di ENZO TRENTIN
Affermava Mark Twain: «Solo ai morti è permesso
di dire la verità», aggiungendo dopo che diversi dei suoi scritti
furono censurati o respinti dai suoi editori e caporedattori, sopportando le
conseguenze dello scomodo privilegio di quella libertà di opinione a cui cercò
sempre di dare espressione: «Un uomo non è indipendente, e non può
permettersi di avere delle idee che potrebbero compromettere il modo in cui si
guadagna il pane. Se vuole prosperare, deve seguire la maggioranza. Per
questioni molto importanti, come la politica e la religione, deve pensare e
sentire come la maggior parte dei suoi vicini, altrimenti subirà danni alla sua
posizione sociale e ai guadagni negli affari».
Ma la questione non si esaurisce nella visione di
Mark Twain. C’è la corruzione nelle redazioni. Giornalisti (e giornali)
”comprati”. Un Rapporto realizzato per il Center
for International Media Assistance (CIMA) denuncia la sottovalutazione del
problema della corruzione nel giornalismo – «Siamo stati tanto impegnati a
difendere i giornalisti da diventare troppo timidi nell’analisi e nella denuncia
di questo aspetto del nostro mestiere», denuncia la Ricerca e indica una
serie di misure per combattere «il lato oscuro della professione» – Un ampio
paragrafo viene dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta
altrettanto – se non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.
In Ghana un giornalista va a una conferenza stampa e
nella cartellina trova una busta marrone con dentro un assegno
per un valore di 20 dollari. Non si meraviglia, e alla fine dell’incontro
la infila in borsa e torna in redazione a scrivere il pezzo.
In Russia un’agenzia di pubbliche relazioni manda in giro
un falso comunicato relativo a una azienda inesistente. Tredici testate abboccano
e si dicono disponibili a pubblicare la nota in forma di articolo, ma solo
dietro pagamento, con richieste che vanno dai 120 ai 2.000 dollari. Soldi per
scrivere (o per non scrivere): è quello che Rosental Alves, direttore del Knight Center for Journalism in
the Americas della University of Texas chiama «il lato oscuro della professione» e che si verifica ogni giorno in ogni
parte del mondo.
Il tema è al centro di ”Cash for Coverage” un
Rapporto che Bill Ristow,
giornalista di Seattle ed esperto in formazione dei giornalisti, ha realizzato
per il Center for International Media Assistance (CIMA), un progetto che fa
capo al National Endowment for Democracy (NED). Nell’introduzione Ristow
rileva come Alves sia fra le persone
convinte che le organizzazioni dei giornalisti non abbiano fatto abbastanza per
combattere la corruzione. «Non è un tema di cui si occupano in molti – rileva
Alves -. Siamo stati tanto impegnati a difendere i giornalisti da diventare
troppo timidi nell’analisi e nella denuncia di questo aspetto del nostro
mestiere».
Non solo i giornalisti e i loro editori accettano
bustarelle per fare articoli su materiali truccati, ma spesso entrambi
istigano ed estorcono soldi per pubblicare storie favorevoli a qualcuno o non
pubblicare articoli che possano danneggiare qualcun altro. Il Rapporto
naturalmente sottolinea come la corruzione nel mondo giornalistico non sia
diffusa solo nei paesi in via di sviluppo, e un ampio paragrafo viene infatti
dedicato alla situazione in Europa e Nord-America che risulta altrettanto – se
non più – preoccupante rispetto al resto del pianeta.
Nonostante tutte le campagne organizzate per sostenere lo
sviluppo dei media e difendere la libertà di stampa nel mondo, è stato
fatto molto poco in maniera concertata per ridurre il problema della corruzione
nel giornalismo – e quel poco che è stato fatto proviene da una fonte che può
sorprendere un giornalista: i professionisti delle Pubbliche relazioni. Le loro associazioni internazionali hanno
sponsorizzato le ricerche più approfondite mai fatte sulla questione, e sia in
Europa dell’est che altrove la gente delle PR ha cercato di lavorare insieme ai
giornalisti per ripulire l’industria delle notizie.
Alcuni, fra cui anche esperti nel campo della libertà di
stampa con molta esperienza, ritengono che i difensori dei giornalisti
debbano fronteggiare attacchi che provengono da così tanti lati che si sentono
a disagio a criticare tutti gli aspetti dei media stessi, per quanto queste critiche
siano ben meritate. Alves, tuttavia, è
uno di quelli che sono convinti che puoi difendere la libertà di stampa e
chiedere nello stesso tempo degli alti standard. E non è d’accordo con la comune preoccupazione
secondo cui il problema del giornalismo ‘comprato’ è così profondamente
radicato da diventare virtualmente insolubile. «Non penso che sia
impossibile – dice -. È molto difficile, certo, ma i miglioramenti che
si sono verificati mostrano che qualcosa si può fare, basta cominciare ad
agire».
Sulla base di una serie
di interviste a persone che hanno lottato contro lo spinoso
problema della corruzione, l’autore del Rapporto delinea le principali raccomandazioni
per un’azione che – afferma – possa fare la differenza nell’impegno per ridurre
questa macchia sulla professione giornalistica.
Intanto uno dei temi più controversi del momento è: l’Italia
riformi la legge e depenalizzi il reato di diffamazione.
È l’invito rivolto dalla rappresentante per la libertà dei
media dell’Osce, Dunja Mijatovic, in
una lettera al ministro degli esteri Emma Bonino in cui esprime
“preoccupazione” per le pene detentive inflitte per diffamazione ai tre
giornalisti di Panorama Marcenaro, Mulé e Arena. (ANSA)«In una moderna democrazia nessuno dovrebbe essere
imprigionato per quello che scrive», scrive Mijatovic. Nella lettera al
ministro Bonino, Mijatovic ricorda il caso Sallusti
e sottolinea il fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha
stabilito ripetutamente che «la reclusione per il reato di diffamazione è
sproporzionata e dannosa per una società democratica» [...] «I tribunali civili
sono del tutto in grado di rendere giustizia alle rimostranze di coloro i quali
si ritengano danneggiati nella propria reputazione», scrive ancora la
rappresentante per la libertà dei media nella lettera pubblicata sul sito
dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. «La
reclusione per diffamazione ha un grave effetto raggelante che mina l’efficacia
dei mezzi di comunicazione», dichiara ancora Mijatovic. «Continuerò a lavorare a stretto contatto
con le autorità italiane per promuovere la depenalizzazione della diffamazione.
Dovrebbe essere fatto presto per evitare ulteriori accuse di diffamazione
e per stimolare l’attività giornalistica investigativa», sottolinea infine
la rappresentante per la libertà dei media dell’Osce, che ha esortato tutti gli
altri Stati membri dell’organizzazione che hanno leggi penali sulla
diffamazione ad abrogarle.
Tuttavia si sa: l’inferno e lastricato di buone
intenzioni. Nell’Italia d’oggidì non sono queste le priorità che
interessano il legislatore. Né al cosiddetto popolo sovrano è concesso d’intervenire.
Ci sono un sacco di authority che garantiscono questo e quello; nessuna che
garantisca il lettore che ha diritto di conoscere, del prodotto giornalistico
che acquista, l’esatta e aggiornata composizione dell’assetto proprietario,
nonché l’elenco dei principali inserzionisti pubblicitari, degli azionisti di
controllo, eventuali patti di sindacato, e i possessi collaterali dei
partecipanti al patto, i bilanci societari. Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione,
nel colophon (gerenza), del Consiglio di amministrazione, della
tiratura, dell’eventuale quotazione in borsa, dell’ammontare della raccolta
pubblicitaria e dell’elenco dei committenti. Periodicamente i lettori
dovrebbero essere informati delle variazioni di tiratura. Annualmente dovrebbero
essere pubblicati lo Statuto interno, il testo integrale dei Patti intercorsi
tra editore e direttore e i principali codici deontologici che regolano la
professione giornalistica. Obbligatoria dovrebbe essere la pubblicazione delle
fonti giornalistiche e delle qualifiche dei collaboratori, soprattutto se
ricoprono incarichi politici.
Solo allora si potrebbe avverare ciò che Joseph Pulitzer
(1), già aveva scritto: «…un’opinione pubblica bene informata è la nostra
corte suprema. Perché a essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche
ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare, gli errori del governo, e
una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello».
NOTA: (1) così J. PULITZER, Sul giornalismo, Bollati
Boringhieri, 2009, 101.
Fonte: srs di Enzo
Trentin, da L’Indipendenza del 8 giugno 2013
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