loriano e con il suo
amico architetto che guidava l’automobile, all’altezza di Porta Vescovo vidi
Toni e, battendo sul finestrino, cercai di richiamarne l’attenzione.
L’architetto mi chiese chi volessi salutare e io risposi:
- Toni Gussa.
- È un nome che ho già sentito.
- Per forza: è il più grande seduttore della zona,-
con enfasi.
E l’architetto: - Se è quello che dico io è un gran
delinquente.
- Come un delinquente?... Toni è bravissima persona
che lavora da Mondadori.
- Scusa: ma non è un vecchio galante che offre alle
donne fiori e cioccolatini, e che, oltre a lavorare da Mondadori, fa anche
l’istruttore di guida presso l’autoscuola di Via XX Settembre?
- Sì, è lui!
- Allora, è quel farabutto che ha diviso una coppia di
miei amici.
E subito dopo si mise a raccontarne la storia.
- Ho una coppia di amici carissimi con due bellissimi
bambini. La moglie, di trentatré o trentaquattro anni, andava alle lezioni
di guida, di sera e dopo cena, da questo Toni. Il marito,
insospettito dagli orari e dai comportamenti della moglie, una notte la seguì e
la trovò sul fatto. Il giorno dopo, la donna lasciò il marito portandosi dietro
i figli. L'uomo, dopo aver pregato e scongiurato inutilmente per giorni e
giorni la moglie, preso dalla disperazione si recò a casa di questo
sessantenne. Trovò la moglie che inviperita gli rispose:
- De quele robe lì ghe n’ho fin sora i cavei, el se
rivolga a lù. (4)
Alla fine chiesi se la donna fosse bella. E
l’architetto dopo una smorfia:
- Insomma! Non è da buttar via, anche perché è molto
più giovane di lui.
Un paio di giorni dopo, stavo sorseggiando un bianco
con Toni, quando punto dalla curiosità:
- Senti un po’, delinquente che non sei altro!
Per fortuna, affermi sempre che le donne che lasci, dopo qualche mese trovano
chi le porta all’altare. Ma come la mettiamo con la signora …? - facendone
il nome.
Non avevo ancor smesso di parlare che ero già pentito
di avergliele dette. A uno poi che bastava dirgli di rimanersene zitto, che non
fiatava, di non cantare che cantava e che, se gli chiedevi un
piacere, non sapeva dir di no.
S’accese un lampo nei suoi occhi, sbiancò e imbarazzatissimo:
- Ha un uomo stupido che sessualmente non sa
soddisfare le esigenze della sua donna e capirne le attenzioni che
pretende. - e, in un'impennata d'orgoglio, aggiunse - Sai com'è, quando mi
assaggiano, non mi abbandonano più.
Come si fa a non voler bene a uno così, e che, per
giunta, lo chiamano anche Gussa?
(1) Piccolo uomo del Sud.
(2) Che fornica.
(3) Rapporti sessuali.
(4) Di quelle cose lì ne ho fin sopra
i capelli, si rivolga a lui.
Fonte: srs di
Enzo Monti del 14 ottobre 2013
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