lunedì 30 aprile 2012

ECONOMIA - IL GRANDE INGANNO DELL’EURO STA DISTRUGGENDO IL NOSTRO FUTURO


E se iniziano  a dirlo anche i  frati, la situazione è veramente grave!

Le recenti crisi finanziarie hanno tolto credibilità ad una delle principali argomentazioni utilizzate a supporto della costruzione europea: con un’unica moneta forte, soprattutto i paesi più deboli, sarebbero stati al riparo da turbolenze finanziarie. I fatti attuali dimostrano che è vero l’esatto contrario: un paese si salva dagli attacchi della speculazione, non perché è protetto da un ombrello monetario, ma solamente se ha i conti pubblici in ordine e non ha un esagerato debito privato. Il caso della Danimarca e della Svezia è emblematico, sono rimasti fuori dall’Euro e nessuno si è sognato di attaccarli. Il caso Grecia e altri paesi, tra cui l’Italia, che sono nei guai, dimostra la debolezza dell’argomentazione pro Unione Monetaria. In realtà, unire sotto un unico ombrello monetario paesi con una diversa struttura economica, impedisce ai più deboli, in caso di crisi, di svalutare per salvare il tessuto produttivo e quindi, di garantire la propria sopravvivenza.


Politici e governanti, soprattutto di sinistra, cercarono di convincerci che l’adesione alla Moneta Unica fosse l’unica via per costringere il Paese a fare le riforme di cui aveva tanto bisogno per diventare più efficiente. Oggi possiamo tranquillamente affermare che abbiamo aderito all’Euro, ma le riforme non sono state fatte e l’Italia è più debole.


La sinistra pensava inoltre che l’Euro avrebbe determinato una maggiore equità sociale. Non avremmo avuto più le svalutazioni competitive e l’inflazione, fenomeni che spostavano ricchezza dal lavoro dipendente al lavoro autonomo e alle imprese. Ricorderete inoltre coloro i quali argomentavano che una diminuzione dei tassi, conseguente all’ingresso nella Moneta Unica, avrebbe avuto un effetto benefico sul debito pubblico e sui mutui, con conseguenti risparmi per le classi meno abbienti. In realtà ciò che fa risparmiare un debitore, non sono i bassi tassi d’interesse nominali, ma quelli reali, al netto dell’inflazione. L’adesione all’Euro ha determinato una discesa dei tassi nominali e dell’inflazione, con benefici trascurabili per i debitori.


A distanza di 10 anni dalla creazione Moneta Unica , risulta evidente come si sia verificata un’enorme redistribuzione della ricchezza a sfavore delle classi disagiate. Le classi imprenditoriali dei paesi meno competitivi, venendo a mancare prospettive di business sui mercati internazionali per evidenti problemi creati da un rapporto di cambio artificialmente penalizzante, hanno approfittato della situazione di confusione creata dall’applicazione improvvisa di una nuova unità monetaria, per recuperare margini di profittabilità in settori oligopolistici del mercato interno, caratterizzati da una domanda anelastica. Ecco spiegato perché sono saliti i prezzi di beni e servizi che pesano di più sul bilancio della povera gente.


Si è verificato inoltre un forte aumento degli immobili e delle locazioni. Molti di voi avranno conosciuto imprenditori i quali, consapevoli che le loro aziende avevano scarse prospettive, hanno improvvisamente scoperto la loro vocazione all’investimento immobiliare. La bolla immobiliare infatti si è verificata nei paesi con economie più deboli: Spagna, Italia, Grecia e Portogallo. Oggi costa meno comprare a Berlino che a Roma. Anche in questo caso, le categorie a minor reddito sono state le più danneggiate.


E la sinistra ancora si domanda perché perde consensi fra le fasce più deboli. La gente non fa tutte queste analisi, ma ha percepito che c’è stato un inganno.

Le imprese dinamiche hanno trovato nell’Euro ulteriori spinte alla delocalizzazione, togliendo al paese ricchezza. Perché restare in un paese che perde competitività e non può più utilizzare la svalutazione per riallinearsi alla competizione?


Ma il salato conto della Moneta Unica oggi lo stanno pagando e lo pagheranno anche i possessori di immobili e le stesse banche appartenenti ai paesi meno competitivi, anche queste ultime, che inizialmente sembravano rientrare tra i pochi soggetti avvantaggiati dall’Euro.


L’unica modo che avevamo per migliorare questo Paese era quella di riformare la spesa pubblica, investire in infrastrutture e non aderire alla Moneta Unica. Mantenere cioè la nostra libertà economica e morale. La nostra industria, costituita principalmente da imprese di contenute dimensioni, a media tecnologia, anche se per magia venissero risolti i problemi di ritardo infrastrutturale e di eccessivo assorbimento di risorse da parte del settore pubblico, avrebbe comunque bisogno di ricorrere a svalutazioni nei confronti della Germania, che ha una struttura incentrata sull’ alta tecnologia. Con l’Euro, abbiamo rinunciato alle svalutazioni buone, quelle indotte dal sistema delle imprese per riallinearsi alla competizione e non abbiamo rimosso la causa delle svalutazioni cattive, l’eccessiva spesa pubblica.


Il solo vincitore della partita è la Germania. La politica della BCE, non a caso ubicata a Francoforte, come stabilito nello Statuto a suo tempo imposto dai tedeschi, ha avuto sempre come priorità il controllo dell’inflazione, la crescita è stata subordinata alla variabile inflazione. Negli Stati Uniti la Fed ha priorità opposte. Non stupisce che il dollaro si svaluti continuamente nei confronti dell’Euro. La BCE ha applicato una politica clone della vecchia Bundesbank, quando gestiva il marco.


Come si esce da questo disastro? Le soluzioni sono in teoria due. Potremmo provare a convincere i tedeschi ad acconsentire che la BCE faccia una politica monetaria più accomodante e nell’interesse dei paesi deboli, strada difficilmente percorribile anche per le notevoli differenze culturali e di struttura economica che esistono fra i paesi europei. La seconda soluzione sarebbe quella di rimettere, prima possibile, a posto i conti pubblici e successivamente programmare un’uscita dall’Euro. Questa scelta sarebbe dolorosa nell’immediato, ma ci potrebbe garantire benessere e libertà per il futuro. L’Italia è un paese con potenzialità, con un gran numero di menti imprenditoriali capaci che, se vengono lasciate libere di esprimersi, sono in grado di primeggiare nel mondo. La visione dirigista dei burocrati dell’Unione Europea è tesa a distruggere questa creatività e il principale strumento per togliere la libertà ai popoli è unirli sotto un unico ombrello monetario.


La costruzione monetaria europea è frutto di una mentalità illiberale e antidemocratica come, del resto, è illiberale il processo di globalizzazione in corso. Ambedue i fenomeni sono guidati da un’unica regia: un ristrettissimo “gruppo di potere”, una elite finanziaria ed economica. Le decisioni sulle linea guida fondamentali sono state prese nell’ambito di consessi ristrettissimi e i popoli sono chiamati solamente a ratificare atti conseguenti ad un impianto normativo deciso da pochi. Viene pertanto a mancare un principio fondamentale a cui si ispira la democrazia: il principio di responsabilità degli amministratori della cosa pubblica, eletti dai popoli. I nostri Ministri sono oramai diventati meri esecutori di leggi e regole dettate dall’Europa e dalla globalizzazione.


Un manipolo di “illuminati” ha deciso che improvvisamente si dovesse aprire le porte a paesi, come la Cina, che hanno legislazioni sul lavoro profondamente diverse dalle nostre. Paesi dove lo Stato controlla tutte le variabili macroeconomiche, a cominciare dal tasso di cambio. E’ stata voluta una globalizzazione dove gli Stati Uniti mantengono un ruolo di signoraggio mondiale della moneta, grazie al fatto che il dollaro rimane moneta di riserva.


Una globalizzazione improntata al libero mercato avrebbe dovuto prevedere una legislazione uguale per tutti i paesi che partecipano alla competizione e tassi di cambio lasciati liberi di fluttuare in base alle regole di domanda e offerta.
Il Gruppo degli “illuminati” sta elaborando la fase 2 della globalizzazione. Per uscire dalla crisi, determinata dalle loro politiche scellerate e dirigiste, stanno proponendo di creare una “moneta unica mondiale” ed un unico Ministero dell’Economia, con gravi rischi per il nostro benessere e i fondamentali diritti di libertà e di democrazia.


Sorge spontanea la domanda, chi siano questi “illuminati”. Per chi volesse saperne di più, inizia ad essere disponibile un’ampia letteratura su questo “gruppo”, non eletto dai popoli, che mira ad accentrare il potere in un governo unico mondiale, a favorire pochi potenti Stati, un piccolo gruppo di grandissime corporation ed un ristretto numero di banche.


Fonte: srs di Stefano Gubbiotti, da “Assisi per la pace.com” aprile 2012

domenica 29 aprile 2012

MONTI CI SPEZZA LE RENI PER DARE I SOLDI ALLA GRECIA


Lo rivela Mario Monti a pagina 36 del Def appena portato in Parlamento. Il premier italiano annuncia triste che a fine 2012 il rapporto debito pubblico/Pil schizzerà per l’Italia alla percentuale record del 123,4%. Una cifra mostruosa, che in parte deriva dalle scelte di politica economica del governo italiano, che mettendo troppe tasse ha provocato la recessione  (facendo scendere dunque il Pil più delle previsioni) e che non tagliando la spesa ha provocato la crescita del debito pubblico. Ma c’è anche un’altra ragione dei guai italiani, che era meno nota. Monti infatti nel giro di poche settimane ha messo la sua firma sotto due decisioni dell’Unione europea.

La prima è il varo del famoso trattato sul fiscal compact, che rischia di mettere in ginocchio l’Italia perchè prevede l’obbligo di rientro rapido nel parametro debito/pil del 60%, costringendo a fare manovre annuali da 40 miliardi di euro l’anno per circa 20 anni. Mentre il premier, ben conscio di quel debito pubblico che stava schizzando alle stelle, con la sua firma da una parte metteva la testa dell’Italia sotto la ghigliottina, dall’altra firmava altri documenti che aggravavano ancora di più la situazione dell’Italia sborsando la bellezza di 35,1 miliardi di euro a favore di Grecia, Portogallo e Irlanda.

Il Def lo racconta così: «Lo scorso anno per il 2012 si prevedeva complessivamente un esborso aggiuntivo per la Grecia di circa 0,2 punti di Pil inclusi nel fabbisogno. Tra la fine dello scorso anno e l’inizio di quello in corso gli accordi europei sono stati modificati prevedendo che gli aiuti alla Grecia transitino attraverso l’Efsf insieme con quelli per il Portogallo e Irlanda, approvati successivamente all’uscita del programma di stabilità del 2011 (che infatti non li includeva). L’ammontare previsto delle emissioni di debito Efsf, per la quota italiana, sarà pari a circa 29,5 miliardi di euro, cui vanno aggiunte le tranche di pagamento per la costituzione del capitale dell’organismo permanente Esm (European Stability Mechamism), pari a circa 5,6 miliardi per il 2012 (anche esse non previste nella stima dello scorso anno)».

In tutto appunto fanno 35,1 miliardi di euro, una cifra spaventosamente alta che Monti si è impegnato a spendere senza per altro chiedere permesso al Parlamento né discutere pubblicamente della cosa. Certo, salvare la Grecia può essere utile anche all’Italia che era travolta dalla tempesta finanziaria subito a ruota. Ma quei 35,1 miliardi come oggi Monti riconosce, hanno un effetto grave sul debito pubblico italiano, visto che in cassa non c’erano e per pagarli si sono emessi nuovi titoli pubblici. «Complessivamente», scrive il premier italiano, «questi contributi rappresentano circa il 2,2 per cento del Pil, due punti percentuali in più rispetto alla stima dello scorso anno. D’altra parte la previsione per il fabbisogno del settore pubblico, proprio per effetto del superamento della modalità di erogazione diretta alla Grecia, è previsto essere inferiore di circa 0,2 punti percentuali di Pil rispetto alla stima dello scorso anno. A questo andamento dello stock del debito va poi associata una dinamica del Pil nominale decisamente più lenta».

Traduciamo per chi non fosse a conoscenza dei termini tecnici. Secondo gli accordi che l’Italia aveva con la Ue prima dell’arrivo dei governi tecnici, l’aiuto alla Grecia sarebbe stato di circa 3 miliardi di euro da pagare direttamente. Monti ha portato quell’impegno a 35,1 miliardi di euro, emettendo titoli del debito pubblico. Il risultato sarà che il deficit scenderà di 3 miliardi di euro non per merito del governo tecnico, ma per una scelta contabile. E il debito pubblico peggiorerà di 35,1 miliardi di euro, facendo schizzare il parametro debito/pil a quel 123,4% appena annunciato per il 2012.

Valeva la pena mettere l’Italia in queste condizioni e aggravare ancora di più la manovra di rientro imposta dal trattato sul fiscal compact? Come ha fatto Monti a firmare con la mano destra lo stanziamento di quei 35,1 miliardi a Grecia, Portogallo e Irlanda e con la sinistra la ghigliottina che costringeva a tagliare quei 35,1 miliardi ogni anno per rientrare nei parametri fra debito e pil?  Che logica ha aiutare gli altri paesi per impiccare l’Italia? Questa è una domanda che va rivolta al premier ma anche ai partiti che così acriticamente lo stanno sostenendo da mesi. A che serve un governo di unità nazionale? A farci morire tutti per obbedire alle regole di quella Angela Merkel che ormai tutti i paesi d’Europa non sopportano più, in primis la Francia che l’ha fatto ben capire con il suo recente voto alle presidenziali. Il governo di unità nazionale semmai era una grande occasione per dare all’Italia la forza di ribellarsi e fare le politiche esattamente opposte. Se la Germania vuole solo rigore, se ne vada lei dalla Ue. L’Italia difenda i suoi interessi. Che non sono certo quelli di essere costretta a sborsare 35 miliardi per gli altri, sapendo già che quel gesto la farà finire pure sul banco degli imputati.


Fonte: srs di  Franco Bechis da Libero.it  del 27 aprile 2012


I 35 MILIARDI DATI DA MONTI ALLA GRECIA

27/04/2012 - Franco Bechis all'attacco su Libero

Mario Monti lo scrive chiaro e tondo nel Def, a sentire Franco Bechis che su Libero è in apertura con la storia dei fondi dati dall’Italia alla Grecia. Scrive il quotidiano di Belpietro:

l Def lo racconta così: «Lo scorso anno per il 2012 si prevedeva complessivamente un esborso aggiuntivo per la Grecia di circa 0,2 punti di Pil inclusi nel fabbisogno. Tra la fine dello scorso anno e l’ini – zio di quello in corso gli accordi europei sono stati modificati prevedendo che gli aiuti alla Grecia transitino attraverso l’Efsf insieme con quelli per il Portogallo e Irlanda, approvati successivamente all’uscita del programma di stabilità del 2011 (che infatti non li includeva). L’ammontare previsto delle emissioni di debito Efsf, per la quota italiana, sarà pari a circa 29,5 miliardi di euro, cui vanno aggiunte le tranche di pagamento per la costituzione del capitale dell’orga – nismo permanente Esm (European Stability Mechamism), pari a circa 5,6 miliardi per il 2012 (anche esse non previste nella stima dello scorso anno)».

In tutto appunto fanno 35,1 miliardi di euro, scrive Libero: una cifra spaventosamente alta che Monti si è impegnato a spendere senza per altro chiedere permesso al Parlamento né discutere pubblicamente della cosa.
Certo, salvare la Grecia può essere utile anche all’Italia che era travolta dalla tempesta finanziaria subito a ruota. Ma quei 35,1 miliardi come oggi Monti riconosce, hanno un effetto grave sul debito pubblico italiano, visto che in cassa non c’erano e per pagarli si sono emessi nuovi titoli pubblici. «Complessivamente», scrive il premier italiano, «questi contributi rappresentano circa il 2,2 per cento del Pil, due punti percentuali in più rispetto alla stima dello scorso anno. D’altra parte la previsione per il fabbisogno del settore pubblico, proprio per effetto del superamento della modalità di erogazione diretta alla Grecia, è previsto essere inferiore di circa 0,2 punti percentuali di Pil rispetto alla stima dello scorso anno. A questo andamento dello stock del debito va poi associata una dinamica del Pil nominale decisamente più lenta».
Spiega il quotidiano:
Traduciamo per chi non fosse a conoscenza dei termini tecnici. Secondo gli accordi che l’Italia aveva con la Ue prima dell’arrivo dei governi tecnici, l’aiuto alla Grecia sarebbe stato di circa 3 miliardi di euro da pagare direttamente. Monti ha portato quell’impegno a 35,1 miliardi di euro, emettendo titoli del debito pubblico. Il risultato sarà che il deficit scenderà di 3 miliardi di euro non per merito del governo tecnico, ma per una scelta contabile. E il debito pubblico peggiorerà di 35,1 miliardi di euro, facendo schizzare il parametro debito/pil a quel 123,4% appena annunciato per il 2012.

Fonte: da Il Giornalettismo   di venerdì aprile 2012



MONTI SALVA LA GRECIA (COI NOSTRI SOLDI)

VITTORE VANTINI*

Una notizia passata sotto silenzio e che ben pochi hanno letto è l’impegno di versamento da parte dell’Italia di ben 35 miliardi di Euri a favore del pacchetto di salvataggio della Grecia. Negli ultimi mesi del governo Berlusconi vi era stato un accordo, sostanzialmente con la Germania, secondo il quale il versamento italiano si sarebbe attestato sull’importo di 3 miliardi. Ora il governo Monti, che più correttamente si potrebbe chiamare la dittatura Monti, ha elevato a oltre 10 volte l’impegno italiano, generando così un rapporto debito Pil del 123,5%.

Non si capisce perché noi dobbiamo andare in salvataggio della Grecia, quando per esempio esistono miriadi di imprese italiane che attendono dagli enti locali e dallo Stato il soddisfacimento dei loro crediti, cosa che genera una serie a cascata di danni irreparabili e, come atto finale, il suicidio di decine di imprenditori. Alla faccia delle tanto conclamate politiche di sviluppo!

Purtroppo abbiamo visto Monti bonificare prontamente 2 miliardi e mezzo all’agenzia Morgan & Stanley e anche correre all’acquisto di auto blu a gogò, ma questo impegno minaccia davvero di far traboccare il vaso, perché con un debito Pil al 123,5% ci porremo al di fuori degli accordi e dovremmo ricorrere ad altre manovre fiscali. Se pensiamo che negli accordi della unione europea questo rapporto non dovrebbe superare il 60%, ci troviamo di fronte alla necessità di mettere in atto una manovra da 50 miliardi/anno  per circa vent’anni. E tutto ciò perché Monti deve rispettare lo svolgimento del suo compitino.

Monti sarebbe il risanatore sobrio della situazione economica finanziaria italiana? Monti sarebbe il salvatore d’Italia dotato di grande capacità e soprattutto di grande equità? Sembra piuttosto, anzi è del tutto evidente, che si tratta di un carnefice messo a governare il nostro disgraziato paese dai soliti e onnipotenti poteri forti, con la complicità di Napolitano e di quei partiti ( Pd, Pdl e Udc), i quali non sapendo che pesci pigliare e terrorizzati dalle avanzanti molteplici proteste, che sono per il momento molto deboli ma che potrebbero davvero trasformarsi in una rivoluzione anche cruenta, si riparano dietro il faccione imbambolato di Monti e l’officiante e melenso Napolitano.

Alla luce di questi e altri fatti estremamente negativi, voglio ritornare ai concetti di un mio precedente scritto. Restiamo così a farci spennare prima e a farci strozzare poi o piuttosto, assunte le decisioni delle ore disperate, decidiamo di ripudiare l’Euro e di andarcene dall’Unione Europea? Chi ha calcolato il danno reputa l’evenienza di un impoverimento del 50% e quindi sarebbe una strada molto ma molto costosa. Tuttavia, andando avanti di questo passo, non ci rimarrà neppure la metà dei nostri beni e il risultato finale sarà un default generalizzato nell’ambito economico-sociale: pensioni decapitate, sanità a pagamento, servizi azzerati.  

Ma perchè ci siamo ridotti in questa situazione? Per una serie di ragioni, che qui è inutile ricordare, dovute all’insipienza dei politici e al tragico disinteresse degli italioti. Ma, ancor prima di questo, vi è la scelta orribile dell’economia basata sul debito, nata alla fine del 1700. Nell’ anno 1776 Thomas Jefferson dichiarava: “Se gli Americani consentiranno mai a banche e privati di emettere il proprio denaro, prima con l’inflazione e poi con la deflazione, le banche e le grandi imprese che cresceranno attorno, priveranno la gente delle loro proprietà finché i loro figli si sveglieranno senza tetto nel continente conquistato dai loro padri. Il potere di emissione va tolto via dalle banche e restituito al popolo, al quale esso appartiene propriamente.”

E’ il concetto di “signoraggio monetario”, che nasce dall’acquisto del “debito” statale e/o privato”. Un trucco e una realtà che ufficialmente non esistono o che vengono accuratamente nascosti. Senza entrare nel dettaglio e in modo assai grossolano, si tratta di accordi (forse sarebbe meglio dire complicità) tra gli Stati e gruppi di persone ultraricche, le quali, in cambio della concessione di poter stampare moneta, acquistano le poste negative di bilancio sostituendole con pezzi di carta garantiti in una prima fase dai loro beni. Ma la facoltà di emettere moneta continua poi ad libitum di questi “poteri forti”, che si sono eretti in “banche d’emissione”.

Conquistato questo immenso potere, sono in grado di concedere o negare agli Stati quanta moneta essi vogliono, assecondando la voracità dei politici che, attraverso spesa e concessioni, perpetuano la loro esistenza e rielezione. Intanto il debito si accumula e la dipendenza da queste “banche” aumenta, fino a diventare una vera e propria servitù. Sono le banche centrali a livello planetario o continentale (FMI – BCE ecc.), che sono enti privati, cioè (in ultima istanza) in mano a famiglie e persone come noi, ma, che per effetto della sopracitata facoltà, fanno strame di tutti e, badate bene, sono le uniche entità a guadagnare sempre sia con le vacche grasse, sia con quelle magre. Sono diventate le padrone degli Stati e danno o tolgono loro ossigeno a seconda delle garanzie e dell’acquiescenza. Per rendere la cosa “scientifica” hanno eretto furbescamente le Agenzie di rating.

Sarebbe bene pensarci e prepararci a una battaglia finale. Finché siamo ancora vivi e capaci di fare qualcosa, cioè determinare da noi stessi (e non continuare a consegnare ad altri) i nostri destini. Indipendenza comunque! Anche della moneta!

Unione Padana*

Fonte: sts di Vittirio Vanini, da L’indipendenza del 29 aprile 2012

MONTI: CURATORE FALLIMENTARE A SUON DI TASSE!



di MATTEO BERINGHI

L’Italia nonostante le belle parole di illustri personaggi, le manifestazioni di ottimismo basate sull’aria fritta, è sprofondata in una crisi che si preannuncia devastante e lunga. Ve le ricordate le rassicurazioni sulla solidità delle piccole e medie imprese e del sistema bancario che superava gli ottimi (quanto farseschi) “Stress Test” europei?

Tutte balle! Alla fine la realtà si presenta davanti, non la puoi ignorare o nascondere per Decreto Legge. A mio avviso la situazione è incamminata verso un’ulteriore peggioramento. Ai crolli dei consumi di carburante ed energetici seguiranno altri ancora, tante voci di spesa private diverranno rimandabili a quando “si avranno i soldi”. D’altronde lo Stato ha deciso che non vuole dimagrire, e tenta di far dimagrire tutti gli altri.

Monti è soltanto un CURATORE FALLIMENTARE che ha il compito di recuperare quanto più possibile nell’operazione di dismissione dell’azienda “Italia”. Questo è il suo vero obiettivo, non dichiarato e ovviamente non dichiarabile.

Come abbiamo già detto più volte, quando Tremonti andava in giro per l’Europa affermando che i risparmi degli italiani fossero abbondantemente superiori al debito pubblico e che quindi questo era coperto e garantito, tale affermazione avrebbe dovuto subito far preoccupare gli italiani. Invece nulla. Ora è evidente dove siano le ricchezze da prelevare, in modo graduale ma costante: 5 centesimi alla volta sul litro di benzina, tassa patrimoniale sulla casa (IMU), tassa di soggiorno per i turisti (è così che si affossa l’industria del turismo), tassa sui voli aerei, incentivazione sempre più spinta del gioco d’azzardo (forma di autotassazione da parte delle persone più deboli, più il 6% sulle vincite oltre i 500 euro), gli infami balzelli su auto, caldaie, conti correnti, ecc., ecc. ecc.

A questo graduale impoverimento seguirà sicuramente un degrado dell’ambiente quotidiano, stile anni Novanta nell’Europa dell’Est e in Russia: strade fatiscenti, lampioni bruciati, parchi pubblici mal curati, manutenzioni sempre più scarse sia pubbliche che private (condomini, case). Le persone si stanno preparando mentalmente a stare peggio, a tirare la cinghia, a fare ulteriori sacrifici.

Personalmente, mi chiedo quale sia il livello massimo per cui la gente sia disposta farsi carico di una situazione creata da una classe politica e dirigenziale che dovrebbe essere presa a sberle.

Prima o poi sono certo che avrò la risposta.


Fone: srs di MATTEO BERINGHI, da L’Indipendenza, del 14 aprile 2012

“GOVERNO MONTI, ANZI, SGOVERNO MONTI”: LIBERTÀ DI PENSIERO ADDIO

Paola Severino e Mario Monti

Finale di partita o dipartita finale? UN FATTO È CERTO: LA CENSURA TOTALE.
La libertà di pensiero non è gradita a chi detiene il potere per conto terzi. Ora tocca ai blog: la democrazia va annichilita per sempre, tanto la popolazione italiana non reagirà mai, avranno pensato i maggiordomi dell’alta finanza e i soliti boiardi di Stato. Al totalitarismo soft del terzo millennio imposto da un potere straniero in salsetta tricolore, non basta controllare le leve dell’economia, le forze armate, la stragrande maggioranza degli organi di informazione o ricattare i morenti partiti. Adesso che iniziano a manifestarsi i veri effetti delle manovre governative, ovvero fallimenti di massa e suicidi a catena, spunta fuori la proposta ministeriale di Paola Severino: UNA REGOLAMENTAZIONE PER I DIARI LIBERI CHE NAVIGANO SU INTERNET. Niente di nuovo: ci aveva già provato il piduista di Arcore, con tessera 1816 rilasciata dalla loggia P 2 di Eugenio Cefis (il mandante degli omicidi Mattei, De Mauro e Pasolini). Lo ha annunciato proprio il ministro della Giustizia, non eletta democraticamente, ma imposta con un golpe presidenziale - in barba alla Costituzione repubblicana e alla sovranità popolare - intervenendo al Festival del giornalismo di Perugia, evento già sponsorizzato dall’Enel con tanto di propaganda nuclearista. Nessun giornalista di fama ha reagito: l’atonia intellettuale è più che completa.

Un pretesto - «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro cittadino - ha detto il guardasigilli abusivo - ma lo deve fare seguendo le regole: credo che questo sia un dovere di tutti, anche di chi scrive su un blog». «Il fatto di scrivere su un blog - ha aggiunto - non ti autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se stai trattando di diritti di altri. Ricordiamoci che i diritti di ciascuno di noi sono limitati dai diritti degli altri, io non posso intaccare il diritto di un'altra persona solo perché sono lasciato libero di esprimermi». Sui blog, in particolare, Severino ha sottolineato come «il problema non è vederli con sfavore ma reprimere gli abusi che vengono fatti, anche se su internet è più difficile. Non c’è un preconcetto - ha ribadito - ma questo mondo va regolamentato altrimenti si finisce nell’arbitrio». L’autentico problema italiano, almeno per il ministro è quello di reprimere i cosiddetti e presunti abusi. «Il giornale - ha detto la Severino - ha una sua consistenza cartacea. Il giornalista è individuabile e l’editore anche ed è dunque possibile intervenire. Il blog ha invece una diffusione assolutamente non controllata e non controllabile. E’ in grado di provocare dei danni estremamente più diffusi. Ecco perché bisogna vederne anche la parte oscura. E’ un fenomeno certamente positivo per certi aspetti ma nel quale si possono annidare anche cose negative (può essere un punto criminogeno). Questo mondo va regolamentato e pur nella spontaneità che ne rappresenta la caratteristica non può trasformarsi in arbitrio».

Senti chi sproloquia - «Il cittadino - ha spiegato il ministro - ha il diritto di interloquire con un altro cittadino ma lo deve fare anche lui seguendo le regole. Credo questo sia un dovere di tutti, anche di chi scrive sui blog. Il fatto di scrivere su un blog non ti autorizza a scrivere qualunque cosa soprattutto se stai trattando di diritti di altri. Ricordiamoci che i diritti di ciascuno di noi sono limitati da quelli degli altri. Non posso intaccarlo solo perché sono lasciato libero di scrivere. Mi devo sentire libero di scrivere e i blog hanno questa grandissima capacità di diffondere il pensiero in tempo reale, un grandissimo pregio che riconosco. Ma questo non deve far trasformare la libertà in arbitrio. Questa è una regola che tutti dovrebbero seguire». Del resto «è molto difficile» configurare un obbligo di rettifica per i blog.
Repentino l’intervento del deputato Massimo Donadi: «Il web è un patrimonio di tutti, è e deve restare libero. Siamo contrari a qualsiasi forma di censura sui blog, che sono fondamentali per la circolazione delle notizie, del pensiero e della cultura». «Non c’è bisogno di leggi restrittive perché le norme attuali già sono sufficienti contro la diffamazione e la circolazione di notizie false. I blog sono un esempio di libertà, un fenomeno culturale e informativo da coltivare e sostenere, non certo da controllare o imbavagliare. I blogger sono una risorsa, i problemi dell’informazione sono ben altri».

Tallone giudiziario - Secondo l’avvocato Severino «è nelle fasi interlocutorie delle indagini che più di frequente avviene la comunicazione e la diffusione della notizia». La selezione spetta quindi, secondo il ministro, al pubblico ministero o al giudice, a seconda dei momenti. «L’idea di base è lasciare al magistrato il compito di escludere le notizie che non sono rilevanti e attengono esclusivamente alla sfera personale delle persone interessate dal provvedimento, anche in quelle fasi nelle quali il provvedimento stesso viene consegnato alle parti» ha spiegato. In pratica quella cui sta pensando il ministro è una regolamentazione imperniata su tre cardini. Primo fra tutti la libertà della magistratura i secretare informazioni che metterebbero in crisi le indagini e allo stesso momento «salvaguardare la sfera personale». Perché, sostiene il ministro non è utile, neppure ai giudici, che si divulghino elementi non riconducibili alle indagini. I tre punti sono: «il diritto-dovere del giornalista di informare su fatti che hanno una rilevanza sociale, quello del magistrato di portare avanti le proprie indagini con una tutela della riservatezza indispensabile in alcune fasi e infine il diritto del cittadino, anche sotto indagine, di vedere pubblicate notizie che attengano all’inchiesta ma non esclusivamente la sua vita privata e anche di non vedere sui mezzi d’informazione contenuti di intercettazioni non rilevanti per il procedimento». Insomma, in questa ottica, dopo la sentenza decalogo della Cassazione, saranno i magistrati a stabilire come e cosa scrivere o raccontare.

Addio articolo 21 - «I blog possono fare più danni dei giornali», ha detto Severino, accennando a una regolamentazione in sede di Unione europea per evitare che i provider si possano trasferire in Paesi dove le maglie della legge sono più larghe. «Il cittadino ha il diritto di interloquire con un altro. Ma deve seguire le regole», ha detto la Severino. «Scrivere su un blog non autorizza a scrivere qualunque cosa, soprattutto se si sta trattando di diritti di altri. I blog hanno capacità di diffondere pensiero ma questo non deve trasformarsi in libertà di arbitrio», ha ripetuto Severino che appunto prevede presto una forma di regolamentazione. Anche se sarà «difficile pensare a un obbligo di rettifica nei blog». Sarebbe invece opportuno introdurre nel codice penale un nuovo reato: ossia l’ostacolo alla libera informazione. Una norma positiva per rafforzare la difesa di un diritto sancito dalla Costituzione e dalla carta fondamentali dei diritti europei.

Deriva pericolosa - Sereni e sorridenti e spensierati. Ridere senza pensare: è l’imperativo categorico. Ci vogliono come tifosi lobotomizzati, mentre ingiustizia, corruzione e mafie statali imperversano. Al popolo italiano vengono tenute nascoste verità inconfessabili, ad esempio la presenza sul suolo nazionale di centinaia di ordigni atomici targati USA, in violazione del Tratto internazionale di non proliferazione nucleare (TNP). Al popolo italiano vengono tenute nascoste da più di mezzo secolo le cose essenziali per la libertà. Per dirla con il grande presidente Sandro Pertini: «Libertà e giustizia sociale costituiscono un binomio inscindibile».

A quando la concretezza di una nuova resistenza che salvaguardi le libertà e i diritti fondamentali? L’Italia, come abbastanza noto, è al 75° posto della classifica mondiale della libertà d’informazione. Vogliono farci retrocedere all’ultimo gradino planetario con tanto di decreto governativo? Il peggio, forse deve ancora arrivare: il Parlamento è stato già platealmente esautorato da ogni facoltà. Ci vogliono sudditi, non cittadini e così tentano di privarci anche della libertà d’opinione. Non dimentichiamo che in punta di diritto costituzionale, il governo Monti è privo di autorità legittima, in quanto non sottoposto al voto democratico, ovvero alla sovranità popolare. Allora: congediamo pacificamente Monti Mario e la sua banda di autoritari burocrati, prima che l’addomesticamento in atto dia i suoi frutti più deleteri.

Fonte: srs di Gianni Lannesda , Su la testa! 27 Aprile 2012



PSICOPATIA E SUCCESSO. VIVIAMO IN UN MONDO ALLA ROVESCIA



La finanza domina  l’economia, mentre dovrebbe essere al suo servizio

L’economia domina  la politica, mentre della politica dovrebbe essere strumento

L’economia domina la ricerca scientifica, la formazione e l’educazione, che da strumenti di critica e consapevolezza, diventano mezzi di propaganda al servizio dell’economia

Infine, la politica, che dovrebbe servire gli esseri umani, li mette all’ultimo posto

PERCHÉ?

perché quanto più il virus del potere si diffonde, tanto più accade che:

– prepotenti e disonesti vengano premiati e ammirati
– onesti e virtuosi vengano ignorati o puniti

INDOVINATE A QUALE CATEGORIA APPARTENGONO LA MAGGIOR PARTE DEI GOVERNANTI E DEI DIRIGENTI?

I primi hanno “successo” e fanno carriera; i secondi pagano debiti e tasse. Questi ultimi, divisi tra loro e ipnotizzati dalla propaganda, non hanno né la forza né la consapevolezza di reagire. Ma solo il vizio di lamentarsi.

Se Dante fosse ancora vivo, ne dedurrebbe una prova certa dell’esistenza di Dio. Solo la sua provvidenza, infatti, può spiegare un fenomeno altrimenti incomprensibile: come mai non ci siamo ancora estinti.

(Testo liberamente elaborato dall’originale di Luigi Zoja, La morte del prossimo, Einaudi)

PSICOPATIA AZIENDALE

E nato da poco un nuovo settore di studio: la corporate psychopathy (psicopatia aziendale).

Negli scandali di fine secolo xx e inizio secolo xxi, infatti, non si sono trovate immoralità occasionali di persone che hanno sbagliato, e possono pentirsi, ma perversioni morali permanenti che, se non fossero state scoperte, sarebbero continuate perché non lasciavano sensi di colpa: è la condizione chiamata psicopatia, considerata difficile da redimere.
Uno dei più noti questionari per identificare i disturbi psicopatici è lo Psychopathy Checklist di Robert Hare. Sotto la spinta della nuova immoralità aziendale, l'autore ne ha prodotto una versione differenziata in due parti.

Una prima lista va in cerca del FATTORE 1:

mancanza di scrupoli, di responsabilità,
di sensi di colpa,
tendenza alla menzogna e alla manipolazione,
cinismo e cosi via.

Il secondo elenco riguarda il FATTORE 2:

instabilità,
comportamenti apertamente devianti,
aggressività non controllata.

In Europa gli studi sulla corporate psychopathy sono meno sviluppati rispetto all'America, ma mostrano tendenze simili.  Una ricerca di Belinda Board e Katarina Fritzon, dell'Università del Surrey, ha comparato un gruppo di 39 manager di successo con criminali e pazienti psichiatrici gravi. La loro classificazione finale ha diviso la popolazione esaminata in «psicopatici di successo» e «psicopatici senza successo».
Proviamo a riassumere quello che interessa ai nostri scopi. Tanto secondo gli studi di Hare e Babiak, quanto secondo quelli di Board e Fritzon - effettuati non solo in istituzioni diverse, ma in continenti diversi:

La personalità del manager brillante  ha non pochi elementi in comune con quella dello psicopatico.

Le caratteristiche antisociali, però, sono presenti in quantità diverse e si manifestano meno direttamente.

Il fattore 1 di Hare, che corrisponde a un'immoralità non visibile, quindi particolarmente pericolosa, è presente sia nei manager sia negli psicopatici criminali.
Il fattore 2, invece, si ritrova solo nei criminali tradizionali. È, in un certo senso, meno sorprendente e meno pericoloso, perché scontato e visibile.

I soggetti che, nella classificazione di Hare, possiedono solo il fattore 1, secondo l'Università del Surrey sono «psicopatici di successo» e rivestono alte cariche aziendali.
Quello che li differenzia dal gruppo dei «senza successo» è l'aggressività. Nei manager essa si manifesta in modo più differenziato e senza fretta: non aggrediscono fisicamente, sottomettono l'ex-prossimo a un cinismo aziendale.

II gruppo degli «psicopatici senza successo» si compone invece di criminali classici (sempre secondo lo studio dell'Università del Surrey, che infatti li ha intervistati in carcere). Si tratta di malfattori d'altri tempi i quali, pur disponendo di caratteristiche necessarie come la mancanza di scrupoli, non hanno saputo adattarsi completamente ai nuovi rapporti economici e tecnologici.
Hanno infatti ancora bisogno del prossimo: anche se, come richiede il loro temperamento, ne hanno bisogno per aggredirlo.

ACCELERAZIONE E COMPETIZIONE FAVORISCONO L’EMERGERE DI PERSONALITÀ PSICOPATICHE

L'accelerazione imposta alla società dalla rivoluzione informatica e dalla competizione del mercato:

ha eliminato persone dotate di fedeltà, cautele e scrupoli,

favorendo l'emergere di tipi  intuitivi, cinici, opportunisti.

Questa «selezione culturale» ripropone, nella vita economica quotidiana, una strozzatura attraverso cui un flusso pacifico diventa un getto aggressivo.
Una simile selezione si è già vista in occasione di grandi rivolgimenti politici.
Anche le loro accelerazioni hanno favorito le psicopatie:

si è imposto chi sapeva
cogliere vantaggi immediati,
perdendo il senso ultimo dell'azione politica.

Lo abbiamo visto sia nei nazionalismi, quando sono scivolati in fascismi, sia nella rivoluzione russa o in quella culturale cinese, sia nel rinazionalizzarsi dei comunismi, per esempio con la disgregazione della Iugoslavia. Ognuna di queste strozzature ha compresso e accelerato la storia. Ogni volta, la compressione ha trattenuto la maggioranza delle personalità equilibrate e liberato un getto di psicopatici.

Gli studi sulla psicopatia aziendale non hanno niente di rivoluzionario.  Spesso si limitano ad assemblare dettagli di microstoria che, a loro volta, si connettono alla macrostoria.  Un manager poi rivelatosi psicopatico, ad esempio, avrebbe dovuto mettere sull'avviso perché non era andato ai funerali di sua madre. Ma questo, apprendiamo dai libri, è quello che fece anche Stalin. La differenza è che, quando si comportò cosi, Stalin era già Stalin, mentre un amministratore d'azienda non dovrebbe avere il potere di un tiranno: interpellato in proposito, l'80 per cento dei lettori del sito Cnn ha risposto che i responsabili aziendali dovrebbero oggi esser sottoposti a test per valutare la presenza di psicopatie. Nei fatti, niente di simile avviene: il risultato è l'esplodere quotidiano di nuovi scandali.

Forse, la lotta finale non sarà - come aveva predetto Ignazio Silone nel suo scritto sui comunisti delusi - uno scontro tra comunisti ed ex-comunisti, ma tra capitalisti ed ex-capitalisti divenuti psicopatici.
All'imprenditore postmoderno si richiedono doti non comuni: eppure non è facile che diventi, per i suoi dipendenti, un mito equivalente agli eroi tradizionali. Come avevano previsto già Lev Tolstoj e John Ruskin, la sua attività lo trasforma facilmente in un cinico senza onore: all'opposto del comandante che mette in salvo i suoi e affonda con la nave, è lui il primo che deve salvarsi.

PROGRAMMA DELL’ECONOMIA MODERNA

Del resto, risale a quasi un secolo fa il programma dell'economia moderna, secondo cui il capitalismo-avidità avrebbe finito col rimpiazzare quello classico o fordista.
Già nel 1919, infatti, un giudice americano aveva condannato Henry Ford, che voleva reinvestire gli utili della sua fabbrica di automobili creando nuovi stabilimenti e migliorando la produzione: la storica sentenza diede ragione ai suoi soci fratelli Dodge - più tardi industriali dell'automobile a loro volta - perché, diceva:

lo scopo di un'azienda è arricchire i proprietari
e non dar lavoro agli operai
o prodotti più utili ai consumatori.

Al mondo esistono ancora, nominalmente, diversi paesi anticapitalisti, comunisti e/o persino rivoluzionari; e diversi movimenti anticapitalisti, comunisti e/o rivoluzionari nei paesi capitalisti. Mezzo secolo fa le loro voci minacciavano di morte il capitalismo liberale, anche se proprio in quegli anni i paesi a economia di mercato stavano effettuando la più equa distribuzione di redditi e di servizi della storia umana.
Si dava ormai per scontato che sanità e istruzione fossero un diritto universale: quanto alla redistribuzione della ricchezza, persino negli Stati Uniti e con un governo di centro-destra (quello del repubblicano Dwight Eisenhower, già capo delle Forze Armate) le aliquote delle tasse sul reddito personale arrivavano al 90 per cento. Insomma, anche nella patria del capitalismo, in nome degli interessi della società, lo Stato prelevava agli individui più avidamente di ogni capitalista.

LA RIVOLUZIONE AVVENUTA

Tra allora e oggi, una rivoluzione (alla lettera: un ribaltamento) è avvenuta. Quella tendenza, infatti, si è letteralmente rovesciata. Infiniti «paradisi fiscali» permettono di evitare le tassazioni più alte - che sono comunque diventate, anche nei socialismi scandinavi, infinitamente inferiori -, mentre nell'ultimo grande paese comunista, la Cina, il coefficiente di Gini (che cresce con la concentrazione dei redditi) ha continuato ad aumentare fino a esser doppio di quello di un paese prototipo del capitalismo come il Giappone e si avvicina ormai a quello del Brasile. La ricchezza si sta addensando di nuovo nelle mani dei privilegiati, con una velocità che non ha precedenti nella storia, mentre il progresso economico lascia spesso a lavoratori e classi medie solo le briciole.

Sappiamo che, nella modernità, la distanza tra paesi poveri e ricchi ha continuato ad aumentare. All'inizio della rivoluzione industriale l'Occidente «ricco» aveva in media un reddito prò capite 3-4 volte superiore a quello dei paesi extraeuropei. Oggi il differenziale è nell'ordine delle centinaia: il reddito prò capite del paese più ricco, la Norvegia, è ormai oltre 500 volte quello del Congo, e quasi 700 volte quello del Burundi.
All'interno di Europa e Nordamerica, però, la prima metà del xx secolo aveva portato non solo un grande progresso tecnico, sanitario e dell'educazione, ma anche una sostanziale diminuzione delle differenze sociali.

Intorno agli anni Sessanta la tendenza si è invertita. Oggi negli Stati Uniti l'1 per cento della popolazione dispone di un reddito pari a quello del 55 per cento che sta più in basso.
Ancora nel 1980 il capo (ceo) di un'azienda americana guadagnava mediamente 40 volte lo stipendio dei suoi dipendenti. Ora la differenza ufficiale è già di centinaia di volte, ma quella reale è ancor maggiore, perché i dati non includono i guadagni sul capitale attribuiti ai manager. Nello stesso paese, nella stessa città, ma anche all'interno dello stesso luogo di lavoro, dove si finge di essersi avvicinati dandosi del tu, la distanza si è fatta sconfinata.

LA PSICOPATIA HA OCCUPATO I VERTICI DELLA SOCIETÀ

Con maggiore o minor ritardo, il mondo sta seguendo questa tendenza. Le persone ragionevoli si pongono una domanda: se ai vertici delle singole imprese industriali e finanziarie le recenti trasformazioni hanno concentrato una inattesa percentuale di psicopatici, cosa succede al vertice di tutta la società?
Questa punta della macropiramide sociale è infatti la somma dei vertici delle micropiramidi (imprese, gruppi sociali ecc.) che la compongono: anche se l'analisi clinica di tutto lo strato più alto della società non è possibile, è logico supporre che sia un concentrato delle psicopatie accertate alla cima dei settori di cui si compone.
I rivoluzionari cambiamenti, dunque, non consistono solo in rapidissime concentrazioni di ricchezza. L'altra scioccante novità è che

nei posti guida si è seduta
una immoralità senza precedenti.

A denunciarla come psicopatica, questa volta non sono gli anticapitalisti ma alcuni ipercapitalisti.
Se scorrete internet alla voce significativa corporate psychopathy, troverete pagine e pagine e pagine che elencano libri e articoli su questa nuova criminalità: non provengono, però, da editori o movimenti di sinistra e tantomeno da Chiese, per cui le sorti del prossimo non paiono di attualità, ma da pubblicazioni specializzate nella gestione aziendale. Da quando la respublica è diventata res privata, a scrivere di queste cose sono, come abbiamo visto, le esperte di psicologia criminale dell'Università del Surrey.  O il dottor Paul Babiak, psicologo dell'industria newyorkese (che, inevitabilmente, dalle industrie trae il suo reddito).  Il più celebre è il citato Robert Hare, professor emeritus all'Università della British Columbia, a lungo consulente di organizzazioni sovversive come l'Fbi, che espone le sue teorie in laboratori rivoluzionari come i congressi della polizia canadese. La critica alla nuova disumanità del capitalismo post-industriale è divenuta una specializzazione della società capitalista post-industriale.

Fonte: da il Quaderno di Mauriozio Scardorelli
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sabato 28 aprile 2012

GRAZIE MARIO


DANIMARCA, MINISTRI AL GIURAMENTO IN BICICLETTA. VE LO IMMAGINATE BRUNETTA?


Quattro ministri danesi in bici a Palazzo reale


Una volta il Paese di tendenza era l’Islanda: a Reykiavik, la capitale, accadevano cose che sarebbero successe solo sei mesi dopo a New York, e dopo altri sei mesi nel mondo. Forse lo è ancora con quell’idea portata avanti di non pagare il debito pubblico.

Di certo di tendenza è, al nord d’Europa, la Danimarca. Dopo la fat tax, la tassa sul grasso, eccone un’altra: le biciclette mondiali di Mark Kavendish e della nostra Bronzini sono oscurate da quelle del Governo danese appena eletto e nominato. Sei ministri si sono recati a Palazzo reale, per giurare nelle mani della Regina Margarethe, pedalando: dopo la monarchia in bicicletta, il Governo in bicicletta. Certamente l’evento è stato anche favorito dal fatto che il ministro del gisco ha appena ventisei anni e, probabilmente, se non fosse ministro starebbe per strada fra gli indignados che tracimano in tutto il mondo, negli Stati Uniti coast to coast da Wall Street a Los Angeles.

Ma ve l’immaginate in Italia? Berlusconi e Bossi in bicicletta, naturalmente blù, Brunetta sulla Graziella o forse sul triciclo? E niente gruppo: ognuno in fuga, chi da una parte e chi dall’altra, la Gelmini nel ruolo di Alfonsina Strada la prima e unica donna che corse il Giro d’Italia contro gli uomini. Non sempre arrivò fuori tempo massimo. Neanche Maria Stella ci arriverebbe: risparmierebbe sul percorso andando per tunnel.

Post scriptum e cosa molto seria e struggente; in tutto questo incredibile ambaradam sul caso Amanda-Raffaele c’è la frase della mamma di Meredith, la vittima: «Resta che mia figlia non tornerà a casa». Già.

FONTE:  srs di Piero Mei  da Il Messaggero.it  di l Martedì 04 Ottobre 2011