martedì 31 gennaio 2012

SE I PRECARI SAPESSERO LA VERITÀ SULLE LORO PENSIONI RISCHIEREMMO UNA RIVOLTA


Era l’ottobre del 2010 quando il Presidente INPS Antonio Mastrapasqua, dichiarò che "se i precari sapessero la verità sulle loro pensioni rischieremmo una rivolta"...

Invece purtroppo non è così. I precari ora sanno bene che avranno una pensione DA FAME, ma nessuno se ne lamenta, quasi come se questa realtà non li riguardasse, un fatto percepito "distante" come il fumatore che sa benissimo che le sigarette fanno malissimo e che provocano il cancro, ma continuano a fumare...

Fino  a quando non ci "BATTIAMO LA TESTA", le cose non si capiscono... ma quando la sbatteremo sulle pensioni, saremo troppo anziani per "farci sentire"... come i nostri anziani che oggi sono costretti a sopravvivere con la pensione minima. E i politici si approfittano di questo problema CULTURALE, quando devono approvare una legge scomoda, ne posticipano l'entrata in vigore di pochi anni e il gioco è fatto; come se dopo tre, quattro o cinque anni che sia, la cosa non ci riguardasse comunque! Se riguarda gli altri, ce ne freghiamo, anzi qualcuno quasi ci gode...

I PRECARI SARANNO SENZA PENSIONE

Di Eleonora  Bianchini

La notizia è arrivata e conferma la peggiore delle ipotesi. Rimarrà sotto traccia per ovvi motivi, anche se in Rete possiamo farla circolare. Se siete precari sappiate che non riceverete la pensione. I contributi che state versa non servono soltanto a pagare chi la pensione ce l'ha garantita. Perché l'Inps debba nascondere questa verità è evidente: per evitare la rivolta. Ad affermarlo non sono degli analisti rivoluzionari e di sinistra ma lo stesso presidente dell'istituto di previdenza, Antonio Mastropasqua che, come scrive Agoravox, ha finalmente risposto a chi gli chiedeva perché l'INPS non fornisce ai precari la simulazione della loro pensione futura come fa con gli altri lavoratori: "Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".

Intrage scrive che l'annuncio è stato dato nel corso di un convegno: la notizia principale sarebbe dovuta essere quella che l'Inps invierà, la prossima settimana, circa 4 milioni di lettere ai parasubordinati, dopo quelle spedite a luglio ai lavoratori dipendenti, per spiegare come consultare on line la posizione previdenziale personale. Per verificare, cioè, i contributi che risultano versati.

La seconda notizia è che non sarà possibile, per il lavoratore parasubordinato, simulare sullo stesso sito quella che dovrebbe essere la sua pensione, come invece possono già fare i lavoratori dipendenti. Il motivo di questa differenza pare sia stato spiegato da Mastrapasqua proprio con quella battuta. Per dire, in altre parole, che se i vari collaboratori, consulenti, lavoratori a progetto, co.co.co., iscritti alla gestione separata Inps, cioè i parasubordinati, venissero a conoscenza della verità, potrebbero arrabbiarsi sul serio. E la verità è che col sistema contributivo, i trattamenti maturati da collaboratori e consulenti spesso non arrivano alla pensione minima.

I precari, i lavoratori parasubordinati come si chiamano per l'INPS gli "imprenditori di loro stessi" creati dalle politiche neoliberiste, non avranno la pensione. Pagano contributi inutilmente o meglio: li pagano perché l'INPS possa pagare la pensione a chi la maturerà. Per i parasubordinati la pensione non arriverà alla minima, nemmeno se il parasubordinato riuscirà, nella sua carriera lavorativa, a non perdere neppure un anno di contribuzione.
L'unico sistema che l'INPS ha trovato per affrontare l'amara verità, è stato quello di nascondere ai lavoratori che nel loro futuro la pensione non ci sarà, sperando che se ne accorgano il più tardi possibile e che facciano meno casino possibile.
Quindi paghiamo i nostri contributi che non rivedremo sotto forma di pensione. Se reagiamo adesso, forse, abbiamo ancora la speranza di una pensione minima.

FONTE: da srs di Eleonora Bianchini; lunedì 11 ottobre 2010;
 liberamente tratto da  Blogosfere e NOCENSURA



lunedì 30 gennaio 2012

CONCETTI E PRINCIPI DI DON ALBERTO BENEDETTI

Don Alberto Benedetti


Concetti e principi di don ALBERTO BENEDETTI, prete di Shere’ (Ceredo)  di Sant’Anna del Faedo, paese  dell’altopiano  della Lessinia  in provincia  di Verona.

CONCETTI MORALI

Ama il creatore

Ama la terra

Lavora gratuitamente

Conta su quello che hai e sii povero

Ama qualcuno che se non se lo merita


CONCETTI CIVILI

Non ti fidare del governo di nessun governo

Abbraccia gli essere umani bel tuo rapporto con ciascuno di loro riponi la tua speranza politica

Maledeto co l'omo che a la matina  'l sa quel che a la sera 1'a' ciapa' = (maledetto l’uomo che al mattino sa quello che  prederà alla sera)

Vendere poco e comperare meno = autosufficienza.

Non comperare roba venuta da lontano.

Non produrre cose che possano essere esportate lontano.

Non produrre cose che possano essere trasformate in simboli monetari.

Se te laore per ti, te rende per tri = ( se lavori per te, rendi per tre)

La roba risparmia', l'e' la prima guadagna'.

Non progredire, ma vivere.

Studiare molto piante e animali, compresi i bipedi implumi; più sul terreno che sui libri.

Esercita molti giochi inventati da te o dai tuoi vicini per favorire la crescita culturale.

Evita come un diavolo qualunque sport. Sono drogature dei capitalisti per rubare i soldi ai salariati, e aumentare la degradazione dell' energia. Anche lo sport è una guerra fatta per impinguare i capitalisti.

Se un musso el magna la paia for dal basto, se resta senza musso e senza basto.

Non prendere soldi in prestito; se hai risparmiato soldi, non prestarli alle banche e agli amici.

I fiti i magna i driti = se fai debiti presto resterai senza il tuo capitale.

Non pestare sul terreno senza necessità perché uccidi un essere vivente e lavori alla distruzione di tutti i viventi.

Approva nella natura quello che non capisci e loda quella speranza perché ciò che l’uomo non ha razionalizzato non ha distrutto

Fai le domande che non hanno risposta

Investe nel millennio

Pianta castagnari


Fonte: pensieri e vita di Don Alberto Benedetti, prete della montagna veronese (28 aprile 1911- 15 agosto 1997)

domenica 29 gennaio 2012

UN GIORNO POTREBBE TOCCARE A NOI ROVISTARE NEI RIFIUTI... E CE LO SAREMO MERITATO


Non hanno la forza fisica per protestare; non hanno una macchina per bloccare le strade; non hanno internet, non sanno usarlo e comunque non potrebbero permetterselo. Sono quel 1.600.000 pensionati con la minima, molti dei quali versano in situazione disperata. SONO I NOSTRI NONNI (O GENITORI)...

Sono la fascia più debole della popolazione, e NON HANNO VOCE... dimenticati da TUTTI. Dalle istituzioni, dalla politica, dai sindacati... e quel che è peggio, DA NOI CITTADINI.

UN GIORNO SAREMO ANCHE NOI ANZIANI... e per come vanno le cose - il fatto che i precari avranno pensioni da fame, da aggiungere al fatto che in molti non faranno nemmeno figli su cui poter contare - POTREBBE TOCCARE A NOI ESSER COSTRETTI A ROVISTARE TRA GLI AVANZI DEL MERCATO, O PEGGIO NELLA SPAZZATURA... E SE SUCCEDERA', CE LO SAREMO *MERITATO* visto che oggi non pensiamo a DIFENDERE I NOSTRI ANZIANI, a PRETENDERE DIRITTI PER LORO... 

Magari siamo pronti a bloccare le strade perché il gasolio costa troppo; scendiamo in piazza a urlare quando si tratta del NOSTRO orticello, ma se una situazione non ci riguarda da vicino, ce ne sbattiamo le palle....

Fonte:  da  staff di NOCENSURA di venerdì 27 gennaio 2012



"CI STATE TOGLIENDO LA DIGNITÀ". LA MISERA CONDIZIONE DEI NOSTRI PENSIONATI

"Ci state togliendo la dignità". La misera condizione dei nostri pensionati con la "minima" tra scandali indegni di un paese civile"

Aumentano in tutta Italia i casi di DISPERAZIONE dovuti allo stato di povertà in cui versano i nostri anziani; è il dramma silenzioso delle fasce più deboli della popolazione, 1.600.000 di pensionati costretti a sopravvivere con la pensione minima, ogni tanto le cronache riportano il caso di qualche anziano che viene scoperto a rubare - e magari si prende pure una denuncia - oppure che compie qualche gesto inconsulto come l'85enne che tentò due rapine per fame (vedi http://bit.ly/s6ciPz) casi che solo saltuariamente guadagnano quel poco di visibilità che serve per vendere qualche copia in più di un quotidiano, per tornare ben presto nel dimenticatoio, nessuno affronta la grave situazione con la SERIETA' che meriterebbe: non lo fa il governo, non lo fanno i partiti ne i sindacati... non lo facciamo noi giovani, perché se un problema non ci riguarda per molti è come se non esistesse: una società così non puo' definirsi civile.

I nostri anziani, molti dei quali hanno lavorato una vita a nero, in tempi in cui essere assicurati era cosa per pochi, passano gli ultimi anni di vita nella sofferenza, aggiungendo la miseria agli acciacchi e ai problemi di salute tipici dell'età, e quest'indifferenza è mostruosa.

La casta dei politici si è assicurata una pensione d'oro che nessuno intende toccare nemmeno davanti alla più grande crisi globale del secolo, hanno posticipato al 2018 la riduzione dei vitalizi, senza intaccare minimamente le pensioni attuali, come quella del dirigente regionale che è andato recentemente in pensione con 1.369€ ... al giorno! (vedi http://bit.ly/AkoqO1) e secondo qualcuno dovremmo persino ringraziarli per quel misero "contributo di solidarietà" che hanno stabilito per le pensioni superiori ai  200.000€ all'anno (pagano solo per l'importo eccedente, vedi http://bit.ly/ushRms) uno spreco di denaro pubblico che si aggiunge a quello delle pensioni REGALATE agli extracomunitari che, grazie a una legge del centrosinistra, portavano i parenti ultra sessantacinquenni in Italia per far concedere loro la pensione, le cosiddette "pensioni gratis" agli stranieri che non hanno mai lavorato, non hanno mai vissuto in Italia, e che dopo che si sono assicurati l'assegno mensile tornano in patria, (vedi http://bit.ly/tyOOtO) dove con quei 550€ al mese fanno i signori, alle spalle dei nostri pensionati.

Un altro scandalo indegno è quello dei falsi invalidi, gente che riesce a farsi dare la pensione per cecità, e che dallo stesso stato ricevono una patente di guida; nel 2010 hanno revocato quasi 10.000 pensioni assegnate a falsi invalidi (vedi http://bit.ly/zrlIgo) ma NESSUN MEDICO che le ha concesse ha pagato per questo, gente che meritava di esser non solo licenziata, ma anche querelata, rimane al suo posto e magari fa carriera... questa è l'Italia.

E il futuro, anche dal punto di vista previdenziale non promette niente di buono: coloro che oggi sono precari - si parla di milioni di individui - per stessa ammissione del Presidente INPS Mastropasqua avranno una pensione da fame... (vedi http://bit.ly/Anf2pD).
Ma dove stiamo andando? Cosa sta diventando questa società?!?

Fonte: srs di Alessandro Raffa per nocensura.com  del 27 gennaio 2012
Fonte: NOCENSURA


sabato 28 gennaio 2012

APPLE E IL COSTO UMANO DEL SUCCESSO: L'INDAGINE DEL NEW YORK TIMES SUL LAVORO IN CINA

An explosion last May at a Foxconn factory in Chengdu, China, killed four people and injured 18. It built iPads.


Apple è l'azienda più ammirata e una delle più ricche ma l'altra faccia della medaglia è il costo umano pagato dalla manovalanza cinese: lunghi orari, sicurezza scarsa o inesistente, esposizione a sostanze tossiche e pericolose. Nei casi estremi persino la morte. Il New York Times esplora il lato oscuro del mondo della tecnologia, nelle catene di montaggio in Cina che servono Apple ma anche tutte le altre più importanti aziende del mondo.

Dietro avere  la scorsa settimana in un dettagliato articolo come la Cina sia riuscita a sottrarre agli USA e a molti paesi occidentali milioni di posti di lavoro nel settore dell'elettronica di consumo, New York Times torna sull'argomento concentrandosi questa volta non sulle strategie di produzione seguite ma sul costo umano di esse.

II lungo e apparentemente molto documentato articolo parte dalla storia di Lai Xiaodong un laureato di 22 anni morto nell'esplosione dello stabilimento Foxconn di Chengdu, Cina avvenuta lo scorso maggio. Il racconto della breve vita dell'operaio Lai si intreccia con una indagine approfondita sulle condizioni di lavoro della manovalanza impiegata in Foxconn ma anche presso numerose altre aziende cinesi che costruiscono e assemblano prodotti per tutti i più importanti marchi della tecnologia e non solo dell'occidente.



Apple, spiega il giornale, si è attivata per monitorare le condizioni di lavoro in Cina per cercare di migliorare il sistema ma le relazioni in essere tra committente e costruttore non incentivano la soluzione.

Quando Cupertino cerca un nuovo fornitore non chiede mai il prezzo di un servizio o di una componente; invece richiede un i costi di manodopera, di sfruttamento della strumentazione e dei materiali,  poi fa un'offerta e solitamente il margine concesso è ridottissimo. Le aziende difficilmente rifiutano per via dei volumi di fatturato che garantisce Apple ma una volta assicurata l'importante commessa, sono costrette a trovare soluzioni per soddisfare le richieste di Apple, provando a ricavare nel prezzo pagato i margini di profitto e questo normalmente si traduce in un costo umano visto che Apple impone materiali, design e standard qualitativi.

Anche la segretezza che circonda la linea di produzione della Mela rappresenta una barriera per cercare di migliorare le condizioni di lavoro.
Non sapendo chi sono i fornitori diventa difficile capire come lavorano i loro dipendenti. Apple ha recentemente pubblicato un nuovo elenco contenente i partner principali ma dalla lista si stimano siano escluse centinaia di società secondarie più piccole difficili da identificare e persino da localizzare, ovvero i fornitori dei fornitori. E anche quando si sa chi sono i produttori coinvolti nella filiera di Apple, è molto complesso capire dove vengono create alcune componenti.



Secondo alcuni ex dirigenti, Foxconn e Apple se volessero potrebbero risolvere la situazione in tempi brevi: in particolare Cupertino potrebbe interrompere il rapporto d'affari con le società che non rispettano la legge o gli standard minimi richiesti da Apple.  Ma anche questa policy drastica si scontra con l'onerosità in termini di tempo e denaro per cercare altri fornitori; senza considerare che in alcuni casi le scelte sono obbligate. In fondo nel mondo non esiste quasi alcuna alternativa a Foxconn quando si tratta di avere i volumi di produzione richiesti dai prodotti Apple.

Dall'intervista di alcune persone emerge anche il senso di colpa per le scelte non fatte.
Poco prima dell'inizio della catena di suicidi negli stabilimenti Foxconn una società di monitoraggio aveva suggerito l'attivazione di una hot line telefonica per ascoltare e cercare di risolvere eventuali problemi psicologici dei dipendenti. Foxconn ha tergiversato prolungando i tempi fino a bloccare l'iniziativa, salvo poi tornare sui propri passi quando ormai era già tardi: il centro di ascolto è stato attivato solo dopo la lunga serie di suicidi verificatesi nel mega impianto-citta di Foxconn. Apple era stata coinvolta nella trattativa, ma si era chiamata fuori: «Vogliono mantenere le distanze - dice un consulente di BSR Business for Social Responsibility -; avremmo potuto salvare delle vite se Apple avesse fatto pressione su Foxconn. Ma non l'hanno fatto. Non gli interessa prevenire i problemi, la loro preoccupazione è solo evitare situazioni che li possono mettere in imbarazzo»


Apple è l'esempio più eclatante e riconoscibile ma non è l'unica società a utilizzare costruttori cinesi: tra gli altri nomi riportati nell'articolo ricordiamo Dell, HP, Lenovo, IBM, Motorola, Nokia, Sony, Toshiba, Nintendo, Amazon, Nokia, Samsung e molti altri ancora.  Secondo gli addetti ai lavori la situazione è conosciuta da tutti ma per il momento la soluzione non rientra nelle priorità di committenti e produttori.

Tutta l'attenzione del mondo, utenti finali inclusi, è concentrata sull'ultimo gadget e sulle prestazioni migliori. Il sistema che si è venuto a creare è tutto teso alla riduzione dei costi, a produrre un maggior numero di unità prive di difetti e consegnare il massimo numero possibile di pezzi. I bassi salari e soprattutto le condizioni di lavoro della manodopera in Cina generano sgomento quando si verificano gli incidenti più gravi per poi passare in secondo piano subito dopo.

L'articolo, come accennato, è molto strutturato e complesso, ricco di esempi e di citazioni oltre che di testimonianze, alcune delle quali anonime altre di associazioni che si occupano della tutela della dignità dei lavoratori, ed è impossibile da riassumere. Invitiamo tutti coloro che hanno interesse per questo argomento, per tanto, a leggerlo direttamente.

Fonte: da Macity del 26 gennaio 2011



COOK: «APPLE SI PREOCCUPA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO DEI DIPENDENTI DEI PARTNER»


"Ci prendiamo cura di ogni lavoratore nella supply chain a livello mondiale" e ancora "Qualsiasi insinuazione sul nostro disinteresse è palesemente falsa e offensiva": in una lettera inviata ai dipendenti Tim Cook risponde all'indagine sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi del New York Time in cui la multinazionale della Mela viene accusata di disinteresse e complicità con i fornitori.

«Palesemente false ed offensive». Tim Cook bolla in questo modo le vicende sulle condizioni di lavorodi alcuni dei partner Apple negli stabilimenti cinesi, raccontate dal New York Times.
La replica tempestiva al lunghissimo e dettagliato articolo arriva in una lettera inviata ai dipendenti Apple. 

 Nella documento ilCeo di Cupertino rende molto chiara la presa di posizione dell'azienda su questo problema, precisando il raggio d'azione, quello che è stato fatto e quello che verrà fatto per farvi fronte
"Come società e come individui siamo definiti dai nostri valori. Purtroppo oggi alcune persone stanno mettendo in dubbio i valori di Apple e vorrei affrontare questo con voi direttamente. Ci prendiamo cura di ogni lavoratore nella supply chain a livello mondiale. Ogni incidente è profondamente preoccupante e ogni problema relativo alle condizioni di lavoro è motivo di preoccupazione. Qualsiasi insinuazione sul nostro disinteresse è palesemente falsa e offensiva. Come voi sapete meglio di chiunque altro, accuse come questa sono contrarie ai nostri valori. Non è questo ciò che siamo".



Nella lettera Cook delinea le iniziative di Apple per individuare problemi relativi alle condizioni di lavoro e delle operazioni intraprese per il miglioramento. Il Ceo dichiara che un crescente numero di fabbriche e fornitori esteri è stato esaminato e che Cupertino si sta impegnando aggressivamente per risolvere ogni problema rilevato. Cook fa anche riferimento alle recenti iniziative in questo senso e all'introduzione da parte di Apple di resoconti indipendenti effettuati dalla Fair Labor Association: il dirigente della Mela dichiara che Apple sta facendo più e meglio di qualsiasi altra società in questo senso. 


Nella parte conclusiva della lettera Cook accenna anche alle iniziative intraprese da Cupertino per educare i lavoratori circa i propri diritti, per fare in modo che possano denunciare e protestare in presenza di condizioni insicure o di trattamento non corretto.
"Continueremo a scavare più a fondo e senza dubbio troveremo altri problemi. Quello che non faremo e che non abbiamo fatto è restare immobili o chiudere un occhio ai problemi della nostra supply chain. Su questo avete la mia parola".


Fonte: da Macity del 27 gennaio 2011

venerdì 27 gennaio 2012

IL NEW YORK TIMES: ECCO COME GLI USA HANNO PERSO GLI STABILIMENTI APPLE E… NON SOLO


In un lungo, strutturato ma molto interessante articolo il New York Times affronta le ragioni per cui Apple ha abbandonato i suoi stabilimenti americani e ora costruisce tutto in Cina. Il costo del lavoro è solo una delle componenti della scelta che sta impoverendo gli Statunitensi.

Apple aveva bisogno, perché Jobs lo ordinava, di un sistema per far migrare i telefoni dalla copertura in plastica a quella in vetro. La richiesta, complessa perché nessuno nel mondo aveva uno stabilimento in grado di dare il via alla sperimentazione e poi all’assemblaggio di questo materiale, inconsueto nel cellulari, venne passata ad uno stabilimento cinese. In pochi giorni venne completato un capannone, furono riempiti i magazzini di pannelli forniti gratuitamente a scopo di test e convocati centinaia di lavoratori per dare il via alla sperimentazione. Un mese dopo tutto era pronto per dare il via alla produzione di iPhone e il primo camion carico di pannelli tagliati prese la strada di Foxconn. Il camion arrivò nel cuore delle notte e 8000 dipendenti vennero svegliati e messi davanti alla loro stazione di lavoro per dare il via all’assemblaggio; 96 ore dopo da quello stabilimento uscivano 10mila iPhone al giorno.

Questa è una delle storie raccontate dal New York Times in un vastissimo articolo che prende le mosse dalle scelte compiute da Apple, la più grande azienda IT del mondo, e dalle sue strategie per spiegare le ragioni per cui gli USA stanno perdendo posti di lavoro offerti da aziende americane che spostano la loro produzione in Cina. La risposta alla domanda che anche Barack Obama aveva rivolto a Steve Jobs durante la famosa  cena con i più importanti imprenditori della Silicon Valley che si era svolta a San Francisco lo scorso anno, ottenendo una risposta non troppo confortante («Quei posti di lavoro non torneranno mai indietro») non è facile e comunque non parte dal semplice presupposto che il lavoro in Cina costa meno. Il costo del lavoro non è determinante visto che, ad esempio, nel caso di iPhone un telefono costruito negli USA avrebbe un ricarico di “soli” 65$ rispetto ad uno prodotto oltre oceano. In pratica Apple potrebbe costruire un iPhone negli USA e continuare a guadagnare molto se non ci fossero dietro, come spiega il giornale, molte altre ragioni di impronta logistica e organizzativa che sconsigliano di farlo.

In particolare, hanno detto alcuni dipendenti ed ex dipendenti Apple che parlavano nell’anonimato, riportare negli USA le linee di produzione è impraticabile per la mancanza di forza lavoro sufficientemente esperta ed istruita. Ad esempio nel caso di iPhone sono necessari 8700 ingegneri per dirigere le linee di produzione composte da 200mila dipendenti; Foxconn ha impiegato 15 giorni a trovarli, negli Stati Uniti potrebbero volerci nove mesi. «Non possiamo rimproverarci di usare dipendenti cinesi per costruire i nostri dispositivi - dice un’attuale (e anonimo) manager Apple - l’America ha smesso di creare persone con le professionalità necessarie»

Un'altra ragione per la quale gli impianti sono all’estero è nel fatto che anche molte aziende americane che producono componenti spostano all’estero le loro fabbriche. È il caso di Corning, che fornisce il vetro speciale Gorilla Glass per iPhone, un’azienda centenaria basata in Kentucky che ha deciso di portare almeno in parte la sua produzione in Giappone e Taiwan riducendo anche di dieci volte i costi e tagliando di un mese i tempi per le consegne, visto che le fabbriche sono in Cina.

Una terza ragione ed importantissima ragione è nella scala che possono raggiungere gli impianti cinesi e nella loro capacità produttiva oltre che nel sistema logistico ed organizzativo. «Ti servono - dice un ex dipendente Apple - migliaia di guarnizioni? Hai una fabbrica accanto alla tua che le produce. Hai bisogno di un milione di viti? C’è un’azienda che te le fornisce ad un isolato di distanza. Vuoi che quella vite sia un po’ differente? Ci mettono tre ore a modificarla». Nelle aziende cinesi c’è sempre il personale che serve, per quantità e disponibilità.

La scala su cui lavorano queste aziende è inimmaginabile. A Shenzen nella fabbrica Foxconn lavorano 230mila persone, operative sei giorni la settimana, anche su turni di 12 ore.  Ci sono 300 persone addette a dirigere il traffico dei pedoni per evitare ingorghi durante il cambiamento dei turni; ogni giorno si cucinano tre tonnellate di maiale e 13 tonnellate di riso. Se necessario possono reclutare 3.000 persone da un giorno all’altro e metterle a dormire in camerate. «Quale azienda americana è in grado di reclutare 3.000 persone in 24 ore e convincerle a dormire insieme, in un camerone comune?», dice Jennifer Rigoni che ha lavorato per Apple, curando le forniture a livello mondiale fino al 2010.

Tutto questo sta impoverendo gli USA. Nell’articolo si racconta la storia di Eric Saragoza, un ingegnere che lavorava ad Elk Groove dove si assemblavano i primi iMac. Il suo stipendio era di 50mila dollari l’anno, ma ben presto si rese conto che le cose sarebbero cambiate. Costruire l’all in one nei pressi di Sacramento costava 22 dollari (materiali esclusi) e a Taiwan 4,85 dollari e questo non tanto e non solo per il costo del personale, ma per i magazzini inefficienti e il tempo necessario per completare un prodotto. Venne chiesto ad alcuni dipendenti di lavorare per 12 ore e anche al sabato, ma pochi accettarono. Apple cominciò a spostare il lavoro all’estero fino a quando Saragoza venne licenziato e la fabbrica chiusa e trasformata in un call center e in parte affittata ad un’azienda che testa gli iPad e iPhone ricondizionati, ed è lì che per qualche tempo, ironicamente, ha lavorato l’ex dipendente Apple, un ingegnere laureato, pulendo schermi e testando connettori per le cuffie percependo 10 dollari l’ora senza alcun beneficio come assicurazione sanitaria e piano pensionistico.

L’articolo, molto più complesso e strutturato della sintesi che abbiamo cercato di farne in questa sede, è una lettura di particolare interesse per tutti coloro che si occupano sia di cose Apple che di chi è curioso di capire le ragioni per cui il mercato del lavoro sta diventando così difficile in tutti i paesi del mondo occidentale.

Fonte: da Macity del  22-1-2012

giovedì 26 gennaio 2012

CHIESA DI SAN GIACOMO DEL GRIGLIANO: EVENTI STORICI SUCCESSIVI

L'abside della Chiesa di San Giacomo


Cap. V

GLI EVENTI STORICI SUCCESSIVI

Nelle pagine di questo capitolo storico conclusivo esamineremo i fatti più significativi che hanno caratterizzato la storia della chiesa di S. Giacomo del Grigliano, dall'inizio del XV secolo ai nostri giorni.

Come si è detto, in precedenza, l'8 maggio del 1413, il Comune di Verona affidò le opere esistenti sul Grigliano ai Monaci Benedettini di S. Giustina di Padova. Sotto la guida di questi religiosi, in breve tempo, il luogo raggiunse una prosperità insperata e la chiesa ricevette importanti migliorie. Questo avvenne anche in virtù delle rendite di S. Giacomo di Tomba,  di cui i Monaci godevano dal loro arrivo sul Grigliano(1).

Nel 1432 al Santuario di S. Giacomo fu annessa la chiesa di Lepia, situata nei pressi di Vago di Lavagno, in seguito alla soppressione del Monastero delle suore di S. Giuliano che l'avevano in custodia, ritiratesi a Monza(2).  Nel 1438 fu nominato priore fr. Apollonio di Mantova e nel 1440 Giuliano da Ferrara(3).

La permanenza dei Benedettini continuò fino al 23 agosto 1443(4),  quando un monaco di tale congregazione rinunciò al priorato per essere stato eletto Abate di S. Nazaro(5) e il Comune di Verona nominò allora 5 cittadini, come «governatori di essa chiesa »(6)  nella persona di P. Francesco de’ Giusti, Nicola Dalla Cappella, Gabriele Verità, Bartolomeo Pellegrini e Zeno Ottobelli(7).

I cinque Governatori, il 27 agosto dello stesso anno elessero, come economo di S. Giacomo del Grigliano, Donato Dalla Cappella, col salario di 20 lire al mese(8), in attesa di affidare il tempio e le cose pertinenti ad un altro gruppo di monaci.

Nel 1444, il 6 novembre, i cittadini sopraintendenti al Grigliano, affidarono il Santuario con le sue rendite a frate Simon da Camerino, Eremitano e alla sua compagnia, riservando al Consiglio, qualora il luogo fosse abbandonato, facoltà di conferirlo ad altri e ai governatori l'obbligo di provvedere per il culto e l'officiatura(9).

E si giunge cosi al 19 febbraio 1445, data in cui il Comune di Verona conferisce al Santuario di S. Giacomo la dotazione ufficiale e perpetua di chiesa con le sue pertinenze(10). In tale documento dal titolo: «Dotatio Sancti Jacobi », inoltre, si riferisce che la collina, un tempo sterile ed infruttuosa, è ora fertile e produttiva, perché coltivata a viti, olivi e ad alberi da frutto e non fruttiferi, e dove si raccolgono molte uve ed altri prodotti(11).

Il 27 luglio dello stesso anno, la proprietà fu affidata a fra Taddeo da Padova, già dell'Ordine di S. Brigida e ora Canonico Regolare d'Osservanza di S. Agostino, tuttavia, il diritto di giuspatronato rimaneva sempre alla città di Verona(12).

Il 13 maggio 1450 S. Giacomo fu assegnato ai Canonici Lateranensi di S. Salvatore(13)  e il Papa Nicolò V, con regolare Bolla, acconsentì all'unione del Monastero dei SS. Filippo e Jacopo in Sacco alla chiesa del Grigliano(14).  I Canonici rimasero qui per poco tempo, perché il 10 marzo 1451 il Comune di Verona e i Governatori di S. Giacomo deliberarono di donare il Santuario e i beni annessi ai Monaci Olivetani di Monte Oliveto Maggiore di Siena(15). La congregazione olivetana, fondata dal Beato Bernardo Tolomei nel 1313, era « fra le famiglie religiose, particolarmente italiane, la più osservante, riformata, e esemplare ... che per tutto spargeva odore di santità »(16), tanto che si era diffusa e insediata in varie località italiane, portando, ovunque, lo spirito religioso ed operoso di S. Benedetto. Anche a Verona giunsero alcuni monaci di questa congregazione e si stabilirono nel Monastero di S. Maria in Organo.

Qui nella sacrestia della chiesa, il 10 marzo 1451, appunto, il Vicario Generale Vescovile di Verona affidò a fra Leonardo Cavalleri di Bologna, a nome degli Olivetani, il possesso del Santuario e delle opere pertinenti e furono subito mandati a S. Giacomo dei Monaci in numero proporzionale alle entrate"

All'arrivo dei monaci le condizioni del luogo non erano molto felici, nonostante le rendite del Monastero dei S.S. Filippo e Jacopo  in Sacco e i contributi di S. Giacomo di Tomba(18).  Ma dalla fine del '400 alla metà del '700, con l'ausilio del Monastero di S. Maria in Organo che, come si sa, aveva notevoli possedimenti in provincia, con i proventi delle funzioni, delle elemosine e delle beneficienze, i monaci compirono un'azione ammirevole, prodigandosi, tra l'altro: nel miglioramento del tempio, nella bonifica del colle, nel completamento del convento e nella costruzione del campanile.

All'interno della chiesa furono realizzati dipinti e fregi, sull'altar maggiore e sugli altari laterali, in particolare nell'abside centrale, che come « chiesa grande» veniva riservata per le importanti funzioni religiose del  I°  maggio(19),  e del 25 luglio (20).   Inoltre, abbandonata ormai l'idea di completare il tempio, secondo il progetto, furono apportate delle modifiche alle absidiole laterali poste a sinistra, riservate ai Monaci.

Intorno al 1555 l'opera degli Olivetani si indirizzò ad un ulteriore miglioramento agricolo dei terreni del colle, che già da oltre mezzo secolo erano stati messi a coltura, ma che in taluni luoghi rimanevano ancora infruttuosi(21).

Cosi l'abate Bernardo e il cellelario Michelangelo vi fecero condurre ben 1334 carrette di terra, cioè una carretta ad ogni « pontezo », in modo da poter ricoprire il suolo tufaceo che affiorava ancora in certi punti(22)

Nel frattempo fu ampliata la costruzione del monastero che qui esisteva in parte dal 1408, quale sede del primo ordine di monaci secolari. Abitavano allora il convento l'abate, il cellelario, il maestro, il sagrista e il cuoco e venivano spesso i visitatori da Verona, ai quali l'abate chiedeva qualche sovvenzione, affinché i monaci potessero vivere(23).

I  lavori continuarono con fervore nel 1558 e nel 1559, quando per opera del padre Roberto veronese fu compiuta la costruzione del chiostro e del portico(24) e furono approntate due camere per gli ospiti, la cucina, tre cameroni e il refettorio(25).

Una delle ultime realizzazioni dei Monaci Olivetani, in questo luogo, fu l'innalzamento del campanile barocco, costruito interamente sulla volta dell'absidiola estrema destra, presumibilmente, nella prima metà del XVII secolo.

I Monaci Olivetani si acquistarono grande merito, oltre che per le opere ora considerate, anche per l'aiuto prestato alla popolazione del luogo durante il 1630, l'anno terribile della peste, che mieté molte vittime nella provincia veronese.

Si racconta un episodio, come testimonianza della devozione ancora viva, dopo quasi tre secoli dalla scoperta delle reliquie di Giacomo.

Durante il flagello la popolazione di Lavagno e dei paesi viciniori si rivolse fiduciosa al Santo Apostolo e nella domenica mattina del 27 novembre del 1630 una innumerevole folla orante giunse in pellegrinaggio al tempio del Grigliano e prodigiosamente il morbo cessò. «E chi può negare, scrive il Canobbio, l'intervento della mano di Dio, a cessare della peste quasi per incanto, quando l'aria più umida, calda, nebulosa, oscura, il cielo cupo e piovoso, e mentre in quel mese (novembre) non spirano che venti australi? »(26).

Nel 1717, per opera dei Monaci Olivetani, fu restaurata la chiesa(27) e nel 1767, per delibera delle autorità veronesi, il convento degli Olivetani sul Grigliano fu soppresso, ma i monaci abbandonarono, definitivamente, il luogo nel 1771(28).

Negli anni successivi la proprietà del colle fu riacquistata dal Comune di Verona, che decretò di affidare il Santuario alla cura  dei sacerdoti del clero secolare, per continuare l'officiatura e l'amministrazione dei sacramenti(29).

Per un certo periodo fu Rettore di S. Giacomo D. Gian Battista Avanzi(30) e il 14 settembre 1787 fu incaricato D. Bartolo Peroni, che riceveva ogni semestre delle indennità per le funzioni religiose(31). Dieci anni dopo il Comune di Verona che disponeva ancora dei beni del Grigliano, dovendo soddisfare dei debiti con i fratelli Faccioli, assegnò loro tutti i fabbricati ivi esistenti con circa 50 ettari di terreno(32).

Ma il 18 luglio 1799 i padri Gian Antonio Guglielmi e Gasparo Gasperi della Congregazione dell'Oratorio dei Filippini, fecero istanza all'autorità veronese per ottenere la custodia del Santuario, con le fabbriche esistenti e i beni annessi, assicurando la celebrazione della Messa e delle officiature religiose; dopo breve tempo il Consiglio del Comune, diede parere favorevole all'istanza dei padri di S. Filippo Neri, concedendo loro il diritto di locazione perpetua del Grigliano(33), ed essi cominciarono subito la loro opera.

Ma nel gennaio del 1801 le truppe imperiali francesi di passaggio nella zona, danneggiarono le costruzioni esistenti e asportarono alcuni beni del luogo(34). I Filippini, nonostante questi tristi eventi, proseguirono nell'opera di recupero e di custodia del Santuario, di amministrazione dei Sacramenti e di assistenza alla popolazione(35).

Dopo pochi anni, purtroppo, ripresero nuovamente i saccheggi e i danni, infatti, nel giugno del 1805,  le truppe francesi accampatesi nella zona, entrate in chiesa, distrussero l'altar maggiore, profanarono le reliquie e rovinarono gli altri stabili circostanti(36).

I Filippini cercarono di riparare ai danni subiti, ma per lo stato miserando in cui era ridotto il luogo, rinunciarono alla custodia e all'amministrazione del Santuario. Tuttavia, il 12 dicembre dello stesso anno,  30 abitanti di S. Giacomo avanzarono una istanza al Vicario Generale Vescovile, affinché i padri Filippini ritornassero sul Grigliano, per « riparare la chiesa spogliata, l'altare prosteso, le immagini denudate. »(37).  E questi, supplicati dal Vicario Vescovile Francesco Dondio, dopo breve tempo, ritornarono a S. Giacomo, ma la loro venuta in questo luogo suscitò divergenze e contrasti, in particolare con l'arciprete di Lavagno D. Antonio Murari,  il quale non voleva permettere che i Filippini celebrassero le funzioni festive a S. Giacomo, poiché ciò ledeva i suoi diritti parrocchiali e aveva proibito ai suoi fedeli di recarsi sul Grigliano per le funzioni religiose.

Allora il Vescovo di Verona, Mons. Andrea Avogadro, sentite le parti, prese le difese dei Filippini e decretò che essi potevano svolgere le attività e le officiature religiose liberamente, ad eccezione di quelle parrocchiali,  dato che la chiesa di S. Giacomo aveva acquisito lo Jus Patronatus fin dal 1445 (38).  Sorsero poi altre divergenze per la sepoltura dei fedeli nel sagrato della chiesa e ulteriori questioni religiose con il parroco di Lavagno. Così i padri Filippini, nonostante le ripetute suppliche della popolazione, abbandonarono il luogo(39).

Nel 1816 la proprietà del colle ritornò ancora nelle mani dei fratelli Faccioli e precisamente di Antonio.  Questi il 20 luglio dello stesso anno scrisse al Vescovo Innocenzo Liruti: «sarebbe di gran conforto al sottoscritto che ora possiede quel tempio e ai terrazzani se quel tesoro (delle ossa), fosse ridonato all'antico suo luogo, perciò prega l'E.V. affinché voglia interessare padre Bonomi a rimettere quelle reliquie, obbligandosi il sottoscritto per sé ed eredi di conservarle con religione, culto e decoro »(40).

Il 27 luglio con sollecita obbedienza il Padre Bonomi portò in Vescovado la cassetta di legno con le preziose spoglie dell' Apostolo, legata e sigillata. «Alle ore 4 e mezzo dello stesso giorno su legno a due cavalli, coperta di damasco limoncino e tovaglia di lino bianca» accompagnata da D. Bonomi e altri giunse a S. Giacomo, « v'era molta gente, il clero di Lavagno con l'arciprete D. Murari. Fu posta sul tabernacolo» (4). Successivamente chiusa in una cassa di ferro fu sistemata nell'altare(40).

I fratelli Faccioli, attraverso vari traslati e successioni serbarono la proprietà del luogo fino al 1857(43).


Dopo alcuni anni il colle e le sue pertinenze fu acquistato da Pietro Gonzales e poi da Rosa Libanti.  Proprio in questo periodo la chiesa di S. Giacomo fu segno di un importante contrasto.  Sorse l'interrogativo, come si potesse trovare sul Monte Grigliano il corpo dell'Apostolo Giacomo, se lo stesso era venerato da lungo tempo in Spagna nella città di Compostella.  Lo stesso Vescovo di Compostella, nel 1883, presentò la questione al Pontefice Leone XIII, che l'anno successivo rispose a questa interrogazione con gli « Acta Apostolice Sedis », minacciando di scomunica quanti ritenevano che il corpo di S. Giacomo non si trovasse in Spagna a Compostella(44).

Nel 1895 i nuovi proprietari furono i fratelli Milani che edificarono la Villa omonima, in stile archiacuto, conferendole un originale carattere gotico-moresco ed inoltre crearono il parco che ancor oggi dà suggestione ed amenità al luogo(45).

Nel 1936 il Santuario con le sue pertinenze, fu acquisito dai fratelli Battiato Ignazio e Bartolo(46)  che, attirati dalla bellezza del luogo e animati da entusiasmo per il Santuario, ricco di tante memorie, al loro arrivo, « si danno subito a ripulire, riordinare e ad effettuare importanti restauri sia alla chiesa che alla villa» (47).

Dopo la guerra, quando la chiesa e la villa furono migliorate in modo decoroso, vennero donate alla Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, fondata da D. Giovanni Calabria. La presa di possesso avvenne il 25 luglio 1951, festa di S. Giacomo Apostolo.

In questi ultimi anni hanno preso l'avvio ulteriori lavori di adattamento e sistemazione, allo scopo di rendere il luogo più funzionale ed accogliente. Degni di nota sono: la creazione di un grande giardino antistante al Santuario e alla villa, la realizzazione di una moderna cripta nel seminterrato della absidiola estrema destra(48), dove nel 1976 fu collocata l'urna con le reliquie, ed infine l'attuazione di restauri all'interno della chiesa.

Ora in questo luogo di pace e di serenità, denominato « Oasi di S. Giacomo », si tengono esercizi spirituali, incontri di studio per Sacerdoti e laici ed assemblee dei membri della Congregazione dell'Opera di D. Calabria (Tav. n. 4).


NOTE

1)  Il 5 gennaio 1414 fu stabilito che l'assegno consistente in 250 ducati fosse continuativo (Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron.  Atti del Cons. Val. 56, f. 240 r.);  il 19 febbraio 1421 l'assegno suddetto fu revocato e poi ridotto a 150 ducati (Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. Val. 57, ff. 2 r. 3 v.), per altri 5 anni.

2)  G.B. BIANCOLINI, Chiese, pag.  236.

3)  G.B. BIANCOLINI, Chiese, pag.  236.

4) Archivio di Stato di Verona, B. - MONCELESIO, Municipalia Magnificae  Civitatis  Veronae  Decreta, (ab anno 1405 usque ad annum 1623), Val. 140, f. 378.

5)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. 23 agosto 1443, Vol. 58,
f. 181 v.

6)  G.B. BIANCOLINI, Chiese ... , pag. 236.

7)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Serie Processi, Busta 49, N° 642.

8) Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. 27 agosto 1443, Vol. 58, f. 182 v.

9)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. 6 novembre 1444, VoI. 59, f. 64 r.   Archivio di Stato di Verona, B. MONCELESIO, Municipalia Magnificae Civitatis Veronae Decreta, Vol. 140, f. 379.

10)  R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... , pag. 24.
-G.B. BIANCOLINI, Chiese ... , pag. 236.  
-S. LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae ... , pag. 336.

11)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. 19 febbraio 1445, Vol. 59, ff. 75 e segg.

12)  Archivio di Stato di Verona, B. MONCELESIO, Municipalia Magnificae ... f. 379.

13)  G.B. BIANCOLINI, Chiese ... , pag.  236.

14)  La Bolla Papale è trascritta negli Atti del Consiglio del Comune di Verona (Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. Atti del Cons. 13 maggio 1450, Vol. 60, ff. 43 r.  e 43 v.).

15)  «Electi Monaci Sancti Benedicti Monte Oliveto pro Sancti Jacobi de Grigiano cum annexione redditum Ecclesie S. Philippi et Jacobi in Sacco per Breve Nicolai quinti per Com. et Gubernator loci predicti tenere debeat sufficientem numerum Monacorum et eorum quidam in Regulari observantia ... » (Archivio di Stato di Verona, B. MONCELESIO, Municipalia Magnificae ... ff. 379-380).  R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... , pag. 24;  S. LANCELLOTTI, Historiae Olivetanae ... , pag. 334; B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 178.

16)  B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 178.

17) B. MONCELESIO, Municipalia Magnificae ... f. 380.

18)  G. TRECCA,  Appunti..., pag. 16.

19)  Festa di S. Filippo e Giacomo.

20)  Festa di S. Giacomo Apostolo.

21)  Si ricordi il documento «Dotatio Sancti Jacobi » del 19 febbraio 1445, già cit. esistente nell'Archivio di Stato.

22)  G. TRECCA, Appunti..., pag.  15.

23)  G. TRECCA, Appunti..., pag. 16.

24)  G. TRECCA, Appunti ... , pag. 16.

25) Un disegno topografico all'Archivio dei Frari di Venezia mostra oltre al portico esistente lungo il muro del convento, altri due lati del chiostro a sud e ad ovest attorno al cortile.

26)  F. DAL FORNO, Storia e Arte ... , pag. 44.

27)  Come risulta da una lapide con un'epigrafe dedicatoria, collocata sul sagrato della chiesa.

28)  G. TRECCA, Appunti..., pag. 15.

29)  Busta S. Briccio di Lavagno, Biblioteca Capitolare di Verona.

30)  G. TRECCA, Appunti..., pag. 21.

31)  Busta S. Briccio di Lavagno.

32)  Busta S. Briccio di Lavagno.

33)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. S. Fermo Minore n° 658,  659.

34)  Archivio di Stato di Verona, Ant. Arch. Veron. S. Fermo Minore n° 659.

35)  A conferma di ciò vi è una testimonianza degli abitanti del Grigliano dell' 11 giugno 1801, convalidata dal Notaio Pellesina, in cui si dice: « ... affermano che v'è continua amministrazione della penitenza e dell'Eucarestia, conservandosi sempre il SS.mo.  Quotidiana la Messa,  discorso festivo,  intersolemnia sopra il Vangelo.  Dottrina cristiana nel dopo pranzo per uomini e donne, catechismo dopo le classi, il Rosario, Solennità: S. Jacopo, La Natività e il Nome di Maria,   S. Filippo Neri,  S. Luigi e  S. Gaetano.  Assistenza agli infermi senza aggravia»  (Busta S. Briccio di Lavagno,  Biblioteca Capitolare di Verona).

36)  Nella Busta di S. Briccio di Lavagno della Biblioteca Capitolare di Verona si conserva ancora una relazione del padre Michele Angelo Bonomi e altri' testi, dal titolo: « Inquisitio canonica super, ossibus  S.ti Jacobi Maioris Apostoli, olim in capsa ferrea intus mensam altaris maioris ecclesia noncupata  S.ti Jacobi de Grigliano»  del I° settembre 1807. In tale documento il padre Bonomi, allora Presbitero dell'Oratorio e Procuratore della Congregazione dei Filippini, racconta come avvennero i fatti del 1805. Ecco in sintesi ciò che è scritto in questa relazione, presentata al Vice Generale Capitolare D.  
Gualfardo Rodolfi: «Agli ultimi di ottobre del 1805, presa la parte di Verona a sinistra dell'Adige, l'esercito francese si diresse verso gli accampamenti austriaci dell'Imperatore Carlo d'Austria, in prossimità di Caldiero.  Sul Grigliano vi erano i PP. Bartolomeo Tolasi, Ferringhi, Bongiovanni, Apostoli e il chierico Martinelli, i quali all'arrivo dei francesi fuggirono.  I soldati irruppero in chiesa, devastando ogni cosa; spezzarono l'altar maggiore e vi trovarono le tre urne (inserite l'una nell'altra) e, infranti i sigilli della Curia e del  Comune, aprirono la prima cassa di ferro, la seconda di legno di cipresso e così la terza di cirmo,  che conteneva le reliquie dell' Apostolo.  Ai primi di novembre, ritiratosi Carlo d'Austria, terminò la battaglia, il padre Michele Angelo Bonomi, la domenica mattina del 3 novembre, passando tra le soldatesche francesi, si recò al Grigliano. Qui, chiamati alcuni testimoni: Giuseppe Castegin, Girolamo Composta e Francesco Ruffo, raccolse le ossa che si trovavano nella  cassa di ferro, fra le macerie dell'altare e per terra, le avvolse in una tela e le portò con sé a Verona, conservandole con cura nella sua cappella »,

37) G. TRECCA, Appunti..., pag. 23.

38)  Decreto del 19 agosto 1809, Busta S. Briccio di Lavagno, Biblioteca Capitolare di Verona.

39) G. TRECCA, Appunti. .. , pag. 24.

40)  Busta S. Briccio di Lavagno.

41)  G. TRECCA, Appunti ... , pag. 27.

42)  Da tre pergamene dei Papi Pio VII,  Pio VIII,  Pio IX, rispettivamente del 1822, 1830 e 1861, risulta la concessione dell'indulgenza plenaria ai fedeli che si recano nella chiesa di S. Giacomo del Grigliano, durante il mese di agosto (Archivio S. Giacomo del Grigliano).

43)  G. TRECCA, Appunti..., pago 27.

44)  F. DAL FORNO, Storia e Arte ... , pag. 44.

45)  In questo parco fino a venti anni fa, vi erano dei gruppi statuari, fra i quali una scultura raffigurante: Ercole e il leone Nemeo, probabile opera dello Schiavi.

46)  G. TRECCA, Appunti..., pag. 30.

47) L. ZINAGHI, Il Santuario e l'Oasi di S. Giacomo in Vago Veronese, stralcio da: L'Amico dei Buoni Fanciulli, Verona 1968, pagg. 5·6.

48)  Un tempo cimitero.



Fonte: da srs di Marcello Campara,  LA CHIESA DI S. GIACOMO DEL GRIGLIANO, Regnum Dei Editrice,   Verona;   dicembre 1978

mercoledì 25 gennaio 2012

CHIESA DI SAN GIACOMO DEL GRIGLIANO: LE VICENDE DI FILIPPO DA LAVAGNO

San Giacomo; affresco inizio XV,   Martino da Verona


Cap. IV

LE VICENDE DI FILIPPO DA LAVAGNO

Prima di continuare la narrazione degli eventi successivi all'arrivo dei Monaci Benedettini sul colle del Grigliano, ritorniamo indietro nel tempo e prendiamo in considerazione, brevemente, i fatti legati a Filippo da Lavagno, lo scopritore delle reliquie, avvenuti tra la fine del 1396 e la metà del 1397.

In seguito alla fortunata scoperta delle spoglie del Santo, che come si ricorda avvenne il 24 maggio del 1395, Filippo fu soprannominato Felice e fu oggetto di stima e di venerazione da parte di tutti(1), ma poco dopo la sorte del contadino mutò. Infatti, a causa di un omicidio e del tentato furto delle reliquie, fu arrestato ed impiccato dal Podestà di Verona. Vediamo ora, con l'ausilio delle testimonianze fornite da alcuni storici veronesi, lo svolgimento dei fatti.

Dopo il famoso rinvenimento, l'urna con le reliquie preziose dell'Apostolo, fu affidata alla custodia del contadino Filippo e di un certo Carlo Garello(2), Ma Filippo, successivamente, considerò che se avesse rubato i resti del Santo, per portarli in altro luogo(3), ne avrebbe ricavato molti guadagni, e così si confidò con Garello.  Ma questi non acconsenti e, inutilmente, cercò di dissuadere il compagno dal suo malvagio proposito. Filippo, infatti, deciso di portare a compimento l'impresa, riuscì a convincere un altro e, presentatasi l'occasione favorevole, fece uccidere Garello(4), perché temeva che lo denunciasse.

La notte successiva i due malfattori levarono le reliquie dall'urna, presero le offerte e gli oggetti preziosi donati dai fedeli e si accinsero ad uscire dalla chiesa, ma non vi riuscirono, perché un orribile uragano di «venti, tuoni, saette, e pioggia mescolata con tempesta »(5), li respinse indietro(6).

Alcuni storici riferiscono un' altra versione dell' accaduto, secondo cui i due ladri, mentre si apprestarono a fuggire con le reliquie, perdettero la luce degli occhi e non riuscirono a trovare la porta(7).

Nel frattempo, per lo strepito della bufera si svegliarono gli altri guardiani e si recarono in chiesa a pregare e in tal modo colsero i ladri sul fatto(8), ma questi abbandonarono le reliquie e fuggirono(9).

Nell'Historia del Moscardo si legge un racconto diverso da quello riportato dal Dalla Corte. «Altro miracolo accorse nel medesimo anno (1396) addì 9 di decembre, imperciò che quello, che haveva avuto gratia di ritrovare quelle sante ossa, vedendo la gran quantità d'elemosine che ogni giorno abbondavano la chiesa, persuaso dal Diavolo e consigliatosi con due altri scelerati della medesima villa di Lavagno, deliberarono rubbare le offerte, con il corpo Santo, che perciò una notte ammazzarono Carlo Garello che n'haveva la cura, e pigliati i denari e gli argenti, e la cassa dove era posto il Santo corpo, in tempo oscuro partirono, ma non appena usciti dalla chiesa si levò grandissimo vento, e pioggia accompagnata da terribile tempesta, in modo che, non poterono andar troppo avanti, e qui lasciarono la cassa con il corpo e fuggirono con il furto delli denari, et argenti e, doppo, quelli che hebbero la cassa sopra le spalle divennero ricchi »(10). Anche questo racconto, dunque, pur essendo meno ricco di particolari, è degno di considerazione.

Se lo svolgimento dei fondamentali fatti narrati è in alcune parti incerto e differenziato, l'avvenimento del tentato furto delle spoglie del Santo è collocato, dalla maggioranza degli storici, al 10  dicembre del 1396(11).

Filippo non molto tempo dopo, « non essendosi punto emendato dalla sua mala vita, anzi facendo ogni giorno peggio, fu per volontà divina, che non lascia mai alcun fallo impunito, preso per altri delitti, insieme con due altri suoi simili» alla Cucca(12), attuale Veronella, da Ziletto da Milano, capitano degli Ungari(13).  Portato a Verona, fu sottoposto a tortura e qui dichiarò di aver ucciso Carlo Garello, narrò ogni particolare del sacrilegio e confessò che le ossa che egli aveva scoperto sul Grigliano erano veramente di S. Giacomo(14). Dopodiché per ordine del Podestà Spineta de Spinolis, fu  trascinato a coda di cavallo, insieme coi compagni, fino a Tomba e qui fu impiccato da Ugolotto Erculeo(15).

Se per la data del tentato furto delle reliquie gli storici sono sostanzialmente d'accordo nel fissare il 10 dicembre 1396, per la data della cattura e dell'impiccagione di Filippo vi sono, invece, delle disparità di opinione, in particolare a proposito dell'anno.

Secondo il testo latino di Paride da Cerea, Filippo fu catturato il 3 giugno del 1400 e la vigilia di S. Antonio di Padova, cioè il 12 giugno, fu giustiziato a Tomba(16);  si discosta per l'anno lo storico anonimo del 1500, ammettendo, sia per la cattura che per la morte di Filippo, il 1397(17).  Nella Cronaca di Pier Zagata(18)  e così pure nella storia del Moscardo(19) e del Dalla Corte(20),  si indica il 3 e il 12 giugno 1397, rispettivamente, per l'arresto e l'uccisione del contadino. È difficile risolvere la questione: 1397 o 1400?  Ma se ci riferiamo alla podestaria del tempo, « è naturale supporre che la cattura e la condanna di Filippo abbiano avuto luogo nel 1397, che fu il primo anno della podestaria dello Spinola, ricordato dalla Cronaca Parisiana »(21).
Dopo breve tempo, come ricordano il Bagata e l'Ughelli(22), le reliquie dell' Apostolo furono portate a Verona, essendo scoppiata una guerra, ma una volta sedata ritornarono solennemente sul Monte Grigliano.

NOTE

1)  Il Maestro Marzagaia lo pose perfino tra i Beati del Paradiso: «Dignus qui clara num forte divina expergisceretur voce ut ad assignatam altitudinem terram foderet... Tantum autem Philippo divini cultus delatum est ut Felicis cognomem caperet... » (M° MARZAGAIA, De Modernis Gestis ... , pagg. 26-27).

2)  Il nome Carlo è precisato solo dal Bagata e dal Moscardo, dagli altri storici è considerato solamente il cognome, che assume svariate forme: nella Cronaca Parisiana si parla di Garelum (P. DA CEREA, ms. cit. f. 22 r.), invece, nel ms. 2897, si fa il nome di Galero (ANONIMO, ms. cit. f. 42 r.).  Il Tondi cita Golero (B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 177). Gli studiosi più recenti parlano di Garello.

3)  Il Bagata e il Tondi ritengono che il contadino intendesse raggiungere Mantova (R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... pag. 24;  B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 177).

4)  P. ZAGATA, Cronica ... , pag. 18.

5)  G. DALLA CORTE, Dell'Istorie ... , pag. 323.

6) Il Bagata sostiene che essi nella fuga siano riusciti ad arrivare « ad medium montem » (allude al Grigliano) e riprende la tesi del ms. 2897 cit. di autore anonimo (R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... , pag. 24).

7)  Nel ms. 2897 si dice che « perdé la luse » solo chi portava il corpo del Santo e così si racconta anche nel ms. 896; « il sacrilego usurpatore carico di quelle spoglie fu naturalmente il contadino Filippo » (B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 177).

8)  G. DALLA CORTE, Dell'Istorie ... , pag. 323.

9)  Il Tonti  asserisce che: «quei sacrileghi, riposte l'ossa sacre nell' Arca, se ne vanno via con l'usurpato peculio» (B. TONDI, L'Oliveto delucidato ... , pag. 177), così come viene riferito dal Moscardo. Pier Zagara, invece, sostiene che abbiano portato via «la roba »  (P. ZAGATA, Cronica ... , pag. 18).

10) L. MOSCARDO, Historia ... , pag. 254.

11)  Su questa data concordano: il ms. 896 cit. , il ms. 2897 (cit.) e il Bagata.

12)  G. DALLA CORTE, Dell'Istorie ... , pag. 324.

13)  P. DA CEREA, ms. 896 cit. f. 22 r.

14)  ANONIMO, ms, 2897 cit. f. 42 r.;  P. DA CEREA, ms. cit.; P. DA CEREA, Chronica Veronensis (1117-1446) ms. 885, f. 24  r. Biblioteca Civica di Verona;  R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... , pag. 24;  G. DALLA CORTE, Dell'Istorie ... , pag. 324; G. TRECCA, Appunti ... , pag. 8; V. BERTOLINI, Alcune note ... , pag.  10.

15)  Il Marzagaia asserisce che Filippo sia stato ucciso ingiustamente ed esprime odio e disprezzo verso il condottiero visconteo, considerato soldato feroce e tirannico capitano (M° MARZAGAIA, De Modernis Gestis..., pag. 122, 234, 240).  Il Moscardo racconta che il Commissario in Verona di Gian Galeazzo Visconti aveva scritto in molti luoghi per avere nelle mani i sacrileghi, che una volta presi furono «posti sopra le forche» (L. MOSCARDO, Historia ... , pag. 254).

16)  P. DA CEREA, ms. 896 f. 22 r., ms. 885 f. 24 r. citt.

17) ANONIMO, ms. 2897 f. 42 r. cit.

18)  P. ZAGATA, Cronica ... , pagg. 18, 23.

19)  L. MOSCARDO, Historia ... , pag. 254.

20)  G. DALLA CORTE, Dell'Istorie ... , pag. 324.

21) C. CIPOLLA, Le reliquie ... f. 15.

22) R. BAGATA, Antiqua Monumenta ... , pag. 24. ;  F. UGHELLI, Italia Sacra ... col. 901.