domenica 31 ottobre 2010

Federico Faggin: Il padre del microprocessore è un veneto nato a Vicenza

Federico  Faggin


Federico Faggin:  Il padre del computer piccolo e maneggevole «Servono idee e risorse» Faggin, è vicentino, ma vive e lavora in California

PADOVA—Il padre del microprocessore è nato a Vicenza (Isola Vicentina nel 1941, Comune dell'Alto Vicentino di circa 8.000 anime )  ha studiato a Padova. Eppure non c'è traccia di accento veneto nella voce di Federico Faggin, 68 anni, il geniale ricercatore emigrato in America che tra meno di un mese riceverà dal Presidente Obama il più prestigioso riconoscimento statunitense riservato agli scienziati, la Medaglia nazionale per la tecnologia e l'innovazione.
Se dopo 42 anni di trasferta l'inflessione se n'è andata, c'è una cosa della nostra regione che Faggin porta ancora con sé. «L’etica del lavoro è alla base della cultura veneta, la devo alle mie origini» ammette il primo italoamericano (ha la doppia cittadinanza) a finire nella Hall of Fame della scienza d'oltreoceano.
Il suo «contributo», come lo chiama lui, è quella rivoluzionaria invenzione che ha reso i computer piccoli e maneggevoli.
Nel 1971, alla Intel, Faggin trovò il modo di concentrare su una piastrina di 4 millimetri per 3 un «supercircuito integrato» con le capacità di calcolo che prima avevano supporti grandi quanto un tavolino.
 Nacque così quel microprocessore finito dentro a tutti i calcolatori del mondo. Un po' più di un semplice «contributo », quindi. Ma è tipico di Faggin misurare le parole. Da buon scienziato, pondera quello che dice per non essere frainteso. Gli preme non far passare un'idea negativa dell'Italia, anche se lui dall'Italia se ne è andato. 


Lei è partito nel 1968, quando qui da noi c'erano ancora gli effetti del boom post-ricostruzione. «Sì, è vero, ma nell'area di mio interesse, quella dei semiconduttori e della microelettronica, l'America era più avanti dell'Italia. E io volevo lavorare in un ambiente all'avanguardia». 


Se tornasse indietro, ripartirebbe? «Assolutamente sì, soprattutto vedendo che fine hanno fatto le aziende italiane che all'epoca non erano così lontane dalla tecnologia americana, come la Olivetti. Sono sparite e non sono state rimpiazzate. Ma non è una critica, è una constatazione. Io avevo iniziato proprio in Italia a lavorare sui semiconduttori, alla Sgs-Fairchild di Agrate Brianza. 


Però qui non sarebbe riuscito a inventare il microprocessore.
«Credo di no, per fare una scoperta come questa ci devono essere competizione scientifica, progettisti che realizzino le idee scaturite dalla ricerca e soldi per trasformare un'intuizione in un prodotto spendibile sul mercato. L'invenzione del microprocessore era già nell'aria, il mio contributo ha riguardato il design, cioè il modo per concretizzarla. Questo per dire che la ricerca non basta, è solo la prima fase». 


E la ricerca in Italia? Saprà delle proteste contro la riforma dell'Università.
«Conosco troppo poco l'argomento per poter prendere posizione. Ma in generale è un errore pensare che l'Italia non sia all'avanguardia in certi settori, come le nuove tecnologie, perché fa poca ricerca. Anche se ne facesse molta, poi ci vorrebbero le altre due fasi: realizzazione e immissione sul mercato. Negli Stati Uniti c'è un'infrastruttura finanziaria che investe 40 miliardi di dollari l'anno per realizzare le idee di chi fa ricerca, e una propensione ad assumersi rischi economici che in Italia non c’è. Questa è la grande differenza rispetto alla Silicon Valley. Ma al di là del campo tecnologico, ci sono altre eccellenze in Italia, per esempio la gastronomia, il design, la fisica teorica». 


Quindi che consiglio dà ai giovani ricercatori? La fuga?
«No, la fuga tout court è ridicola. Il mio consiglio è decidere prima se restare in Italia o meno. Chi vuole rimanere si laurei in uno dei settori in cui l'Italia funziona, come l'ingegneria civile, le biotecnologie, la farmacia. Chi invece vuole occuparsi di settori in cui l’Italia è meno forte metta in conto di andarsene. L’Unione Europea, comunque, facilita questa mobilità: ormai andare dall’Italia all’Inghilterra è come andare dalla Puglia alla Lombardia». 


È un caso che sia veneto anche l’inventore dell’algoritmo alla base di Google, Massimo Marchiori, o c'è una qualche specificità regionale?
«Sarà il vino, probabilmente… Scherzi a parte, l'Università di Padova offre una preparazione scientifica molto buona, e poi ci ha sicuramente aiutato l'etica del lavoro su cui si fonda il Veneto». 


Lei è il padre di un'invenzione epocale ma non è famoso come Bill Gates. Le dispiace?
«È già tanto che io sia noto mentre sono ancora in vita, spesso la fama arriva dopo morti….E poi il mio obiettivo non era la notorietà, ma lavorare nel settore che mi appassionava. Comunque sono più conosciuto in Italia che negli Stati Uniti… qui sanno chi sono solo in California».


Fonte: srs di Alessandra Dal Monte
da il Corriere del Veneto  del 22 ottobre 2010








sabato 30 ottobre 2010

Federico Faggin - Massimo Marchiori: Questi due uomini sono il Veneto

Federico Faggin è il papà del microprocessore. (a sinistra nella foto)

Massimo Marchiori ha inventato l'algoritmo di Google. 

Dai due cervelli veneti l'appello ai giovani: «Non andatevene».

Opulenti e gaudenti, schiavi dell’iperlavoro e insensibili, despiritualizzati e un po’ volgari, di giorno a produrre nei capannoni e di notte a sfogarsi lungo le strade-labirinto che li intersecano cercando amore a pagamento.  E’ - stereotipo più stereotipo meno - la fotografia del Veneto che la vulgata televisiva figlia non solo dei «santorismi» spesso propina agli spettatori di un Paese che ormai ci ha catalogati. Dall’immaginario della servetta a quella del padroncino, dall’epopea del «ciao mama» uscita linda dalla civiltà contadina a quella del Rolex sporco di sudore che non molti possiedono ma il cui riflesso tutti avvolge in una patina di poco aristocratico oro.

Forse un po’ ce lo «meritiamo», perchè per uscire dalla miseria da Piano Marshall che il Veneto ha attraversato abbiamo sconfitto la pellagra mangiando paesaggio e valori, ma non è certo nel luogo comune degli stolti produttori di ricchezza che vanno fatte morire la forza e la complessità di una regione che ha il Pil di una nazione e un’anima che nei fatti ribalta l’ossessione della «borghesia rifatta». C’è dell’altro, lo sappiamo. Molto altro.
Il problema, d’altra parte, è non solo o non tanto quello di subire gli stereotipi cuciti addosso al Veneto, quanto quello di essersi talmente abituati a sentirli a fior di pelle che gli stessi veneti - anche al di là delle loro colpe - finiscono per crederci. Per cui, forse, il problema, più che di anima, è di comunicazione. Certo, il potere (la politica, le tivù) abita a Roma e Milano, dove perfino l’autoctona inflessione di attrici e presentatrici dev’essere «ripulita » per avere diritto di videocittadinanza. E da lontano, si sa, se a volte la fotografia può essere più «onesta» e d’insieme spesso può tradire la messa a fuoco e produrre immagini distorte. Ma c’è, al di là di una sorta di autocompiacimento nel marcare con rabbia la sindrome della lateralità, una colpa nostrana. La colpa di non saper rappresentare adeguatamente sia la forma che la sostanza. Complice, a volte, l’autoflagellazione di noi media nostrani.

Allora, se è così, aiutiamoci a raddrizzarli questi luoghi comuni. Non attraverso autocompiacimenti localistici ma nella sottolineatura di ricchezze che vanno oltre la questione «identitaria». Insomma, dal «prima i veneti» ai «veneti primi».
Oggi raccontiamo due storie «uniche» che messe assieme non danno una semplice somma di genialità ma la dimensione algebrica della loro grandezza. Storie per alcuni aspetti «note» ma passate sottotraccia rispetto al loro impatto sulla società contemporanea.
Storie che riemergono nei giorni in cui Obama ha annunciato che consegnerà a Federico Faggin, il vicentino inventore del primo microprocessore (il «motore» di elaborazione dati che ha reso possibile l’esistenza el computer e degli stessi telefonini), la Medaglia nazionale per la tecnologia e l’innovazione, la più alta onorificenza statunitense agli scienziati. La prima a un italoamericano, un seme di questa terra passato dai banchi del mitico Istituto tecnico «Rossi» di Vicenza alla dimensione cosmica di Silicon Valley. Prima perito, poi fisico, padre di quel «4004 Intel» un milione di volte meno potente degli attuali ma grazie al quale oggi c’è un computer in ogni famiglia.

E se di Faggin tutto è noto (si fa per dire) c’è un’altra eccellenza che dorme sotto i silenzi di chi non vuol vedere o sapere. Cioè Massimo Marchiori, quarantenne mestrino che insegna all’Università di Padova, inventore dell’algoritmo attraverso il quale Google è diventato il primo motore di ricerca al mondo; uomo della tecnè e della modestia, ricercatore puro che ha fatto la scelta del sapere e non quella del denaro. Tornando, dopo l’America, cervello interamente italiano. Due genii nella regione dei millanta Archimede Pitagorici più o meno sommersi che danno il segno della sfida culturale fatta di idee e impresa, di quella scommessa nel futuro che è stata, è e sarà il dna di questa regione.
Faggin e Marchiori non sono Copernico ma con le rispettive e rispettose distanze sono due grandi protagonisti della Grande Rivoluzione Tecnologica che ha cambiato il mondo fra secondo e terzo millennio.
Veneti (e italiani) che dimostrano come l’identità non sia folclore, non reclinamento verso il passato ma espressione delle intelligenze, della fatica e del confronto. Favrin e Marchiori sono insieme la più grande suggestione che rappresenta la «nuova» identità di un Veneto che marcia fra nanotecnonologie e scienza dei trapianti, biotecnologie e super-elettronica. E sono anche la sfida dell’autocritica che fa dire ad esempio a Faggin che gli imprenditori - al di là di straordinarie e illuminate avanguardie - rispetto alla ricerca hanno ancora troppa paura di accettare il rischio economico. Dire che qui ci sono le persone, le intelligenze e i mezzi ma a volte non c’è la volontà che fa essere l’America sempre più avanti.

Ecco, forse, il vero difetto: il poco coraggio, nella terra del coraggio, di assumersi il rischio, di osare strategie. Per cui, oltre che difendersi dallo stereotipo di un Veneto che si disintegra tra i capannoni, bisognerà porsi l’obiettivo di battere queste paure.
Se ci sarà sempre qualcuno disposto a fotografare distorcendo, noi saremo qui a testimoniare il contrario scrivendo.


Fonte: srs di Alessandro Russello  da il b del  22 ottobre 201




venerdì 29 ottobre 2010

Bacio. Osculum. Φιλί. Baso. Kiss. Kuss. Baiser. Beso. Beijo. Поцелуй. 吻. قبلة

Il Bacio tra Caterina e Nicola 




Quando ci si avvicina a qualcuno per baciarlo, si tende a girare il capo verso destra. Lo ha scoperto uno studio scientifico di un'università tedesca, pubblicato dalla rivista britannica Nature, effettuato su coppie di diversa nazionalità. Nell'80% delle coppie, il bacio avviene ruotando la testa proprio verso destra.
Un gruppo di ricercatori dell'università tedesca di Bochum-Ruhr è arrivato a questo dato dopo aver studiato il comportamento di 124 coppie, di età tra i 13 e i 70 anni, in stazioni, aeroporti e spiagge della Turchia, degli Stati Uniti d'America e della Germania. Questo riflesso presente in 8 casi su 10 avrebbe origine addirittura nella vita fetale.


Kiss
puthje
قبلة
համբուրել
öpmək
kiss
пацалунак
целувка
petó
polibek
키스
bo
poljubac
kys
נשיקה
suudlus
halik
suudella
baiser
bico
cusanu
კოცნა
キス
φιλί
चुंबन
ciuman
kiss
póg
koss
il bacio
osculum
skūpsts
bučinys
бакнеж
ciuman
KISS
Kyss
Kus
بوسه
pocałunek
beijo
sărut
поцелуй
пољубац
bozk
poljub
beso
kyss
kiss
จุบ
Kuss
Öpücük
Поцілунок
Csók
بوسہ
hôn
קוש
baso

giovedì 28 ottobre 2010

Cuba: socialismo fai da te

Paladar cubano

A CUBA SI LICENZIANO GLI STATALI E S'INCORAGGIA IL LAVORO «FAI-DA-TE»
Il governo cubano ha deciso di aumentare l'iniziativa privata per cercare di ricollocare mezzo milione di lavoratori statali che saranno licenziati entro sei mesi in un processo definito «aggiornamento» del socialismo.
In queste settimane è partita la consegna della licenza di «liberi professionisti» per 178 attività che consentirà ai cubani di affittare agli stranieri tutta la casa in valuta, e non solo una parte come finora, e di aumentare fino a 20 posti i 12 attuali nei «paladar», i piccoli ristoranti privati «fai-da-te» (nella foto).
I cubani potranno inoltre fare più di un lavoro.

Fonte: Da L’Arena di Verona di Martedì, 26 Ottobre 2010, LETTERE, pagina 19

mercoledì 27 ottobre 2010

Rifiuti: un contributo per limitarne il problema

Raccolta differenziata a Verona

Ci sarebbe un sistema molto semplice per limitare i rifiuti.

Vi sono le mega aziende multinazionali che spendono miliardi per  studi, ricerche, approvvigionamenti di materie prime, manodopera e trasporti, per venderti un prodotto, costruito per esempio a ventimila Km. di distanza, che poi, una volta usato, spetta a me tenermelo “vita natural durante” nella discarica sotto casa.

Bisogna fare in modo, obbligando, che qualunque società inserisca, nella catena di produzione di un suo prodotto, anche il ritiro e riciclaggio dello stesso.




martedì 26 ottobre 2010

LA MADRE DI DIO E L’ISLAM

Nostra Signora Madonna del Libano



Un vescovo libanese critica l’islan.  E la segreteria di stato lo purga

Qui sotto è riprodotto il testo integrale dell’intervento al sinodo per il Medio Oriente consegnato per iscritto dal vescovo libanese di Antiochia dei siri  Raboula Antoine Beylouni, così come è apparso sul bollettino italiano n. 21 del 21 ottobre. L’originale è in francese e si trova nel bollettino in questa lingua.
Il 22 ottobre, anche “L’Osservatore Romano” ha stampato l’intervento del vescovo. Ma con notevoli tagli, ordinati dalla segreteria di stato.
Le parti tagliate sono quelle evidenziate in neretto. Il titolo è quello del giornale della Santa Sede.

LA MADRE DI DIO E L’ISLAM

di Monsignor  Raboula Antoine Beylouni

In Libano abbiamo un comitato nazionale per il dialogo islamo-cristiano da diversi anni. Esisteva anche una commissione episcopale, istituita in seguito all’assemblea dei patriarchi e dei vescovi cattolici in Libano, incaricata del dialogo islamo-cristiano. È stata soppressa ultimamente per conferire maggiore importanza all’altro comitato; per di più non aveva ottenuto risultati tangibili.

Talvolta vengono portati avanti in diversi luoghi vari dialoghi nei paesi arabi, come ad esempio quello del Qatar in cui l’emiro stesso invita, a sue spese, personalità di diversi paesi delle tre religioni: cristiana, musulmana ed ebraica. In Libano, alcuni canali televisivi come “Télé-lumière” e “Noursat” trasmettono programmi sul dialogo islamo-cristiano. Spesso viene scelto un tema e ogni parte lo spiega e lo interpreta secondo la sua religione. Queste trasmissioni sono di solito molto istruttive.

Vorrei con questo intervento richiamare l’attenzione sui punti che rendono difficili e spesso inefficaci questi incontri o dialoghi. Ovviamente non si discute sui dogmi, ma anche gli altri temi d’ordine pratico e sociale sono difficilmente affrontabili quando sono inseriti nel Corano o nella Sunna.

Ecco le difficoltà con cui ci confrontiamo.

Il Corano inculca al musulmano l’orgoglio di possedere la sola religione vera e completa, religione insegnata dal più grande profeta, poiché è l’ultimo venuto. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, la lingua del paradiso, l’arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria.

Il Corano, che si suppone scritto da Dio stesso da cima a fondo, dà lo stesso valore a tutto ciò che vi è scritto: il dogma come qualunque altra legge o pratica.

Nel Corano non c’è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l’uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell’eredità in cui l’uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell’uomo equivale a quella di due donne ecc.

Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede.

Nel Corano vi sono versetti contraddittori e versetti annullati da altri, cosa che permette al musulmano di usare l’uno o l’altro a suo vantaggio; così può considerare il cristiano umile, pio e credente in Dio ma anche considerarlo empio, rinnegato e idolatra.

Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. La storia delle invasioni lo testimonia. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, né per loro né per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i “Diritti umani” sanciti dalle Nazioni Unite.

Di fronte a tutti questi divieti e simili argomenti dobbiamo eliminare il dialogo? No, sicuramente no. Ma occorre scegliere i temi da affrontare e gli interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti, che dicano la verità con chiarezza e convinzione.

Deploriamo talvolta alcuni dialoghi in televisione in cui l’interlocutore cristiano non è all’altezza del compito e non riesce a esprimere tutta la bellezza e la spiritualità della religione cristiana, cosa che scandalizza gli ascoltatori. Peggio ancora, talvolta ci sono interlocutori del clero che, nel dialogo, per guadagnarsi la simpatia del musulmano chiamano Maometto profeta e aggiungono la famosa invocazione musulmana spesso ripetuta “Salla lahou alayhi wa sallam” (che la pace e la benedizione di Dio siano su di lui).

Per concludere suggerisco quanto segue.

Dato che il Corano ha parlato bene della Vergine Maria, insistendo sulla verginità perpetua e sulla sua concezione miracolosa e unica, che ci ha dato Cristo, e dato che i musulmani la considerano molto e chiedono la sua intercessione, dobbiamo ricorrere a lei in ogni dialogo e in ogni incontro con i musulmani. Essendo la Madre di tutti, Ella ci guiderà nei nostri rapporti con i musulmani per mostrare loro il vero volto di suo Figlio Gesù, Redentore del genere umano.
Voglia Dio che la festa dell’Annunciazione, dichiarata in Libano festa nazionale per i cristiani e i musulmani, divenga festa nazionale anche negli altri paesi arabi.


Fonte: In  il settimo cielo di Sandro Magister;  da  L’espresso Blog del  23  ottobre 2010


LA CUPOLA DI SAN PIETRO: UN GRANDIOSO... FALSO STORICO

Città del Vaticano:  La  silhouette  del cupolone di San Pietro

Ci sono falsi storici talmente radicati nella mentalità collettiva che è pressoché impossibile sradicarli.

Uno di questi, tra i più clamorosi, è certamente quello che attribuisce a Michelangelo la costruzione della cupola di S. Pietro. Il "cupolone" che noi oggi ammiriamo, in realtà è stato ridisegnato, ristudiato e costruito dall'architetto Giacomo Della Porta di Porlezza (Como), figlio di Bartolomeo scultore, fratello di Tomaso il Vecchio (Porlezza 1532 ca.   Roma 3 settembre 1602).

Il disegno di Michelangelo, infatti, che era una perfetta semisfera, secondo i calcoli statici effettuati da Giacomo Della Porta, era irrealizzabile, perché il peso della struttura avrebbe gravato troppo sul timpano basale e lo avrebbe letteralmente "aperto" come gli spicchi di un'arancia. Alla morte di Michelangelo si trovava costruito solo il timpano e non la cupola. Il Della Porta, ventun anni dopo la morte del Buonarroti, rifece il disegno della cupola e la edificò. Essa risultò alla fine più slanciata di 17 metri e assai più bella dell'impossibile disegno michelangiolesco.

Riassumo molto brevemente, citando le più importanti tappe della vita di questo architetto rinascimentale, il figlio più illustre della famiglia porlezzina dei Della Porta, che enumera una lunga serie di artisti: Antonio detto il Tamagnino, Giovanni Battista, Giovanni Giacomo, Guglielmo, Tommaso il Giovane eccÂ… Giacomo Della Porta fu attivo soprattutto a Roma, dove svolse un'attività veramente prodigiosa. I dati che seguono si possono consultare in "Dizionario biografico degli Italiani" alla voce "Della Porta" (Treccani).

Giacomo Della Porta nasce a Porlezza, dallo scultore Bartolomeo, fratello di Tommaso il Vecchio. I suoi primi disegni architettonici sono quelli per la facciata esterna di Porta del Popolo. Nell'ottobre 1562 “lavora in S. Maria Maggiore per la costruzione del nuovo coro" e altri interventi. Attorno al 1577 fa la decorazione interna, le finestre della volta e la facciata esterna della cappella del Campidoglio.
Quando Michelangelo muore (1564), Giacomo Della Porta eredita il suo titolo di "architetto del Popolo Romano" (ottobre 1564) e di architetto capitolino.
"Come architetto del Popolo Romano il Della Porta non ebbe solo l'incombenza delle fabbriche del Campidoglio, ma gli vennero affidate pure tutte le costruzioni la cui giurisdizione spettava all'amministrazione dell'Urbe" e così "nel 1563 cominciò i restauri e le trasformazioni della chiesa di S. Maria in Aracoeli.
Tra la fine del 1600 e il primo trimestre del 1601 Giacomo Della Porta curò la nuova copertura in piombo del Pantheon, su cui aveva diritti il Popolo Romano".
Come "architetto del Popolo Romano si occupò della costruzione e manutenzione delle infrastrutture urbane e dell'ispettorato dell'edilizia cittadina.
Nel 1585 mise a giorno l'obelisco vaticano e scelse il luogo dove erigerlo in piazza San Pietro.
Nel 1587 curò l'erezione dell'obelisco a Santa Maria Maggiore".
Il 18 settembre 1568 la Congregazione cardinalizia affidò al Della Porta, in sostituzione del tecnico della Congregazione Nanni di Baccio Bigio, i lavori per la distribuzione urbana dell'acqua. Così egli è il progettista e l'esecutore delle fontane realizzate durante i papati di Gregorio XIII, Sisto V e Clemente VIII: piazza Navona (iniziata 1574), piazza Colonna (iniz. 1575), al Pantheon (iniz. 1575), piazza di Ponte S. Angelo (iniz. 1578), piazza S. Marco (iniz. 1588), al Campo Vaccino (iniz. 1592); le due fontane dei leoni egizi sotto le scale del Campidoglio, come idea urbanistica.
La famosa fontana delle Tartarughe in piazza Mattei, effigiata nelle vecchie mille lire, è invece di Taddeo Landini, non di Giacomo Della Porta.
Della chiesa del Gesù il Della Porta assunse il ruolo di architetto della fabbrica, ne disegnò la facciata e costruì il transetto.

Alla morte del Vignola Giacomo divenne l'architetto di casa Farnese, prendendo il posto del Barozzi anche nella fabbrica di San Pietro, alla quale mancavano ancora l'intero braccio ovest, la volta dell'emiciclo est, la cappella Clementina e soprattutto la cupola. Per ordine di Sisto V nel luglio 1585 (quindi 21 anni dopo la morte di Michelangelo) il Della Porta riprese i lavori per il tamburo e per la cupola, da lui ridisegnata a sesto rialzato (invece della cupola a tutto sesto di Michelangelo, la quale, se fosse stata realizzata secondo il disegno michelangiolesco, avrebbe aperto, con l'enorme peso della sua mole, il tamburo di sostegno). In questo egli ebbe la collaborazione dell'architetto ticinese Domenico Fontana.

Come architetto di San Pietro e con la protezione del cardinale Farnese, il Della Porta monopolizzò l'ambiente romano all'epoca del papato di Gregorio XIII e incrementò la costruzione di lussuosi palazzi: Fani (ora Pecci-Blunt), Accademia di S. Luca, Crescenzi, Maffei, Altemps a S. Apollinare, Serlupi, Giustini, Capizucchi, Fabbrica della SapienzaÂ…

Durante il pontificato di Sisto V si verificò il prevalere di Domenico Fontana su Della Porta che, pur mantenendo l'incarico della Fabbrica di S. Pietro, passò in secondo piano. Clemente VIII reintrodusse il Della Porta in tutte le fabbriche papali, riabilitazione originata anche dalle errate scelte tecniche di Domenico Fontana nella costruzione del ponte Felice al Borghetto presso Orte.

Il 2 settembre 1602 venne colto da una congestione intestinale e il giorno seguente, il 3 settembre, si spense a porta S. Giovanni, nella casa del custode di quella porta. Aveva settant'anni. Venne tumulato nella chiesa di S. Maria Aracoeli.

Questo è solo un elenco stenografico dell'attività prodigiosa dell'architetto porlezzese nella Roma Felix rinascimentale. Senza togliere nulla a nessuno è pur giusto che ognuno abbia nella storia il posto che merita di pieno diritto.

Così, se, invece che "cupolone di Michelangelo" chiamassimo la gloriosa struttura di San Pietro "cupolone del Della Porta" non sarebbe alcuna vuota bufala, ma la storica verità. Si sfaterebbe con ciò uno dei "falsi storici" più rilevanti che ancora ostinatamente perdurano, annidati nelle pagine di una storia poco informata.


Fonte: da Antikitera  del  18 ottobre 2010

lunedì 25 ottobre 2010

La bufala di Giulietta e Romeo

Il  balcone proveniente da una demolizione operata ai primi del novecento nell'Isolo.

Giulietta e Romeo la più grande bufala di questi ultimi due secoli.
Una storia che nasce dalla letteratura Assiro-Babilonese e passa per i miti ellenici per approdare al Cunto delle Cunti fino a Da Ponte, così è copiata da William Shakespeare, certo un maestro dell'esoterismo, ma i più non ne hanno compreso il senso.
Per Verona questa e una storia decisamente farlocca come la casa di Giulietta, che era dei Cappello ( i Capuleti non sono mai esistiti a Verona e i Montecchi erano vicentini) il balcone installato ai primi del novecento dal sopraintendente Avena. Il  sarcofago che avrebbe ospistato Giulietta, stando alle parole di Joseph Rudyard Kipling in visita a Verona fu definito: una mangiatoia per animali o porci.
Mandrie di turisti, vengono ogni giorno a Verona per recarsi a vedere ciò che non è mai esistito, romanticismo degradato e degradante.
Trascurano la Verona vera e senza tempo che lascia tutte le sue testimonianze vive e presenti: la Verona romana, medioevale, rinascimentale, barocca,......
Questo per noi veronesi è un mito degradante e degradato da una serie infinita di assessori alla cultura che dell'ignoranza ne hanno fatto il loro vessillo.

Forse la discussione non lo meritava, ma è ora di dire la verità su questo ormai degenerato mito, che l'ottusità alimenta convinta possa portare vantaggi alla città, mentre ne degrada ulteriormente l'intima e profonda essenza. Verona è molto altro per fortuna!
E' solo uno sfogo.
Grazie per avermi sopportato.
Luigi Pellini


La Tomba di Giulietta, il sarcofago ha buone possibilità di essere   di origine romana, visto il cuscino di marmo di cui è provvisto


Fonte: da srs di Luigi Pellini.blogspot del 19 ottobre 2010

domenica 24 ottobre 2010

Il Corano ordina di imporre la religione con la spada

Duro atto di accusa nell'aula del Sinodo del monsignor Raboula Antoine Beylouni.  Il vescovo libanese: «Il Corano ordina di imporre la religione con la spada».   «L'Islam dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad»

CITTA’ DEL VATICANO - «Il Corano permette al musulmano di nascondere la verità al cristiano e di parlare e agire in contrasto con ciò che pensa e crede. Il Corano dà al musulmano il diritto di giudicare i cristiani e di ucciderli con la jihad (guerra santa). Ordina di imporre la religione con la forza, con la spada. Per questo i musulmani non riconoscono la libertà religiosa, nè per loro nè per gli altri. Non stupisce vedere tutti i paesi arabi e musulmani rifiutarsi di applicare integralmente i diritti umani sanciti dalle Nazioni Unite».

IL DIALOGO - Questo duro atto di accusa è stato pronunciato nell'aula del Sinodo da monsignor Raboula Antoine Beylouni, vescovo di Curia di Antiochia dei Siri (Libano). Nonostante queste difficoltà, ha però aggiunto mons. Beylouni, «non dobbiamo eliminare il dialogo ma scegliere i temi da affrontare e gli interlocutori cristiani capaci e ben formati, coraggiosi e pii, saggi e prudenti che dicano la verità con chiarezza e convinzione. Dato che il Corano ha parlato bene della Vergine Maria dobbiamo ricorrere a lei in ogni dialogo e in ogni incontro con i musulmani. Voglia Dio che la festa dell'Annunciazione, dichiarata in Libano festa nazionale per i cristiani e i musulmani, divenga festa nazionale anche negli altri paesi arabi».

IL DOCUMENTO FINALE - In proposito il presule siriaco ha suggerito che il documento finale del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente faccia riferimento alla figura della vergine Maria«, rispettata dall'Islam, come chiave del dialogo con i musulmani, per superare le difficoltà che rendono inefficaci gli incontri con i musulmani. Tra queste difficoltà l'arcivescovo ha citato anche il fatto che «il Corano inculca al musulmano l'orgoglio di possedere la sola religione vera e completa. Il musulmano fa parte della nazione privilegiata e parla la lingua di Dio, l'arabo. Per questo affronta il dialogo con questa superiorità e con la certezza della vittoria. Nel Corano, poi, non c'è uguaglianza tra uomo e donna, né nel matrimonio stesso in cui l'uomo può avere più donne e divorziare a suo piacimento, né nell'eredità in cui l'uomo ha diritto a una doppia parte, né nella testimonianza davanti ai giudici in cui la voce dell'uomo equivale a quella di due donne». (fonte: Agi)

Fonte:  da il    Corriere della sera     22 ottobre 2010
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sabato 23 ottobre 2010

Quando Ivan Bogdanov il terribile mi salvò a Belgrado

L'arresto di Ivan Bogdanov

La storia:  L'episodio l'estate scorsa raccontato su un blog. E si scopre l'altra faccia dell'ultrà serbo. «Saluto romano, Mussolini e birra E Ivan la bestia mi salvò a Belgrado» Il racconto di un veronese: « Ci minacciavano e lui ci ha tolto dai guai» «Ci ha offerto tre   birre e si è seduto con noi, poi più nessuno ci ha messo a disagio»

VERONA - Ivan la belva? Non sempre. A Belgrado Ivan Bogdanov ha salvato un veronese e due suoi amici da un pestaggio quasi assicurato.
È una Marassi -story al contrario quella raccontata da Z.T., 32enne di origini scaligere ma milanese d'adozione, che quest'estate alla festa della birra della capitale serba è stato preso di mira da un gruppo di giovanotti locali maldisposti nei confronti degli italiani.

In quell' occasione Bogdanov si è messo in mezzo prima che accadesse il peggio: ha fatto due chiacchiere con i tre amici italiani e ha addirittura offerto un giro di birre, rendendoli così immuni da ogni attacco. Insomma, se Ivan lo conosciamo tutti nei panni del capo ultrà che spara fumogeni in campo, seduto a cavalcioni sulla rete di protezione dello stadio di Genova per aizzare i suoi quel tanto che basta a far saltare Italia-Serbia, veniamo a scoprire che lo stesso Ivan, ogni tanto  i suoi riesce anche a placarli.

Quando, pochi giorni fa, Z.T. ha riconosciuto il suo «salvatore» nei panni ben più minacciosi del gorilla sugli spalti di Marassi, la prima reazione è stata di stupore.
Dopo le risate a caldo con i parenti e il giro di telefonate con gli amici, ha impugnato la tastiera e ha deciso di affidare alla rete la storia di questo Ivan non più Terribile ma Provvidenziale. Così Z.T. ha scritto sul suo  blog un post dal titolo eloquente, «Ivan was a friend of us», (Ivan era un amico di noi) in cui racconta per filo e per segno l'incontro ravvicinato con l'uomo che solo due mesi fa gli ha evitato qualche pugno e che oggi si è trasformato nello spauracchio di tutti gli stadi.  «Dopo un po' di ore trascorse allo stand del Beerfest - si legge nel post datato 17 ottobre - si comincia a percepire un clima di ostilità nei nostri confronti visto che tra calcetto e parlantina diffusa ci eravamo fatti notare. Sentivamo pronunciare parole di scherno, l'aria si faceva sempre più tesa, finché non si avvicina un tizio enorme, la testa rasata, tatuaggi sulle braccia». E Ivan, l'archetipo dell'uomo di ultra-destra. Quando compare i tre amici se la vedono davvero brutta. «Pensavamo che la situazione stesse per degenerare» scrive Z.T con una preoccupazione palpabile.  E invece quel bestione grande e grosso si comporta in modo inaspettato. Chiede: «Italìani?». Al timido cenno di assenso dei tre amici impietriti, Bogdanov attacca bottone con il gesto italico che conosce meglio, il saluto romano, e con un'altra nozione basilare della fede destrorsa internazionale, la parola «Mussolini». Poi si scioglie in una risata.

«A quel pulito anche noi ci distendiamo e cominciamo a scambiare due parole - racconta Z.T. nel post - Ivan ci spiega che lui è un tifoso della Stella Rossa e che era stato a Bari per qualche partita di Coppa negli anni '90. Per rafforzare il concetto, ci fa vedere questo tatuaggio enorme con una stella rossa sul cuore. Risate, pacche e sorrisi. Poi si gira verso il banchetto  ordina delle birre, le paga e ce le consegna. Pensavamo di dover ricambiare offrendo il giro successivo e invece ci stringe le mani e se ne va. Come i veri signori, senza chiedere nulla in cambio. Al banchetto nessun altro ci ha più messo a disagio. Eravamo salvi».

Già, Ivan il capo quella sera ha deciso che i tre sono suoi amici, e così nessuno allo stand osa più guardarli storto. E il potere del carisma, nel bene.e nel male. Z.T. chiude il suo post con la letterina che lui e i suoi amici avrebbero voluto spedire a Ivan se avessero saputo  che stava per irrompere a Genova con quelle intenzioni poco nobili: «Caro Ivan, vieni in Italia e non ci chiami? La prossima volta magari la birra te la offriamo noi così non combini tutto  sto casino. Va bene?»
Ma non si sa quando potrebbe essere, questa prossima volta: Ivan per colpa del suo carisma rischia quattro anni di carcere.

Fonte: srs di Alessandra Dal Monte  dal  Corriere di  Verona di giovedì 21 ottobre 2010.


venerdì 22 ottobre 2010

Verona. In piazza Corrubbio le ruspe cancellano la nostra identità

Una delle sepolture venute alla luce in piazza Corrubbio


LA POLEMICA. Commissione consiliare dedicata all'aspetto storico-culturale del contestato intervento di San Zeno.   «Stanno distruggendo le nostre radici con le ruspe».

L'allarme, aprendo la Commissione cultura di Palazzo Barbieri, lo lancia la presidente Lucia Cametti. Nella seduta, a tratti burrascosa, si discute delle sepolture paleocristiane venute alla luce durante i lavori per il parcheggio in piazza Corrubbio, a San Zeno.
«Lì», esclama la presidente, «ci sono il nostro tesoro, la nostra cultura e la nostra identità, ma tutto ciò viene disperso per sempre per fare un parcheggio».
E annunciando un sopralluogo, chiede: «Dove sono finiti i reperti? E quelli rinvenuti in piazzale Arditi e lungadige Capuleti?».

A sorpresa, però, il leghista Enzo Flego non si entusiasma per la sottolineatura delle radici cristiane. «Qui non vedo cristianità, in quest'aula manca perfino il crocifisso», sbotta. E parla di «manovra contro il parcheggio con il pretesto dei reperti». Prima di andarsene sbattendo la porta aggiunge: «Per non fare il parcheggio bisogna dimostrarne l'inutilità, altrimenti bisogna pagare i danni».  Parole che Cametti  bolla come, «scenata pretestuosa poiché oggi si parla di cultura non di parcheggi».

Nell'aprire la seduta la presidente sottolinea l'assenza, «nonostantel'invito», degli assessori Erminia Perbellini (cultura) ed Enrico Corsi (mobilità) e dei rappresentanti della Soprintendenza e della Curia invitati a dire la loro sul tema «Tutela della nostra identità e della civiltà cristiana». «Evidentemente», chiosa Graziano Perini (Pdci) «non gli interessa nulla della cultura».

All'incontro partecipa, invece, un eterogeneo drappello di esperti chiamato a difesa dei ritrovamenti: lo storico Alberto Solinas, l'archeologo Giorgio Vandelli, l'architetto Lino Bozzetto, l'avvocato Enrico Scognamillo e l'ex presidente dell'associazione costruttori, residente a San Zeno, Francesco Farinelli. C'è perfino il console onorario d'Ungheria Lajos Pinter, appassionato di storia veronese.

«Queste tombe», assicura Solinas, «sono d'importanza enorme, rappresentano l'anello mancante della storia paleocristiana di Verona e in particolare le sepolture dei bambini all'internon di anfore sono la prova che si tratta di una necropoli antecedente il 400 dopo Cristo per questo distruggendo piazza Corrubbio si distrugge la nostra memoria. E più in profondità si troverà la necropoli romana». Vandelli, da parte sua, denuncia il rischio che si distruggano anche tombe di vescovi «poichè neppure quella di San Pietro a Roma aveva segni distintivi».

Orietta Salemi (Pd) lamenta che il Comune dopo i ritrovamenti non abbia imposto lo stop al cantiere. Ma le polemiche investono soprattutto la Soprintendenza.  «Perché se sono resti così importanti», si chiede Elena Traverso (An) «la Soprintendenza non ha bloccato tutto invece di dire che non hanno valore?».
Cametti rincara la dose: «La soprintendente Giuliana Cavalieri Manasse se fosse qui dimostrando rispetto per le istituzioni, potrebbe rispondere. Ma è una questione di visione della vita: è la stessa che non voleva i presepi in Arena e questo la dice lunga». (E.S.)

Fonte: (E.S.) da l’Arena di Verona di Mercoledì 20 Ottobre 2010, CRONACA, pagina 14
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Piazza Corrubbio, parte il conto alla rovescia

PARCHEGGIO. Incontro fra l'assessore Corsi e i titolari degli esercizi affacciati sul cantiere
Piazza Corrubbio, parte il conto alla rovescia. Da lunedì la ditta ha due anni di tempo per completare l'intervento I commercianti chiedono l'azzeramento di tassa rifiuti e plateatici

Lunedì 25 ottobre sarà il giorno della svolta per il futuro di piazza Corrubbio. Inizia infatti il conto alla rovescia di due anni per il parcheggio interrato che vi sarà costruito. A dare la notizia è lo stesso Roberto Rettondini dell'omonima ditta ( http://www.rettondinispa.it/ )  appaltatrice del progetto che ieri,  (20 ottobre 2010) con l'assessore alla viabilità Enrico Corsi, ha incontrato i commercianti della zona per discutere con loro del futuro della piazza.

La proposta è quella di un centro della piazza carrabile in un senso (da San Zeno verso via Da Vico) e circondato da una serie di aiuole e di verde a incastonarsi nel porfido. «Non vogliamo una seconda piazza Isolo che per noi è una pietraia», chiarisce Corsi. «La riqualificazione sarà più simile a quella di piazza Cittadella». Destinato a ospitare circa 350 posti auto, il parcheggio dovrà essere ultimato entro il 25 ottobre 2012, pena il pagamento di una serie di penali a danno della ditta. Per il momento si procederà con la predisposizione dei sottoservizi e lo spostamento della rete fognaria ai lati della piazza: il che implicherà l'allargamento del cantiere in via Da Vico (in cui rimarrà comunque garantita la viabilità in un senso) e la chiusura di via Barabarani per circa quattro mesi. Una mossa che i commercianti chiedono non sia fatta prima di gennaio, per non compromettere il periodo natalizio («almeno quello»).

«Anche se è stato trovato qualche reperto persino lunedì scorso», precisa Rettondini, «e la ricerca archeologica non sarà completata prima di 6 mesi, abbiamo deciso di accollarci il rischio di iniziare i lavori». Si apre così un nuovo capitolo per il futuro del quartiere. Dopo mesi di contestazioni e la continua speranza dello stop ai lavori, ora i commercianti pensano a tutelare armonia e fruibilità della piazza, perché i loro affari, calati ormai fino al 70 per cento, tornino quanto prima a girare. Per questo, sempre lunedì, consegneranno al presidente di Confcommercio Paolo Arena – presente anch'egli all'incontro di ieri - un documento scritto con paletti e richieste che intendono avanzare fin da subito per «sopravvivere» nei prossimi due anni. Primo fra tutti l'azzeramento della tassa Amia dei rifiuti e di quelle comunali (per i plateatici), quindi la soluzione di una modalità della sosta provvisoria intorno al cantiere per agevolare la clientela. Ma anche la possibilità di individuare aree provvisorie di parcheggio da destinare ai dipendenti, perché la situazione attuale di un solo pass per negozio non soddisfa. Resta poi da individuare una soluzione per dare visibilità ai cartelli delle varie attività mentre, per ora, è rimandata la decisione nei dettagli della riqualificazione in superficie, che comunque in molti lamentano non prevedere adeguato numero di posti auto per le soste brevi (solo 4 al momento).

Del tutto insoddisfatto il consigliere Pd di prima circoscrizione Franco Dusi: «Il progetto non è ancora stato presentato né in circoscrizione né in assemblea pubblica, e la Soprintendenza aspetta di riceverlo per individuare come valorizzare i ritrovamenti emersi».

Fonte: srs di Chiara Bazzanella da L’Arena di Verona di Giovedì 21 Ottobre 2010; CRONACA, pagina 14


giovedì 21 ottobre 2010

Miniera di San Josè - Se fosse successo in una miniera italiana, le cose sarebbero andate così


Il minatore Mario Gomez di anni 63,   il più vecchio dei 33 minatori intrappolati.


1° giorno: tutti uniti per... salvare i minatori, diretta tv 24h: Bertolaso sul posto, Berlusconi a puttane.


2° giorno: da Bruno Vespa plastico della miniera, con ospiti i massimi esperti del settore minerario: Crepet, Barbara Palombelli, Belen e Lele Mora.


3° giorno: prime difficoltà, inizia la ricerca dei colpevoli e delle responsabilità.
BERLUSCONI, a reti unificate: "è colpa dei comunisti!";
DI PIETRO: "Berlusconi è uno stupratore di minatori. La colpa è del conflitto d'interessi, i suoi!";
BERSANI: "Faremo una grande manifestazione a favore delle talpe".
BOSSI: "Sono tutti terroni, chissenefrega, lasciateli la'";
CAPEZZONE: "non è una tragedia, è una grande opportunità, ed è merito di questo governo e di questo premier. Questa Sinistra amica di Bin Laden sa solo criticare";
FINI: "mio cognato non c'entra".

4° giorno: TOTTI: "Dedicherò un gol a tutti i minatori (che però sono tutti laziali)".


5° giorno IL PAPA: "Faciamo prekiera a i minatori ke in qvesti ciorni zono così vicini al tiavolo!!"


7° giorno: speciale ‘Studio Aperto' sulla sessualità repressa dei minatori con intervista allusiva a Bocchino. Il Giornale e Libero titolano a tutta pagina: "La miniera è di Fini!".


6° giorno: cala l'audience, Barbara D'urso intervista i figli dei minatori: "dimmi, ti manca papà?"

dall'8° all 30esimo giorno falliscono tutti i tentativi di Bertolaso, che così viene nominato capo mondiale della protezione civile. Dopo un mese, i minatori escono per i fatti loro dalla miniera, scavando con le mani.
Emilio Fede rende omaggio al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per l'aiuto fornito durante gli scavi.

Un anno dopo, i 33 minatori, già licenziati, vengono incriminati per danneggiamento del sito minerario.


Ma è successo in Cile.... ci siamo salvati!!!



Fonte: da Dagospia del 19 settembre 2010

mercoledì 20 ottobre 2010

BISOGNA CAMBIARE L’ARTICOLO 53 DELLA COSTITUZIONE




TASSE

La norma contenuta nell'articolo 53 della Costituzione italiana afferma:

Tutti sono tenuti a concorrere  alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Potrebbe  sembrare valido in un paese normale.

Ma un paese nato sull’oppressione dei suoi popoli, su un’inclinazione mafiosa di parte della sua società, corrotto in tutti i suoi gangli, intriso di tangenti, di rapine più o meno legalizzate, di caste più o meno arroganti e malavitose e, altro, e altro ancora…. tale articolo va cambiato in:

"Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche nella misura in cui  essi fruiscono delle stesse"

martedì 19 ottobre 2010

Monsignor Turrini Giuseppe

Monsignor  Turrini Giuseppe

(Castelrotto di Valpolicella VR 11 marzo 1889 - Negrar VR 16 gennaio 1978])
Dopo aver frequentato le scuole comunali del paese di nascita e aver compiuto privatamente gli studi ginnasiali, nel 1904 fu ammesso al Collegio Accoliti di Verona per proseguire gli studi liceali e teologici presso il Seminario vescovile.

Ordinato sacerdote nel 1911, nel 1916 divenne cappellano e maestro di cappella della Cattedrale; nel febbraio del 1922 cominciò l'apprendistato presso la Biblioteca capitolare e il 1º dicembre il Capitolo della Cattedrale lo nominò prefetto della Biblioteca con il titolo di vice-bibliotecario, dal momento che don Giuseppe Zamboni, al quale succedeva, aveva lasciato l'ufficio di bibliotecario, ma non il titolo, per insegnare filosofia all'Università cattolica di Milano.

Con l'aiuto di esperti italiani e stranieri e l'appoggio della Biblioteca Vaticana monsignor Turrini iniziò subito l'opera di recupero della raccolta di opere musicali antiche, ancora prive di catalogo, e il riordinamento dell'archivio, che conteneva una decina di migliaia di pergamene fortemente danneggiate dall'inondazione dell'Adige del 1882.

Il catalogo dei testi musicali a stampa fu portato a termine in un anno, mentre per la pulitura e la spianatura delle pergamene occorsero tre anni di lavoro, la realizzazione artigianale di una particolare pressa disegnata da lui stesso e l'intervento economico di alcune società e imprese private.

Dal 1925 - anno della loro istituzione - per quasi quarant'anni fu segretario, vicepresidente e poi presidente delle Commissioni diocesane per la musica.

Nella primavera del 1928 fu nominato bibliotecario della Biblioteca dell'Accademia filarmonica e nell'autunno divenne anche professore di materie letterarie nel Seminario vescovile dove, dal 1930 al 1957, insegnò pure canto sacro. Nello stesso anno ebbe anche l'incarico di aiuto al parroco della parrocchia di San Nazzaro; fondò, insieme a monsignor G. Maggio, la scuola diocesana di musica sacra "Santa Cecilia", di cui più tardi ebbe la direzione.

Nel 1936 venne nominato canonico bibliotecario del Capitolo della Cattedrale e chiamato a far parte della commissione per il riordinamento della Civica Biblioteca del Liceo musicale di Bologna; fu inoltre membro del consiglio direttivo del Liceo musicale "Dall'Abaco" di Verona, del consiglio d'amministrazione della Fondazione Miniscalchi e, dal 1962 al 1966, del Consiglio superiore delle accademie e biblioteche.

Ispettore bibliografico onorario dal 1938, e per le antichità dal 1942, durante la seconda guerra mondiale si incaricò personalmente di portare al sicuro nei rifugi segreti il materiale di pregio, prima che il bombardamento americano su Verona del 4 gennaio 1945 distruggesse completamente la Biblioteca capitolare e il catalogo degli stampati.



Monsignor Giuseppe Turrini sulle macerie della Capitolare tra Wolfgang Hagemann e Bernard Peebles


Anche l'opera di ricostruzione e di recupero del materiale librario lo vide in prima fila: il 4 gennaio 1946 fu posta la prima pietra e la solenne inaugurazione della Biblioteca riedificata si tenne il 28 settembre 1948.
 Nel frattempo l'Istituto non cessò di funzionare, sia pure in sole tre stanze, e il materiale sfollato venne riportato in sede, riordinato, rischedato e collocato.

Negli anni seguenti la Biblioteca capitolare di Verona poté arricchirsi di importanti fondi, manoscritti e a stampa, di nuove sale e di arredi moderni, grazie alla munificenza di enti pubblici e privati.

Nel 1956 monsignor Turrini costituì il Laboratorio di restauro della Biblioteca capitolare, che cominciò subito la sua attività con l'appoggio di Guglielmo Manfré, sovrintendente bibliografico a Verona, e la collaborazione dei frati benedettini di Praglia; si fece inoltre promotore di conferenze e di numerose e importanti esposizioni.
Rimase alla direzione della Capitolare fino al 1971.

Membro dell'Accademia di agricoltura, scienze e lettere di Verona fin dal 1934, ottenne il conferimento della medaglia d'oro del Ministero della pubblica istruzione ai benemeriti della cultura, nel 1959, la medaglia d'argento della ricostruzione sociale e, nel 1966, il Premio San Zeno.

A Giuseppe Turrini è ora dedicata una sala della rinnovata Biblioteca capitolare.
I suoi numerosi scritti riguardano principalmente la Biblioteca capitolare e quella dell'Accademia filarmonica di Verona, il loro patrimonio bibliografico, soprattutto manoscritto o di carattere musicale (con i cataloghi delle opere musicali e dei manoscritti, editi nel 1935-36 e 1937), e figure o vicende di storia ecclesiastica veronese.


Note: Scritti in onore di mons. Giuseppe Turrini. Verona: Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona, 1973. VIII, 820 p.: ill. Contiene fra l'altro: Pietro Gazzola, Giuseppe Turrini bibliotecario della Capitolare di Verona, p. 1-22, con elenco degli scritti.

Vittorio Cavallari. Profilo di mons. Giuseppe Turrini. «Atti e memorie della Accademia di agricoltura scienze e lettere di Verona», serie 6ª, 29 (a.a. 1977/78), p. 17-44. Pubblicato nel 1979.

Giuseppe Turrini. Diari, a cura di Sara Agostini. Verona: Mazziana, 1998. 378 p.: ill. Contiene fra l'altro: Alberto Piazzi, I Diari di mons. Giuseppe Turrini, p. 7-21; Mons. Giuseppe Turrini (1889-1978): nota biografica, p. 23-24; Bibliografia delle opere di mons. Giuseppe Turrini, p. 25-27.


Fonte: srs di Simonetta Buttò da AIB-WEB,  del 2009-08-08,

lunedì 18 ottobre 2010

Verona. Arriva l’inverno, parte il riscaldamento, si fermano le macchine

L'autostrada A4 a  Peschiera  del Garda

Ecco qua la demagogia  fatta  arte.
Parte il riscaldamento, si fermano le macchine. E che cavolo di logica è!
Verona è a quattro spanne di distanza da due delle più trafficate  autostrade d’Europa, con decine di migliaia di automezzi che transitano  al giorno.  Basta solo qualche minuto di traffico autostradale per vanificare tutte le più inimmaginabili restrizioni circolatorie.
La pianura Padana è la regione con la più bassa ventilazione e ricambio d’aria d’Europa: “un cul-de-sac”. 
Se si vuole provare ad uscire da questa situazione e   poter continuare a  respirare e vivere, bisogna bloccare tulle le politiche più o meno speculative di cementificazione del territorio.  Altro che fermare qualche auto.    
Pensate che qualcuno ci possa sentire da questo orecchio? 

domenica 17 ottobre 2010

EUGENIO BENETAZZO: A GOOD TIME

Nel 1987 imperava ovunque il tormentone estivo di Sabrina Salerno, Boys Summertime Love, un 45 giri che ha scalato tutte le classifiche discografiche europee, lanciando nel firmamento la allora sconosciuta Sabrina come un'esuberante sex symbol mettendola in diretta competizione, canora e meditica, con la prorompente britannica Samatha Fox. “Boys, boys, boys, i’m looking for a good time”, recitava la evergreen alludendo ad un momento di pace dei sensi o meglio ancora ad un vero e proprio periodo di divertimento e serenità emotiva.  La domanda di molti lettori è se anche per noi ora è arrivato il momento del “good time” ovvero se a fronte delle ultime notizie di cronaca soprattutto legate allo scenario industriale possiamo stare più sereni e rilassati, cercando di goderci un “good time”.

Invero mi sento di continuare a mantenere un stato di allerta e diffidare vivamente della propaganda politica e mediatica che vuole la cosidetta crisi alle nostre spalle. Sembrano delinearsi nell’imminente futuro altre problematiche ancor piu critiche. Permettetemi di illustrarvi le motivazioni.
Comiciamo con il far notare che la cosidetta ripresa di questi ultimi mesi soprattutto sul fronte degli ordinativi industriali è stata trainata dal ridimensionamento del cross euro/dollaro durante il periodo estivo che ha reso più appetibili le merci europee all’esportazione, infatti in questi termini i contributi maggiori alla cosidetta ripresa sono arrivati proprio dal fronte estero.  Sostanzialmente i timori maggiori sono individuati nell’insostenibilità di un modello di sviluppo in cui una parte del pianeta consuma ed un’altra produce, e questo soprattutto in presenza di un sistema valutario a cambi fissi. 

Non sono casuali infatti le recenti pressioni degli Stati Uniti nei confronti della Cina volte ad ottenere una rivalutazione dello yuan: in termini puramente macroeconomici non può durare a lungo il sodalizio tra due paesi in cui il disavanzo commerciale sembra non avere confini a fronte dei quantitativi ingenti di importazioni dall’Oriente. Dal canto suo invece, la Cina continua a importare beni dall’Europa forte di questa sua posizione “quasi surreale” di esportatore planetario di prodotti a basso prezzo. Proprio questa considerazione fa comprendere come mai non siano ancora esplose ventate inflazionistiche in Europa e negli USA, infatti la merce cinese ha consentito di calmierare verso il basso il costo dei beni di consumo necessari per vivere (dagli alimentari ai giocattoli, dall’hitech all’abbigliamento).

Aggiungiamo a questo il fatto che i grandi interventi di quantitative easing (ovvero il creare denaro dal nulla da parte delle banche centrali per supportare gli interventi di aiuto e salvataggio messi in piedi dai governi occidentali in questi ultimi due anni) non hanno avuto un riverbero diretto nella massa monetria, in quanto sono stati iniettati dentro i bilanci delle banche in difficoltà e quindi non sono stati oggetto di circolazione monetaria, producendo come si poteva presumere erroneamente un innesco di inflazione. Il quadro di incertezza e tensione finanziaria ha poi fatto il resto, spingendo milioni di consumatori a limitare le proprie esigenze ed iniziando caso mai a risparmiare anche sull’impensabile (temendo pertanto che nel futuro prossimo potessero verificarsi ulteriori episodi di pericolo e detonazione finanziaria).

Questi fenomeni aggregandosi hanno prodotto un ristagno dell’attività di consumo in Europa ma non dell’export verso le aree orientali le quali fanno incetta di infrastrutture e macchinari per alimentare la crescita del dragone rosso.
Tuttavia come ho già ripetuto anche in altre occasioni, la Cina rimane una bomba con la miccia accesa, abbracciata ad un modello di sviluppo che non ha saputo evolversi in questi ultimi anni: oltre la metà del PIL è costituito da esportazioni, mentre il livello dei consumi interni continua a scendere, nonostante ci vogliano raccontare che la globalizzzione avrebbe fatto emergere nuovi milioni di consumatori in oriente pronti a consumare beni e merci prodotti in Europa. Sta accadendo invece l’esatto opposto.

Ma non è finita, in quanto all’orizzonte inizia a delinearsi lo spauracchio della deflazione, soprattutto gli USA stanno intervenendo con la FED per scongiurare il pericolo: in realtà per quanto denaro si voglia creare, se i consumatori, soprattutto statunitensi, non si rimettono a spendere come prima il film che ci attende lo hanno già visto i nostri nonni, durante gli anni Trenta, con un periodo deflattivo anche di cinque anni. Infatti per quanti interventi di sostegno siano stati varati  e per quanto denaro è stato immesso nel sistema sia in Europa che negli States, ci si rende conto che i livelli di occupazione continuano a diminuire al pari dei tassi di interesse: segni inequivocabili che fanno presagire ad un periodo deflattivo. Sulla base di queste constatazioni devono essere ricondotte alcune mie recenti esternazioni televisive in cui suggerivo di investire in immobili, solo se ben selezionati ed in aree residenziali di prestigio, con il fine di evitare spiacevoli episodi di polverizzazione finanziaria, ricordando che da una deflazione si esce solitamente con un’inflazione galoppante.

Fonte: srs di Eugenio Bentazzo  (pubblicato in data 12/10/2010)



sabato 16 ottobre 2010

EUGENIO BENETAZZO: DISTINTI SALUMI

Se ci fosse un modo per vendere allo scoperto l’Italia, non ci penserei un attimo. Per chi non è del mestiere con questa terminologia si denominano le operazioni finanziarie effettuate con l’intento di ottenere un profitto a seguito di un trend o movimento ribassista delle quotazioni di un qualsiasi bene quotato in una borsa valori. Fortunatamente, per voi che leggete, il valore delle vostre case, il valore della laurea di vostro figlio, il valore del comprensorio turistico in cui andate a fare le vacanze o il valore del benessere della città in cui vivete non sono oggetto di quotazione presso nessun mercato borsistico. Se cosi fosse infatti, avremmo assistito all’arrivo di migliaia di speculatori pronti a vendere allo scoperto un paese che nel suo complesso è destinato progressivamente a perdere di valore.

Vi accorgete di quanto valiamo come paese o come popolazione lavorando o interagendo con altre nazionalità (Stati Uniti a parte), in cui quello che è normale o consuetudinario negli altri stati, in Italia è straordinario oppure eccezionale. Da due anni si continua a parlare ormai di questa famigerata crisi finanziaria che ora è diventata crisi planetaria e che ha ripercussioni molto rilevanti anche in Italia: vi faccio una domanda. Pensate seriamente che le persone al momento al governo o all’opposizione, le quali sono state artefici di aver condotto il paese alla sfida della globalizzazione, senza ipotizzare alcun tipo di difesa, siano adesso in grado di risolvere i problemi che quest’ultima ha procurato allo stesso paese. Chi siede a Bruxelles o Roma a rappresentarci ha un’età media oltre i sessant’anni, lo stesso premier è ormai in prossimità degli ottanta anni: tutti loro sono ormai mentalmente obsoleti, incapaci di astrarsi intellettualmente per comprendere su cosa e come intervenire, capaci solo di aizzarsi per le solite beghe di partito. Non me la prendo più di tanto con Berlusconi, Fini, D’Alema, Bersani, Bossi o Casini, ma con chi li vota. Alla fine gli italiani hanno la classe politica che si merita e la stessa si dimostra un fedele specchio del paese.

Quei pochi vanti che avevamo nei confronti di altre nazioni non li abbiamo mai coltivati a sufficienza, lasciandoli appassire lentamente: qualcuno mi ricorda come in più occasioni abbia menzionato il mancato sfruttamento del potenziale turistico ed artistico italiano. Non rinnego questa mia constatazione, tuttavia soffermiamoci a riflettere su come è strutturato questo potenziale inespresso: migliaia di alberghi, pensioni, residence ormai fatiscenti, la maggior parte a conduzione familiare, risalenti, assieme all’arredamento, a oltre trent’anni fa. Per non parlare delle logiche campanilistiche di attrazione ed accoglienza turistica di enti locali, aziende di soggiorno ed associazioni di albergatori che competono una con l’altra. Piuttosto che fare sistema tra di loro preferiscono perdere il cliente: è la logica dell’orto di casa, quello che è mio non lo condivido con nessuno. Purtroppo manca un disegno di regia unitaria che dia l’imprimatur ad una svolta gestionale e direzionale degna del paese che “in teoria” vanta il maggior appeal turistico ed artistico del mondo. Per questo motivo a guidare il Ministero del Turismo ci dovrebbe essere un “dream team” costituito dai migliori marketing manager del mondo, e non una ex valletta di periferia dalle discutibili competenze professionali ed imprenditoriali.

Qualcuno mi scrive confidando molto presto in una rivoluzione, magari in una rivoluzione culturale per cambiare definitivamente il destino di lento e progressivo impoverimento del paese, che ormai vive solo grazie alle montagne di risparmio accantonato e al mercato sommerso dell’evasione fiscale. Ma chi dovrebbe farla questa rivoluzione ? Le forze giovanili attuali ? Prima mi viene da piangere e dopo da ridere: intere generazioni di ragazzi italiani buoni purtroppo a nulla, senza spirito di sacrificio e con professionalità inesistente, tutto questo grazie a scuole superiori e laureifici (leggasi università di stato) attrezzati per elargire una qualche sorta di riconoscimento accademico o suo surrogato. Le lauree italiane (al pari dei diplomi) non servono ormai più a nulla in quanto è cessata da quasi vent’anni la funzione sociale per cui sono state concepite ovvero fare selezione, individuare i più promettenti, scartare gli inetti e bocciare gli incapaci.
Care mamme evitate di scrivermi dicendo che vostro figlio è un genio e che sono esagerato: fate così mandatelo a lavorare all’estero, vediamo chi ve lo assume per una mansione dirigenziale. La formazione accademica italiana era tra le migliori (forse la migliore al mondo) fino a 20/25 anni fa, poi lentamente questo primato ci è stato sottratto per l’incapacità di aggiornare il modello scolastico e soprattutto per la lentezza di ammodernizzarsi dell’intero paese. Sicuramente qualcuno che vale esiste (purtroppo sono veramente molto pochi), ma vale per un qualche dono di natura, non certo per quello che le istituzioni scolastiche ed accademiche  gli hanno insegnato.

Tra vent’anni in Italia ci scontreremo con un’altra triste realtà, quella di non essere più a casa nostra: grazie infatti ad un liberismo sfrenato alle frontiere,  saranno infatti in maggioranza numerica tutte le altre etnie che abbiamo fatto entrare senza tante riflessioni, con un aumento della conflittualità sociale che ora non immaginiamo nemmeno.  Aumentano in continuazione invece i paesi occidentali che stanno facendo l’impossibile per far rimpatriare le ondate di immigrazione degli anni precedenti, proponendo addirittura  bonus economici a chi se ne ritorna da dove è venuto. Ovunque (persino a Malta), tranne in Italia, ci si rende conto dei disagi e danni economici che hanno provocato gli extracomunitari (abbassamento dei livelli salariali, criminalità per le strade, intolleranza nei confronti della cultura ospitante, prostituzione, disagio e tensione sociale con gli autoctoni). Noi italiani invece per evitare di offendere la sensibilità di qualche attivista per l’integrazione razziale stiamo serenamente lasciando che questa diventi la casa di qualcun’altro. Per le conseguenze che ci aspettano, la gestione dei flussi migratori dovrebbe essere una priorità nazionale. In qualsiasi città italiana andiate vi rendete conto voi stessi di un dato oggettivo: queste persone non solo non si sono integrate, ma nemmeno lo vogliono, ogni etnia infatti si è autoghettizzata per conto proprio (dai cinesi ai nordafricani, ogni comunità vive con le sue regole, fregandosene del paese che la ospita.

Datemi retta vendete tutto quello che ha senso vendere e accaparratevi quel poco di buono che ancora rimane dell’Italia: tra quindici anni ci chiederemo come sia potuto accadere, come sia stato possibile lasciar marcire il paese fino a qualche anno fa invidiato da tutti. Se qualcuno di voi spera in qualcosa, allora deve sperare che arrivi, emerga o si imponga un nuovo Lorenzo Il Magnifico, una personalità giovane, visionaria, intraprendente, scomoda per l’attuale establishment industriale e politico, che abbia la capacità di rinnovare il paese, e stravolgere la sua popolazione, proprio come fece allora Lorenzo Dè Medici riformando completamente tutte le istituzioni statali dell’epoca e risolvendo le rivalità e le problematiche dei grandi gruppi di potere, assicurando al tempo stesso un periodo di equilibrio, crescita, stabilità e slancio per tutta la penisola.  Tuttavia fin tanto che da quasi vent’anni in Italia continuano ad alternarsi a livello politico e mediatico sempre gli stessi attori (da Berlusconi a D’Alema, da Montezemolo a Tatò, da Pippo Baudo a Raffaella Carrà), il problema non sarà tanto come cambiare il paese, ma come cambiare gli italiani, ormai assopiti ed addormentati proprio come recitava il poeta Ugo Foscolo: e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirito guerrier ch'entro mi rugge.

Fonte: srs di Eugenio Benetazzo  (pubblicato in data 25/08/2010)

venerdì 15 ottobre 2010

Un americano e un tedesco arruolati su fronti opposti, nel 1945 a Verona, con il medesimo scopo: salvare i tesori della Capitolare.

Monsignor Giuseppe Turrini sulle macerie della Capitolare tra Wolfgang Hagemann e Bernard Peebles


STORIA. Wolfgang Hagemann  e  Bernard Peebles, monsignor Giuseppe Turrini e i codici nascosti a Erbezzo. L'americano e il tedesco  sotto le bombe per i libri. Due studiosi arruolati su fronti opposti si ritrovarono a Verona nel 1945 con il medesimo scopo: salvare dalla guerra un vero tesoro dell'umanità

Un prete tra due nemici che, su fronti opposti, si erano battuti per un obiettivo comune: salvare dalla guerra la Biblioteca Capitolare. L'immagine mostra monsignor Giuseppe Turrini tra Wolfgang Hagemann e Bernard Peebles, in divisa da sergente maggiore dell'esercito americano, reparto speciale Monuments, Fine Arts and Archives.  Hagemann e Peebles erano eminenti filologi, entrambi avevano studiato a Verona sui codici della Capitolare.
Arruolati, avevano trovato il modo di farsi destinare in Italia con la medesima preoccupazione: salvare la Capitolare. Hagemann era arrivato a Verona con gradi di ufficiale e prestigio: era stato l'interprete personale di Rommel, la Volpe del deserto.

Monsignor Giuseppe Turrini, in una foto inedita, con un libro danneggiato nel bombardamento del 1945

Si mise a disposizione di Turrini e fu prezioso: il monsignore, temendo i bombardamenti che puntualmente arrivarono, nel gennaio 1945 (distruzione della monumentale aula maffeiana, 1.250 voluni e schedari perduti) aveva trasferito codici e manoscritti nella canonica di Erbezzo.
Li credeva al sicuro, ma Hagemann lo avvertì invece del pericolo: era zona di operazioni antipartigiani e i tedeschi avrebbero potuto incendiare il paese (Vestena subì questa rappresaglia nazista).
Hagemann mandò a Erbezzo un ufficiale fidato, Fritz Weigle, che pure nel 1927 aveva studiato alla Capitolare, e questi affisse sulla porta della canonica un «befel» a firma «Wolff/SS-Obergrappenführer u. General der Waffen-SS» che dichiarava il fabbricato KUNSTDENKMAL: «Proibita occupazione e requisizione», come tradotto a uso delle milizie fasciste. Nell'ultimo, drammatico periodo di ostilità, Hagemann però intervenne per consigliare il trasferimento dei codici alla Biblioteca Marciana di Venezia e in altri nascondigli più sicuri.

Intanto risaliva la penisola con le truppe alleate Peebles, che già in Sicilia aveva salvato gli archivi di Filippo V, recuperando dei documenti del 1713 che erano usati come carta da parati.

Arrivato a Verona con i primi liberatori, si precipitò alla Capitolare: la foto lo ritrae con l'ex nemico, ritrovato come studioso e custode del patrimonio culturale.
Hagemann è morto nel 1978; Peebles, adoperatosi per i restauri della Capitolare, finiti in tempi da primato dal soprintendente Pietro Gazzola, tornò anni dopo a studiare alla Capitolare, in anonimato.
«Un giorno», racconta monsignor Giuseppe Zivelonghi, per anni bibliotecario, «butto l'occhio sulla lista delle presenze e vedo la sua firma. Vado in sala di lettura: “Scusi... Ma lei è..." —Sì—, rispose, e tornò a studiare». Peebles è morto il 22 novembre 1976 a Washington, aggredito in strada da un balordo che lo voleva rapinare.  (G.A.)


Fonte:  srs di Giuseppe  Anti da L’Arena di Verona di Martedì 12 Ottobre 2010,CULTURA, pagina 57