domenica 30 novembre 2014

I GENOCIDI DEI MIGRANTI: GLI ORRORI DELL'UOMO BIANCO IN TASMANIA






C'era una volta un popolo che viveva felice e libero.
Non praticava l'agricoltura, non faceva ceramiche, indossava vestiti semplici ed era gentile e pacifico.

POI ARRIVÒ LA CIVILTÀ...

Nel giro di 70 anni tutti i popoli indigeni della Tasmania sono stati spazzati via.
E 'stata chiama "LA GUERRA NERA DI TERRA DI VAN DIEMEN", la campagna ufficiale di sterminio iniziata nel 1803  che decimò gli indigeni della Tasmania nel solito modo "civile" brutale.

I sopravvissuti allo sterminio dell'uomo bianco, in prevalenza inglese, sono stati imprigionati e convertiti al cristianesimo.

I bambini sono stati separati dai genitori per facilitare il lavoro di "civilizzazione"..

La dieta imposta in carcere ha causato loro grave malnutrizione che ha fatto presto ammalare gran parte dei sopravvissuti.

Nel 1869 solo due indigeni della Tasmania sono rimasti in vita!!

L'ultimo sopravvissuto si chiama Truganini.

Sua madre è  stata accoltellata a morte da un europeo,

Sua sorella è stata rapita dagli europei, poi soffocata da altri due europei che l’hanno violentata ed assassinata in sua presenza.

MASSACRI, STUPRI E SCHIAVITU'

I bianchi rapivano i bambini tasmaniani per usarli come braccianti (schiavi) nelle fattorie, rapivano le donne da prendere come consorti, mutilavano o uccidevano gli uomini, violavano i loro territori di caccia e cercavano in ogni modo di scacciarli dalle loro terre.

Con la proclamazione della legge marziale del 1828, i soldati furono autorizzati ad uccidere a vista qualsiasi tasmaniano nell’area colonizzata.

Poi fu messa una taglia sui nativi: 5 sterline britanniche per ogni adulto e 2 sterline per ogni bambino, se catturati vivi. Hanno trasformato la “caccia ai neri”, come fu chiamata a causa della pelle scura dei tasmaniani  fino alla sterminio totale avvenuto nel  1876,  in un’attività redditizia  sia per i privati cittadini che per le pattuglie ufficiali.


SI  E' ESTINTO  IL  POPOLO DELLA TASMANIA.  ERA  ARRIVATA LA  CIVILTA’  E LA DEMOCRAZIA.




sabato 29 novembre 2014

YAZIDI. IL GENOCIDIO DEGLI ANGELI

Fanciulla  yazida


In Iraq è caccia agli yazidi, la religione più tollerante e antica del medio oriente.
Dopo i mongoli, è lo Stato islamico a passarli a fil di spada. Non credono all’inferno, gli islamisti ne stanno preparando uno per loro


Roma. Due giorni fa il Daily Telegraph ha titolato così: “Morte di una religione”. Perché lo yazidismo, che assieme all’ebraismo è la più antica religione del mondo, è sul punto di scomparire.  Dopo i cristiani di Mosul, lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante ha preso di mira gli yazidi, “i dualisti maledetti” come ebbe a definirli il Tamerlano, il turco convertito all’islam che ne passò a migliaia a fil di spada.
Un detto yazida oggi recita: “Eravamo 17 milioni. Oggi siamo 700 mila”. Molti sono fuggiti all’estero e in 40 mila sono adesso asserragliati nella montagna irachena di Sinjar. “Pensate a ‘Hotel Rwanda’ o al compound Onu di Srebrenica: questo è il monte Sinjar oggi”, scrive un laburista inglese, invocando un intervento umanitario occidentale a difesa degli yazidi. Gli yazidi (o yezidi) hanno due alternative: scendere dalla montagna per essere macellati dagli estremisti islamici che li hanno condannati a morte, o restare e morire di fame e sete. La montagna-rifugio di Sinjar sta già diventando un cimitero.





I peshmerga curdi sono la loro unica speranza. Il loro assedio è come quello dei catari nella fortezza di Montségur. Gli eretici si arresero per fame dopo nove mesi di assedio e il fumo dei loro roghi oscurò il cielo della regione francese per molti giorni.
“Il mio popolo è stato massacrato”, ha denunciato ieri da Baghdad Vian Dakheel, parlamentare yazida. “La nostra religione viene cancellata dalla faccia della terra. Vi imploro, in nome dell’umanità”. Finora si conterebbero almeno cinquecento morti fra gli yazidi.
Tahseen Sayid Ali, leader spirituale del popolo yazida, ha scritto una lettera aperta alla comunità internazionale: “I terroristi islamici hanno chiaramente espresso che vogliono vedere fiumi di sangue yazida”.
A Tal Afar, gli islamisti avrebbero giustiziato cento yazidi. Le donne sono risparmiate per convertirle e lasciarle alla mercé sessuale dei terroristi. Il 3 agosto scorso le milizie dell’Isis, che accusano gli yazidi di essere “adoratori del diavolo”, hanno massacrato almeno settanta membri di questa antichissima fede. Lo Stato islamico ha detto che “continueremo fintanto che questi leader satanici non consentiranno la conversione di ogni yazido all’islam”.
I prodromi delle stragi si registrarono un anno fa, quando una madre yazida e tre figli furono sgozzati dai fondamentalisti islamici perché ritenuti “eretici” nel villaggio di Tel Qutbub, a centoventi chilometri da Mosul. Lo Stato islamico adesso ha pubblicato sui social network le immagini della presa di Sinjar. Una di queste mostra sei yazidi a faccia in giù in un campo, una pistola puntata alle loro teste. “Uccideteli ovunque li trovate”, è la didascalia.

Tra la cabala e Zoroastro




La parola persiana “yazd” vuol dire angelo. Infatti gli yazidi adorano l’Angelo Pavone, Melek Taus. Ma l’origine degli yazidi è ancora oggetto di dibattiti accademici.
C’è chi li fa risalire al giudaismo cabalistico (riposano di sabato e accendono le candele). Altri li identificano con i carduchi che diedero filo da torcere a Senofonte durante la ‘Anabasi’. Gli iraniani li ritengono parenti degli “adoratori del sole” che ancora vivono in nuclei sperduti sull’altopiano iranico. I più antichi documenti che abbiamo dello yazidismo, infatti, sono lamenti per lo spegnimento forzato dei sacri fuochi zoroastriani e per i massacri subiti durante l’invasione islamica.

Oggi gli yazidi convivono nelle valli irachene con gli ultimi gnostici, i Mandei, una delle più antiche, piccole e meno conosciute tra le minoranze irachene. I Mandei parlano un aramaico simile al dialetto del Talmud babilonese e sono i cugini del popolo che produsse i codici di Nag Hammadi (come il Vangelo di San Tommaso).

A favore dell’invasione americana

Come ha scritto Lawrence Kaplan su New Republic, la popolazione yazida è stata fin dall’inizio entusiasta del cambio di regime imposto dagli americani a Baghdad. Anche per questo gli estremisti sunniti li odiano. Li accusano di essere “collaborazionisti”. Dopo l’avvento al potere del partito Baath nel 1968 venne emanata una direttiva politica, secondo la quale gli yazidi dovevano “tornare alle loro origini arabe”. I baathisti ordinarono l’evacuazione di tutti i villaggi yazidi e la deportazione degli abitanti verso “centri collettivi”. Fu l’inizio di un genocidio culturale. Sia i villaggi degli yazidi sia i loro luoghi sacri vennero rasi al suolo.

Saddam Hussein voleva distruggere il loro territorio e la loro religione reinsediandoli in una zona araba per poterne annientare l’identità. Ma non ci riuscì. Come non ci è riuscita al Qaida nel 2007, all’apice del surge americano, quando i terroristi islamici rasero al suolo due interi villaggi yazidi. 796 morti. Fu il più spaventoso attentato dall’11 settembre: “Le Torri gemelle del Kurdistan”. Le bombe qaidiste sterminarono interi clan yazidi antichi migliaia di anni. Molti di loro evaporarono letteralmente per via delle esplosioni. “Un genocidio”, disse il comandante delle truppe statunitensi nel nord dell’Iraq, il generale Benjamin Mixon.
Accusati di blasfemia, politeismo e apostasia dai fanatici islamisti, gli yazidi contano “72 genocidi” nella loro storia. Ieri, da Baghdad, la parlamentare Dakheel ha detto: “Per 72 volte nella storia hanno tentato campagne genocide contro gli yazidi. E la cosa si sta ripetendo nel XXI secolo. Un’intera religione rischia di sparire dalla faccia della terra”.

Accademici hanno calcolato che ventitré milioni di yazidi siano stati decimati in settecento anni di invasioni e di genocidi.
La “caccia agli angeli” iniziò nel 1170, quando l’espansionismo musulmano si lasciò alle spalle cinquantamila yazidi. I mongoli, sotto la guida di Hulagu Khan, nel 1218 raggiunsero gli yazidi e ne macellarono a migliaia, ma incontrarono una forte resistenza e alla fine si ritirarono.
Il leader yazida Sheikh Hassan venne ucciso dai musulmani e il suo corpo, nudo, venne appeso a un cancello di Mosul, dove sarebbe stato visibile agli altri yazidi. Il tempio più sacro, a Lalish, venne profanato, e le ossa del più grande santo yazida, lo sceicco Adi, furono prelevate dalla tomba e bruciate davanti agli increduli suoi correligionari.
Anche gli ottomani li hanno perseguitati. Lo storico turco Katib Chelebi stima che nel 1915-1918 circa 300 mila yazidi furono massacrati nei territori dell’Impero ottomano. Eppure gli yazidi sono sopravvissuti alle invasioni di safavidi e ottomani, che si contesero il controllo di Mosul perché rappresentava la chiave per il controllo della regione caspiana a oriente.
Gli yazidi sono il popolo più umile del medio oriente, come dimostrano anche i loro templi, i tetti conici dalla punta dorata, bassissimi, perché l’uomo deve piegarsi per entrare, non può stare in piedi. Le stanze yazide sono oscure, le uniche decorazioni sono il sole, la luna e le stelle.
Gli yazidi, il cui nome compare persino nelle antichissime rovine sumeriche, sono l’unico popolo mediorientale che non ha mai dichiarato guerra a nessuno. Le loro candele rituali rischiano adesso di spegnersi per sempre.

Recita un altro detto yazida: “Se incontri una persona che ha bisogno, aiutala senza chiedere la sua religione”. Loro respingono anche la concezione dell’inferno perché la ritengono incompatibile con la clemenza divina. Anzi aggiungono qualche cosa di più umano, e cioè che il fuoco infernale esisteva, ma è stato spento dalle lacrime del dolore delle generazioni. Per questo sono stati condannati a morte da chi l’inferno vuole riempirlo di infedeli.


Fonte: srs di di Giulio Meotti  da  IL FOGLIO del 8 agosto 2014





CHI SONO E COSA VENERANO GLI YAZIDI



Ragazza Yazida



Una minoranza del nord dell’Iraq contraddistinta da un culto antico, complesso e ricco di influenze

                 

Chi sono

Gli yazidi sono una comunità etno-religiosa di origine curda, che abita in maggior parte nel nordovest dell’Iraq (nella fattispecie, la provincia di Ninive), e in misura minore in Siria. La lingua principale è, per quasi tutti i gruppi yazidi, il curdo, con la quale tramandano il proprio culto. Alcuni gruppi hanno come prima lingua, però, l’arabo.

Lo yazidismo affonda le radici nel calderone culturale delle religioni del grande Iran, cioè la regione di influenza storica persiana che, oltre all’Iran attuale, comprende Armenia, Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tajikistan e parti di Iraq, Georgia, Pakistan e Cina. Ha però assimilato elementi provenienti da altre religioni: giudaismo cabalistico, zoroastrismo, mitraismo, cristianesimo, islam e culti pre-islamici mesopotamici.

Nella sostanza è una curiosa mescolanza di religioni e credenze, frutto di un complesso processo di sincretismo, cioè di assimilazione di pratiche e rituali di diversa origine cominciato nel XII secolo. Secondo gli studiosi sarebbe stato originato dall’incontro tra un’oscura e antica fede della zona e la dottrina dell’ordine sufi adawyya, i cui aderenti abitavano nelle montagne del nord dell’Iraq. Per questo motivo gli yazidi venerano lo sceicco Adin Ibn Musafir, fondatore dell’ordine sufi. La sua tomba a Lalish, a nord di Mosul, è un luogo sacro.

Caratteri principali della religione


Tawuse Melek



Gli yazidi sono monoteisti. Il mondo sarebbe stato creato da un dio primordiale che lo ha consegnato in custiodia a sette entità sacre, gli Angeli (o anche i Sette Misteri). Tra questi il più importante sarebbe il dio pavone Tawuse Melek (che significa appunto angelo-pavone), venerato dagli yazidi.

Secondo la tradizione, Tawuse Melek sarebbe stato il primo dei sette angeli creati da Dio. In virtù di questo privilegio Dio gli avrebbe ordinato di non inchinarsi mai a nessuno. Gli yazidi lo venerano per questo: quando Dio creò il primo uomo lo volle mettere alla prova e comandò a tutti gli angeli di inchinarsi e riverire la nuova creatura. Tawuse Melek si rifiuta, restando fedele al primo ordine che aveva ricevuto. Dio si congratula con lui e lo glorifica.

La storia presenta numerose somiglianze con la tradizione islamica del jinn Iblis: anche lui si rifiuta di inchinarsi di fronte al primo uomo, ma a differenza di Tawuse Melek viene maledetto, cade dal cielo e diventa Satana. Per gli yazidi, invece, Tawuse Melek non avrebbe alcun legame con il male del mondo, che invece avrebbe origine autonoma nel cuore e nella mente degli uomini.

Uno dei punti cruciali della religione yazida è la reincarnazione e la trasmigrazione delle anime. La reincarnazione più importante è quella delle anime dei sette angeli, che in via periodica assumerebbero forma umana. Queste persone sono i “koasasa”. È prevista la reincarnazione, però, anche per le anime degli esseri umani normali, in un ciclo che prevede l’esistenza sia del paradiso che dell’inferno, le cui fiamme però sarebbero state spente proprio da Tawuse Melek.

Tutto l’insieme delle pratiche e dei rituali sarebbe conservato in due libri sacri, dal contenuto ancora oscuro: il Libro della Rivelazione (Kiteba Cilwe) e il Libro Nero (Mishefa Res), anche se i testi pubblicati all’inizio del novecento sono considerati dagli studiosi dei falsi, scritti da non-yazidi per venire incontro alla curiosità degli occidentali. Non viene escluso che, in passato, i due libri fossero esistiti davvero, ma al momento la dottrina religiosa è tramandata per via orale (anche se negli ultimi anni gli inni sacri sono stati raccolti per iscritti, trasformando la religione yazida in una religione del Libro).

Pratiche

Gli yazidi si considerano discendenti diretti del primo uomo. Nella loro tradizione questo spiega la riluttanza a mescolarsi con persone di religioni diverse. L’endogamia è rigida: la società è organizzata in tre caste, i cui membri possono sposarsi solo con altri membri della stessa casta. Chi trasgredisce rischia la morte.

Anche la preghiera rituale, prevista due volte al giorno (la prima in direzione del sole(come i primi cristiani), la seconda verso Lalish, la loro città santa) non può avvenire in presenza di stranieri.

In generale, il contatto con non-yazidi è considerato contaminante: hanno sempre evitato di prendere parte al servizio militare perché questo avrebbe implicato la frequentazione di musulmani. Inoltre è proibita la condivisione di bicchieri e rasoi con gli stranieri.

Per gli yazidi il giorno sacro è il mercoledì, ma il riposo è previsto il sabato. A dicembre sono previsti tre giorni di digiuno. Il nuovo anno si festeggia in primavera, con canti e danze rituali. Un’altra festività importante è quella del Tawusgeran (il giro del pavone), in cui membri del culto visitano i villaggi, consegnano immagini sacre del pavone, che simboleggia Tawuse Melek e raccolgono donazioni. La più importante però è la Festa dell’Assemblea, che dura sette giorni e si tiene a Lalish.




Tomb of Sheikh Adi ibn Musafir in Lalish



Proprio a Lalish è obbligatorio, almeno una volta nella vita, un pellegrinaggio di sette giorni alla tomba dello sceicco Adi ibn Musafir.


Sarcofago  dello sceicco Adi ibn Musafir.


La società yazida prevede una fitta serie di tabù. Oltre alla proibizione di contaminarsi con stranieri, è proibito offendere gli elementi principali (aria, acqua, fuoco e terra), per cui non si può sputare o versare acqua calda in terra (potrebbe ferire e far adirare gli spiriti) e (non è chiaro perché) non è possibile vestirsi di blu.



Fonte: cisto su LINKIESTA  del 28 novembre 2014






IRAQ: CHI SONO GLI YAZIDI?




Iraq – Bajed Kadal refugee camp near Dohuk, in northern Iraq
di Federica Iezzi



Baghdad (Iraq) – Continuano i raid aerei delle forze americane su Erbil, per tentare di arrestare la superba avanzata dei militanti dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. In queste ore l’obiettivo del gruppo jihadista sunnita è lo sterminio del popolo Yazidi.

Dallo scorso giugno, a seguito della conquista dell’antica città di Mosul, in Iraq, le forze militari dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, hanno intrapreso la missione raccapricciante di trasformare il loro dominio in un unico grande Califfato, sotto il feroce controllo della shari’a.

Le conquiste di Abu Omar al Baghdadi, tra Iraq occidentale e Siria, sono di circa 270mila chilometri quadrati, con una popolazione stimata in 18 milioni di persone.

I confini sono ben tracciati da est di Aleppo, in Siria, fino a Fallujah, a soli 60 chilometri a est di Baghdad. Presa dall’ISIL la città irachena di Jalawla, a nord-est di Baghdad, iniziando a minacciare anche i confini meridionali della regione autonoma del Kurdistan.

L’esercito ben organizzato conterebbe circa 10.000 combattenti, di cui tra i 3.000 e i 5.000 di nazionalità straniera, rafforzato grazie anche alle alleanze strette con le comunità sunnite irachene, avverse al premier sciita Nouri al Maliki.

Autorevole mossa strategica è stata l’unione ad Albu Kamal, principale località di frontiera tra Siria e Iraq. L’alleanza permette all’ISIL di controllare entrambi i versanti del confine, tra Albu Kamal in Siria e al-Qaim in Iraq.

I guerriglieri jihadisti, nel corso delle sanguinose occupazioni nella terra irachena, hanno costretto la conversione delle minoranze religiose, ucciso gli apostati e distrutto santuari.
Obiettivo dell’ISIL è in queste ore lo sterminio della comunità Yazidi. Gli Yazidi contano circa 70.000 membri, di cui la maggiorparte è concentrata nel nord dell’Iraq. Minoranze in Turchia, Georgia e Armenia.

La città di Sinjar, nel governatorato di Nineveh in Iraq, è il loro cuore. La città di Lalesh, il loro simbolo.

Da più di una settimana va avanti la pulizia etnica da parte degli estremisti islamici, entrati nella città di Sinjar. Uccisi almeno 500 Yazidi.

La popolazione in massa si è riversata e rifugiata sul monte Sinjar, affrontando estenuanti ore di cammino a piedi.

Attualmente sono circa 30.000 le famiglie sotto assedio sul monte Sinjar, senza cibo né acqua.
Fuggiti solo in queste ore 20mila degli almeno 40mila Yazidi intrappolati da giorni sui monti di Sinjar. Ancora critiche le condizioni dei civili circondati dall’esercito dell’ISIL. Senza cibo, senza acqua, senza cure.





Gli Yazidi hanno abitato le montagne del nord dell’Iraq per secoli. Luoghi sacri, santuari e villaggi ancestrali sono tutto il patrimonio posseduto da questa gente. Al di fuori di Sinjar, gli Yazidi sono concentrati nelle zone a nord di Mosul, e nella provincia curda di Dohuk.

Con l’avanzata dell’ISIL, ora a soli 40 miglia da Lalesh, gli Yazidi hanno tre scelte: la conversione, la fuga o la morte per esecuzione.

“Un’intera religione viene cancellata dalla faccia della terra” ha tuonato in modo straziante, nel parlamento iracheno, il leader Yazidi Vian Dakhil.

Per le loro credenze, gli Yazidi sono stati bersaglio di odio per secoli.

Lo yazidismo è una fede antica, con una ricca tradizione orale. Fondata da Adi ibn Musafir, nelle credenze dello yazidismo si mescolano Islam, alcuni elementi dello zoroastrismo, antica religione persiana, e mitraismo, religione misterica originaria del Mediterraneo orientale.

A partire dal XII secolo diversi leader musulmani hanno emesso fatwa contro gli Yazidi. Nella seconda metà del XIX secolo, gli Yazidi sono stati presi di mira dai leader dei principati curdi sotto controllo ottomano, e sottoposti a brutali campagne di violenza religiosa. Sono stati vittime di 72 tentativi di genocidio. Nel 1831, l’esercito turco uccise 100.000 Yazidi.

Nei primi anni del ‘900 iniziano i massacri di yazidi armeni. Alla fine degli anni ’70, il dittatore iracheno Saddam Hussein ha lanciato campagne di arabizzazione brutali contro i curdi nel nord.
Ha raso al suolo tradizionali villaggi, costringendo gli Yazidi a stabilirsi nei centri urbani, come Sinjar, interrompendo il loro modo di vita rurale.




Nel 2007, in centinaia sono stati uccisi in una serie di attentati da al-Qaeda. Oggi, dopo la comunità curda, sciita e cristiana, gli Yazidi sono nel mirino dell’ISIL.

Intanto nel nord dell’Iraq continuano i raid americani e dell’aviazione governativa a sostegno dei Peshmerga curdi contro i miliziani jihadisti.

Proseguono anche gli arrivi degli aiuti del governo regionale del Kurdistan iracheno, destinati alla minoranza Yazidi in fuga sulle montagne di Sinjar. 130 soldati americani vengono dispiegati in Iraq contro l’ISIL, mentre i combattenti dalle bandiere nere di morte, distruggono a colpi di mortaio il sacro tempio Yazidi a Lalesh.


Viene riportato anche il link della parlamentare Yazidi che in Iraq ha fatto un appello per quello che sta succedendo agli Yazidi per opera dell'ISIL: www.youtube.com/watch?v=HdIEm1s6yhY



Fonte: srs di Federica Iezzi, da LIBERART del 15 agosto 2014



venerdì 28 novembre 2014

ISIS/ MICALESSIN DA ALEPPO: “C’È LA TURCHIA DIETRO IL MASSACRO DEI CRISTIANI”

Quello che rimane della chiesa di Kivork, il simbolo di quello che gli armeni cristiani di Midan considerano il loro nuovo martirio.




"Dentro quello che rimane della chiesa di Kivork, il simbolo di quello che gli armeni cristiani di Midan considerano il loro nuovo martirio - Servizio di Gian Micalessin": immagini tratte dal video-reportage de ilGiornale.it


Dietro lo sterminio dei cristiani e il nuovo genocidio degli armeni in Siria per mano dell’Isis c’è la mente della Turchia che vuole ricostruire l’impero ottomano. Il califfato sevizia, uccide e abbatte chiese millenarie con il supporto logistico del regime di Erdogan, il più potente Stato membro della Nato in Medio oriente. Un progetto cui con grandi dosi di ingenuità hanno contribuito gli stessi Stati Uniti, che si sono fidati ciecamente dell’alleato turco e hanno lavorato per abbattere Assad, l’unico argine all’estremismo in Siria. L’inviato di guerra Gian Micalessin si trova ad Aleppo, città nel Nord della Siria dove si combatte strada per strada, e ci documenta una versione dei fatti profondamente diversa da quella raccontata dai “media ufficiali”.





Intervista di Pietro Vernizzi a Gian Micalessin


Lei ha assistito di persona agli scontri tra Isis ed esercito di Assad. Com’è la situazione sul terreno?
Aleppo è una città sotto assedio dal 2012. La situazione qui è stata estremamente difficile fino al febbraio di quest’anno, quando i governativi sono riusciti a riaprire la strada che da Damasco porta ad Aleppo. Dalla primavera scorsa l’assedio è stato rotto, consentendo ai rifornimenti di arrivare in città e migliorando la vita della popolazione civile. Aleppo resta però una città in guerra, dove governativi e ribelli si alternano a macchia di leopardo arrivando fino all’antica cittadella, attorno alla quale si combatte senza sosta.

Quali incontri l’hanno colpita di più durante la sua visita nei quartieri cristiani di Aleppo?
Ho incontrato i vescovi cristiani di Aleppo, tra cui il vescovo latino Georges Abou Khazen, il quale mi ha detto: “Se noi cristiani ce ne andiamo, questo Paese diventerà come l’Afghanistan dei talebani”. La paura dei cristiani rimasti è quella di essere costretti ad abbandonare il Paese, dopo che il 70 per cento di loro se n’è già andato. Chi resta nelle zone controllate dall’Isis è soggetto a vere e proprie persecuzioni.

Come vivono i cristiani nelle aree rimaste sotto il regime di Assad?
Anche in grandi città come Aleppo e Damasco, per i cristiani diventa sempre più difficile sostentarsi economicamente perché non c’è più lavoro. Aleppo era fino a poco tempo fa la Milano della Siria, in quanto rappresentava il motore economico del Paese. Oggi invece tutta la sua zona industriale è completamente distrutta. Mi hanno colpito molto anche gli anziani cristiani della comunità armena di Midan, uno dei quartieri di Aleppo. Uno di loro, di 82 anni, mi ha detto: “Quanto sta avvenendo adesso è esattamente quello che è successo cento anni fa: è un nuovo genocidio e dietro c’è ancora una volta la Turchia”.




Perché la Turchia, un alleato della Nato, sta tenendo questa posizione?
L’obiettivo della Turchia è fare rinascere l’impero ottomano, e quindi riprendere il controllo di tutti i territori a partire dalla Siria, che la Turchia considera parte integrante del suo Stato. Ankara vuole riprendersi Aleppo, l’area curda e le altre regioni che fino alla fine della prima guerra mondiale e a Lawrence d’Arabia erano territori turchi.

Quale ideologia c’è dietro a questo tentativo?
Il presidente Erdogan interpreta alla perfezione il concetto di neo-ottomanesimo, ispiratogli dal suo primo ministro, Ahmet Davutoglu, vero ideologo del regime. Non è un caso che la Turchia sia diventata il retroterra di tutti i gruppi ribelli che hanno condotto la guerra contro Bashar Assad, nonché il principale sostenitore dell’Isis che aveva libertà di passaggio sui territori turchi.

Negli ultimi giorni ci sono stati 15 raid Usa in Siria. Quanto sono stati efficaci?
Dopo settimane di indecisione e di atteggiamento passivo, gli Usa hanno capito di essere costretti a fare qualcosa per evitare che Kobane cadesse. Quanto sta avvenendo dimostra che quando c’è la volontà di farlo, l’Isis può essere fermato. Anche se il tempo perso nei mesi scorsi ha prodotto le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Gli alleati stanno spingendo Obama a non limitarsi ai raid aerei. Che cosa bisogna fare?
Le guerre non si vincono con l’aviazione né solo con l’esercito, bensì con un insieme di fattori che non possono prescindere da un chiaro disegno politico.
Finché in Iraq i sunniti non saranno reintegrati nella vita pubblica, pensare di sconfiggere l’Isis sarà un’utopia perché gran parte delle tribù sunnite continueranno a combattere dalla parte del califfato. Gli Stati Uniti presto o tardi dovranno capire che pur con tutti i suoi difetti, il regime di Assad è assolutamente migliore dell’Isis e del fanatismo. Meglio quindi l’alleanza “di comodo” con il regime piuttosto che condurre una guerra su due fronti.

Qual è il ruolo dell’Iran in Siria e Iraq?
L’Iran è coinvolto nel conflitto in corso sia in Siria sia in Iraq. Il regime di Damasco è il ponte naturale dell’asse sciita che da Teheran arriva in Libano con Hezbollah. Per l’Iran perdere Assad significherebbe rinunciare alla sua posizione dominante in Medio Oriente. D’altra parte in Iraq il 60 per cento della popolazione è sciita, e per l’Iran è naturale appoggiare il regime di Baghdad che considera suo alleato. Tehran è inoltre convinto di essere la grande potenza regionale, e quindi di dover contendere agli Stati Uniti il ruolo egemone in Medio Oriente.





Fonte: visto su IL  SUSSIDIARIO  del 20 ottobre 2014