Oggi ospitiamo una considerazione apparsa su diversi luoghi
del web, di Ettore
Beggiato, profondo conoscitore delle dinamiche delle istanze Venete
che oggi hanno trovato finalmente un po' di ribalta.
Quello che ci spinge ad offrirvi questa lettura - e le
nostre piccole note - è il fatto, conclamato, che le richieste di Autonomia,
Federalismo e Indipendenza, in Veneto, non sono l'ultima ondata
di una reminescenza dell'altro ieri, al contrario, sono il frutto di una
continua ricerca della Libertà ... il che le pone, completamente, su un
altro piano ... prima o poi ve ne dovrete far una ragione :)
La Questione Veneta è ritornata prepotentemente alla ribalta
nelle ultime settimane: prima il referendum digitale, poi l’inchiesta della
procura di Brescia con ben 24 arrestati, hanno riportato l’attenzione dei
mass-media italiani e internazionali sul Veneto; e, secondo diversi
commentatori, la crisi economica è stata la molla, il fattore scatenante
di quanto è successo.
Non condivido affatto questa lettura. Da sempre il
popolo veneto lotta per accrescere il proprio livello di autogoverno, e, a
seconda dei momenti storici, l’obiettivo è diverso: indipendenza, autonomia,
federalismo, autodeterminazione.
Il 22 marzo 1848, la Repubblica Veneta viene nuovamente
proclamata a Venezia in piazza San Marco, e "Viva la Repubblica!"
(Veneta, naturalmente), "Viva San Marco" sono gli slogan che
caratterizzano quella splendida stagione. "Quali erano i veri
obiettivi dell'insurrezione veneziana?" fu chiesto a Daniele Manin
negli anni del suo esilio parigino "Preferivamo essere una Repubblica
indipendente confederata con gli altri stati italiani" la risposta del
protagonista principale di quella straordinaria esperienza durata quasi un anno
e mezzo, dal 22 marzo 1848 al 24 agosto 1849.
Saltiamo al primo dopoguerra e Luigi Luzzatti, già presidente del consiglio dei ministri, sente la
necessità di scrivere al nuovo primo ministro, Vittorio Emanuele Orlando, il 7
febbraio 1919, una lettera densa di preoccupazione nella quale descrive il
profondo malessere e il senso di ribellione contro il Regno d’Italia che agita
la nostra società. La guerra, combattuta in larga parte nel territorio veneto,
aveva lasciato devastazioni, distruzioni e profonde ferite nel morale dei
veneti.
Luigi Luzzatti denuncia il pericolo che in Italia potesse
sorgere "un'Irlanda Veneta, mutando i paesi più patriottici e più
sobri nel chiedere, in ribelli della disperazione". Negli stessi anni
il prefetto di Treviso segnala al ministero la possibilità che nel Trevigiano
si crei un movimento separatista tendente a staccare il Veneto
dall’Italia.
Ed è un parlamentare repubblicano, Guido Bergamo di Montebelluna (Tv) che denuncia: "Il governo
centrale di Roma, questo governo di filibustieri, di ladri e camorristi
organizzati, non si accorgerà di noi se non ci decideremo a far da noi" e
ancora "Ora basta! Il problema veneto è così acuto che noi da oggi
predicheremo la ribellione dei veneti. Cittadini, non paghiamo le tasse, non
riconosciamo il governo centrale di Roma, cacciamo via i prefetti, tratteniamo
l'ammontare delle imposte dirette nel Veneto" (ehi dove le abbiamo già
sentite queste parole ... ndr). "L'unità d'Italia è un non
senso" scrive il 15 maggio 1920 La Riscossa, periodico repubblicano
trevigiano, e un anno dopo, il 15 ottobre 1921, si chiede se il Governo andava
bene che "il sentimento autonomista dei Veneti si trasformasse in aperta
ribellione ed assumesse carattere nettamente separatista"
Ma anche subito dopo la seconda guerra mondiale ci sono
nel Veneto segnali di inquietudine: sono in possesso di un volantino originale
dell’associazione San Marco par forza, nel quale si parla di "Autonomia
e Indipendenza di tutte le terre di San Marco" e di una
"Confederazione di Repubbliche o Regioni"; non a caso il 12 giugno
1945 il Ministero dell’Interno, da sempre particolarmente attento a tutto
quello che succede nel Veneto, chiede alla Prefettura di Venezia informazioni
su "persone che tendano ad una autonomia integrale del Veneto e alla
costituzione di una Repubblica di San Marco".
Per non parlare dell’insorgenza veneta del 1809 e di
tanti altri momenti di rivendicazione (pensiamo solo ai Serenissimi nel maggio
1997); quello che i commentatori “foresti” ma anche veneti, per la verità, non
riescono a capire è la mai sopita aspirazione del nostro popolo
all’autogoverno, la nostra forte, fortissima identità, il nostro riconoscersi
in un simbolo, il Leone di San Marco, che è molto di più di una bandiera, e un
simbolo, si sa ha varie sfaccettature, ci sono quelle materiali ma ci sono anche
quelle invisibili, imperscrutabili…è questo che a Roma non capiscono, e tutto
quello che non si capisce finisce per far paura…
Ettore Beggiato
A questo punto la cosa si fa MOLTO INTERESSANTE ...
l'Associazione San Marco par forza del 1945, era stata fondata e
propagandata da partigiani della resistenza antifascista ... quelli che
nell'immaginario semper-Risorgimentalista siamo abituati a considerare
schierati, a priori, a difesa dell'unità - qualcuno ci spiegherà un bel dì, che
la resistenza ha lottato per la LIBERTA' e non per l'UNITA'.
Il volantino consegnato a Beggiato (vedi sotto) viene
diffuso da Italo Valpiana, di Lugo Vicentino, attivo nella resistenza
nella zona di Isola della Scala, Verona. Il manifesto in questione,
stampato dall’ Associazione San Marco par forza – Unione autonomista delle
Tre Venezie conteneva proposte che anticipano di oltre quaranta anni i
temi che sarebbero esplosi negli anni ottanta e che non hanno ancora trovato
soluzioni concrete.
Un partigiano alla ricerca della libertà per il suo
popolo ... diteci ancora che non si può fare ...
Concludiamo poi con le parole di Fausto Schiavetto,
che ancora nel 2002 ci ricordava come alcune tematiche fossero ben presenti a
sinistra, un tempo.
Nel 1945 (ma anche negli anni immediatamente precedenti e
seguenti) erano piuttosto di sinistra e piuttosto concentrati nel campo azionista
e socialista i difensori dell'idea venetista.
Ricordiamo ancora una volta Meneghetti, che fu senz'alcun
dubbio, morto Trentin, la personalità di maggior spicco e spessore politico e
culturale della Resistenza veneta. Notissimi a tutti sono gli scritti in veneto
di quel periodo. Morin appunto era un suo amico e compagno di partito, afferma
decisamente che : "in alcuni partiti, nonché in vasti strati della
popolazione, esiste una accentuata tendenza alla autonomia".
Concordo infine nel giudicare scandaloso trattamento
riservato a Bepin Segato, a Luigi Faccia e agli altri Serenissimi a cui va la
mia solidarietà di ex prigioniero politico e la prego di inoltrare i
miei saluti. Per esperienza personale so quanto pesi la repressione, ma quanto
anche pesi in positivo la convinzione nelle proprie idee e il sentirsi,
l'essere immersi nel proprio popolo. Quando me ne stavo in isolamento nel
carcere di Treviso, non mi era difficile, dalle fronde di un albero, dal colore
stesso del cielo, da qualche voce veneta che si udiva dalle camerate,
innalzarmi sopra Santa Bona e vedere il paesaggio, la campagna, immaginare la
sagoma, conosciuta dall'infanzia, delle Prealpi, dal Grappa al Consiglio,
vedevo la lunga sagoma del Montello, il lento tortuoso e sassoso progredire del
Piave nelle sue grave, le sagome dei campanili . Mi pareva allora che ero io
che circondavo il carcere. Talvolta guardavo con una certa compassione le
guardie, la più parte sardi, che mi accompagnavano nella passeggiata per l'aria
solitaria dell'isolato. Mi parevano esse gli estranei. Il riconoscersi popolo e
paesaggio, fortissimo nei Veneti, pur nella mitezza del loro esprimersi, non
sarà tanto facilmente geneticamente modificato. Con questa caratteristica si
dovrà ancora a lungo fare i conti.
Fausto Schiavetto
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