domenica 28 febbraio 2010

TIZIANO MALAGUTTI: LA LUCE CON CUI SCRIVEVA

Tiziano Malagutti

«Quando si allineano soggetto, occhio e cuore, allora nasce la grande fotografia».  L’ha detto Henry Cartier Bresson, lo faceva ogni giorno Tiziano Malagutti
Tiziano Malagutti è morto dieci anni fa: il fotografo che ha lasciato un segno nella cronaca della città. Era sempre al posto giusto nel momento giusto. Con la sua Leica e al volante della Mini Cooper era un mito per i suoi colleghi e in redazione. Ha scattato un milione di  clic. Sue le immagini memorabili dello scudetto dell’Hellas.

Se essere giornalista è essere sul luogo e al momento giusto per raccontare al lettore cosa, come, quando, dove e perché, Tiziano Malagutti era straordinario. Mai una sbavatura, mai un eccesso, mai sopra le righe. Sembrava non ci fosse, scattava da prospettive impossibili immagini che parlavano.


Tiziano Malagutti ritratto a Castelvecchio da Evgenij Chaldej   leggendario fotoreporter dell’Armata Rossa


Scriveva con la luce. Anche di notte, senza flash, riusciva a tirar fuori dalla sua Leica una foto degna di essere pubblicata su Life.  Se è vero che non contano gli anni ma i chilometri, la sua Leica M3 merita un posto d’onore nel museo di Wetzlar: un milione di scatti in trent’anni di servizio, tanti quanti Tiziano ne ha passati all’Arena documentando storie minime e grandi eventi. Quel tesoro lo conserva la signora Gabriella, nelle bobine, contrassegnate da giorno, mese e anno, che farebbero gola a ogni archivio di una città degna di essere tale.

C’è chi da piccolo sogna di fare l’astronomo e chi l’astronauta. Tiziano voleva una «macchinetta» tutta per sé. La comprò facendo musina, dietro il bancone del bar Brasiletto, in via Nuova, dieci lire per ogni caffè che ne costava novanta: il resto di una moneta da cento lire. La comprò in via Cappello, da Oppi, e l’accarezzò fino a casa. In tasca, teneva due rotolini di Ferrania, uno in bianco e nero e l’altro a colori.

Il suo negozio-laboratorio lo aprì in via Roveggia, in Zai.  Fototessere, gite al mare, scolaresche in bella fila, nella carta Camoscio che vellutava i toni del grigio. I servizi ai matrimoni, una Rolleiflex 6x6 a tracolla e poi una Hasselblad.   «Mia mamma me l’aveva detto che se fossi andato a lavorare per un quotidiano mi sarei rovinato!» mugugnava quando non gli andava di andare là dove gli era stato chiesto. Ma era inesorabile, capace di stare appostato per ore in attesa dello scatto giusto. Poco importa se poi, quell’«imperdibile» finiva su due colonne taglio basso, al più accendeva una Multifilter e arrossiva.

All’Arena arrivò in punta di piedi, senza sgomitare, anche se era già il migliore, ma guai a dirglielo. Un giorno andiamo sulla scena del delitto, uno di quelli per cui arrivano giornalisti e fotografi da tutta l’Italia e anche da fuori.  Purtroppo è capitato abbastanza spesso da confondere i ricordi, tra un parricida per i soldi e i nazistoidi di buona famiglia. Eravamo immersi nel male, anche quel giorno come troppi altri, ecco perché resta nitido l’attimo di sorriso. Una targa inglese ci supera, un motociclista. Si volta un attimo e inchioda. Indica la Mini Cooper 1300 e la Leica al collo dell’autista: «Ma you are Tiziano Malagutti!» Era già un mito tra i suoi colleghi e noi al giornale non lo sapevamo, magari costringevamo su una colonna le sue fotografie che meritavano una mostra.
Una si fa in tempo a organizzarla, volendo offrire un’idea alla città: scadono i 25 anni dallo scudetto dell’Hellas, di cui Malagutti fu il testimone. Compresa la celebre immagine di Elkjaer che segna senza scarpa e indica il piede scalzo alla venerazione dello stadio Bentegodi.

Dal suo vocabolario aveva cancellato la parola «io», non solo per bilanciare l’abuso che se ne fa in redazione, ma per educazione, eleganza, stile. Non lo abbiamo mai sentito alzare la voce, anche quando aveva ragione da vendere, né ridacchiare per qualche disgrazia capitata al prossimo. La pietas gli tratteneva la mano e spostava l’obiettivo su un’altra inquadratura quando il rispetto per i vivi e per i morti gli appariva irrinunciabile. Vinceva la pigrizia dei maestri solo dopo il corteggiamento del cronista. Bisognava parlargli di quanto bella sarebbe stata la pagina con una sua foto su cinque, anzi sei colonne. Quando così non era, il suo lavoro non decollava dall’ineccepibile professionalità, ma riservava ad altre occasioni il lampo di genio. Allora gli si illuminava il viso. Tutta la prosa può non bastare a dire quel che sta dentro una sola strofa. Come scoccare l’ultima freccia della faretra. Non sbagliava mai e quel rettangolo di carta sviluppato al buio, con le mani nell’acido, svelava quello che il giornalista non aveva visto o aveva dimenticato o sottovalutato.

L’unica sera in cui riuscì a portare al cinema la sua Gabriella scoppiò un incendio doloso alle case popolari. Tiziano fu chiamato e piombò in Mini sulla scena del rogo, moglie al fianco. Tornò dopo mezz’ora alla macchina, stringendo la Leica al petto, inseguito da un gruppo di arrabbiati. Succede spesso ai cronisti, ma la signora Malagutti non poteva sopportarlo. Uscì dalla Mini e affrontò gli infuriati: «Come vi permettete di insultare un galantuomo? Fa il suo lavoro ed è qui per il giornale che domani leggerete anche voi». Poi, stampate le foto, alle ore più impossibili in casa Malagutti c’era la cena pronta anche per noi cronisti, che ce ne andavamo ogni volta invidiando a Tiziano quella donna.
 Ha lavorato tutti i giorni che mettono insieme trent’anni, senza saltarne uno. Molti neonati, venuti al mondo dopo la mezzanotte di San Silvestro sono ora giovanotti e signorine. Sappiano e se ne vantino di quel clic che non li ha distolti dal sonno o dal seno, perché è di Tiziano Malagutti.
(DOMANI primo marzo, nel decimo anniversario dalla scomparsa di Tiziano Malagutti, fotografo dell’Arena, messe in suo suffragio verranno celebrate a San Zeno (cappella nel chiostro) alle 8 e alle 18,30.)

Fonte: srs di Giuseppe Anti e Donatello Bellomo,   da L’Arena di Verona di Domenica 28 Febbraio  2010;  CULTURA,  pagina 65

PERCHE’ GLI ARCHEOLOGI SONO CONSIDERATI UNA CASTA?

Lo scavo archeologico al Seminario di Verona

Mentre come comune cittadino di Verona riflettevo sulle varie tematiche storiche e “morali” dello scavo archeologico del seminario di Verona, sembra nemmeno a farlo apposta, mi è capitato di leggere, in un blog,  questo articolo  di una giovane archeologa che,  con una fredda capacita’  critica ed un’ elevata lungimiranza di pensiero,  che solo le persone  giovani riescono ad avere,  centra e chiarisce alla perfezione uno  dei massimi problemi dell’archeologia italiana: l’incompetenza, e a volte la “voluta”  incapacità di comunicazione  nei confronti dei cittadini,  che  sono i soli referenti e destinatari di tutti i lavori e le opere  pubbliche che si eseguono sul territorio italiano,  cio’ che molti funzionari pubblici  spesso dimenticano o non vogliono ricordare.


Questo articolo nasce da una discussione, svoltasi qui, sulle pagine di Archeoblog, che è andata a toccare un tasto particolare dell’archeologia, ovvero la percezione che il pubblico ha degli archeologi.

Davvero siamo una casta?

Quella che segue è un’analisi del motivo per cui è nata questa visione, una sorta di mea culpa che tutti gli archeologi che lavorano sul territorio forse dovrebbero fare.

La prima immagine che viene in mente a chiunque quando si parla di archeologi è quella di Indiana Jones che affronta avventure incredibili e fa scoperte eccezionali, cerca tesori nascosti e svela misteri. I “Wow!” e i “Che bello!” che di volta in volta mi sono rivolti quando dico che sono un’archeologa non si contano, ma quando poi dico dove lavoro, allora l’espressione estatica scompare e anche il discorso dopo poco viene lasciato cadere.

La figura dell’archeologo in astratto è avvolta nel mito, ma nel concreto è apprezzata molto meno perché in Italia, tolte giusto Roma, Pompei e poco altro, il lavoro dell’archeologo non è molto considerato.

La concezione dell’archeologia è ancora “romantica”, legata alle scoperte importanti e ai ritrovamenti eclatanti, mentre quando si tratta di fare “piccola archeologia”, archeologia locale, cioè quegli interventi di archeologia urbana che accompagnano (per legge) i lavori pubblici nei centri storici e nelle aree già sottoposte a vincolo, l’atmosfera cambia, e improvvisamente l’archeologo diventa colui che fa rallentare il cantiere per pulire con il pennellino quelle quattro pietre.

Come mai questa differenza nell’atteggiamento?

Semplice: il nostro lavoro non viene capito.

E di chi è la colpa?

Nostra, ovviamente!

È evidentemente nostra, perché non abbiamo saputo e non sappiamo trasmettere il perché del nostro lavoro, non sappiamo spiegare perché è necessario affiancare i lavori pubblici, scavando sotto le nostre città, e soprattutto, e questo è ancora più grave, non spieghiamo ciò che viene trovato. In sostanza, non siamo capaci di “pubblicizzare” il nostro lavoro, di renderlo pubblico.

La trafila di uno scavo tutto sommato è semplice: si scava, si studia ciò che si è scavato, si pubblica ciò che si è studiato.  È proprio questo il punto: chi pubblica lo fa su pubblicazioni scientifiche per addetti ai lavori, scritte in un linguaggio poco comprensibile a chi non è del mestiere.

E così uno scavo fatto nella città X comporta ai cittadini solo disagi,  perché non conoscendo il motivo dello scavo, e non riuscendo a capire cosa sono quei quattro sassi che vedono, essi leggono tutto come un’inutile perdita di tempo e vedono negli archeologi un gruppo di persone che fa un lavoro inutile e che ruba soldi allo Stato (come mi è stato detto una volta!).

Ripeto: è colpa nostra.

 Colpa nostra che non abbiamo ancora imparato a comunicare agli abitanti di X cosa stiamo facendo.  Basterebbe così poco!  Eppure non ci rendiamo conto che il nostro atteggiamento attuale da un lato ci “ghettizza”, mentre dall’altro tende a fare di noi una “casta” di persone chiuse in se stesse, del cui lavoro non si sa nulla.  Così facendo, questa casta-ghetto esclude gli abitanti di X dal loro territorio, non rendendoli partecipi di scoperte e quindi di informazioni storiche che invece spettano loro di diritto.

Ritengo che sia questo il motivo principale per cui il lavoro dell’archeologo è visto con sospetto e diffidenza, come un’invasione della propria terra, che chissà, magari porta allo scoperto chissà quali tesori che poi vengono tenuti nascosti (e così si verificano quegli spiacevoli episodi di scavi clandestini e di buchi dei “tombaroli” col metal detector che non danno altro risultato se non rovinare la stratigrafia del sito e rallentare ulteriormente il lavoro dell’archeologo).

Ritengo sia giunto il momento di comunicare in tempo reale agli abitanti di X ciò che viene scoperto nella loro città, che cosa si sa di più di giorno in giorno sulla loro storia. Non solo.  Occorre farlo con un linguaggio semplice, dove semplice vuol dire “non specialistico”.  Il pubblico è interessato alla propria storia, all’archeologia, ma non sempre ha i mezzi per poterla capire e comprendere a fondo.

Credo che sia significativo in tal senso il fatto che uno dei libri più venduti sotto Natale e anche ora nel 2008 sia “Una giornata nell’antica Roma” di Alberto Angela (di cui ho scritto una recensione sul blog di Comunicare l’archeologia, che invito a leggere): il pubblico è interessato e legge un’opera di divulgazione come solo Angela, che non è archeologo, può scrivere. Eppure quanti volumi sono stati scritti sulla vita quotidiana a Roma?  Non hanno avuto lo stesso successo. 
Alberto Angela sa comunicare col pubblico, sa solleticare le corde giuste della curiosità e dell’attenzione, e per questo il suo libro ha fortuna: un archeologo avrebbe trattato lo stesso argomento impostando il lavoro in maniera ben diversa.  E, ci scommetto, avrebbe pubblicato un’opera forse più corretta e dettagliata sotto il profilo scientifico, ma meno divulgativa, quindi più difficile e noiosa.

Sono stata contenta di sapere che molti archeologi hanno letto il libro di Angela: e se dalla lettura possono nascere spunti per migliorare il nostro rapporto con il pubblico, ben venga.  Personalmente, ritengo che il libro di Angela sia più utile agli archeologi che a tutto il resto del pubblico: la mia è una provocazione, ma sono seriamente convinta che se gli archeologi iniziassero a scrivere come lui, sarebbe un bel passo in avanti per tutta la categoria.

Comunicare l’archeologia è il passo che dobbiamo compiere per uscire dalla condizione di “ghetto-casta” che molti ci attribuiscono.

Scrivere sui giornali quando si apre un cantiere di scavo nella città X, preparare dei pannelli che spieghino il lavoro in quel cantiere, coinvolgere gli abitanti organizzando incontri con la popolazione, conferenze, servizi sulle TV locali e, perché no, organizzare visite guidate a fine scavo se il sito lo consente… sono questi i primi passi che si possono compiere per avvicinarci di più al pubblico, anche perché fondamentalmente il nostro non è un lavoro fine a se stesso, ma è un servizio reso alla società, cui restituiamo un pezzo della sua storia.

Fonte: rsr di Marina Lo Blando: da Archeo Blog  di  Lunedì  19 maggio,  2008

.

Gio da Batiorco

Lo scavo al seminario vescovile di Verona, è un bellissimo esempio di come le soprintendenze e le varie autorità preposte comunicano con i cittadini. 
Malgrado siano ormai quattr’ anni che stanno lavorando, la notizia dello scavo è apparsa sul giornale più come un incidente di percorso che una comunicazione culturale o ufficiale, anche perché, per i comuni mortali veronesi, al seminario, pur di non far trapelare qualche informazione, l’impressione è che poco mancasse che erigessero muri e reticolati di filo spinato di berlinese memoria, con “cecchini alle finestre”.


Tale modo di comunicare ha in sé profonde e radicate basi culturali, tanto che con l’ultima legge sulla tutela del patrimonio “il Decreto Urbani” si è riusciti a far imprecare in tutte le lingue, sia antiche che moderne, personalità del calibro di Salvatore Settis, arrivando alla schizofrenica realtà di poter mettere all’asta, e pertanto vendere o svendere, le proprietà demaniali d’ interesse culturale e, nello stesso tempo, togliere l’usufrutto ai cittadini italiani dei beni artistici e archeologici, negando perfino la possibilità di eseguire fotografie per scopo personale dei nostri beni artistici e, visto che in Italia non esiste nemmeno la normativa sulla libertà di panorama, la cosa è di una gravità estrema.


Nello stesso tempo, le varie istituzioni, addette alla difesa del nostro Patrimonio, some sempre tenute “alla canna del gas”, strangolate da finanziarie che tagliano di continuo nella stessa direzione, con personale sempre sotto rischio di trasferimenti di rappresaglia.
Tale situazione non è non solo ottimale, ma nemmeno sufficiente per la comunicazione, la divulgazione e la conservazione del nostro patrimonio culturale, storico e archeologico.


Tenendo presente, malgrado elementi di elevata professionalità ed estrema dedizione, l’atavica carenza di capacità amministrativa, fa degli enti preposti, gli unici “termoinceneritori” italiani perfettamente funzionanti, là, dove le fonti culturali archeologiche, non vengono fisicamente bruciate, ma “sublimano!”
 Personalmente ho sentito dire, da un docente di Verona, una battuta sarcastica, ma molto veritiera, nella quale si richiedeva la necessità di una nuova laurea universitaria, avente come indirizzo: “La ricerca archeologica negli archivi e magazzini delle soprintendenze e musei”, questo perchè vi è l’ottanta per cento del materiale giacente, non studiato, pubblicato, o messo in visione.
Se poi aggiungiamo anche le normali beghe, i personalismi, le invidie e gelosie, la situazione è da comica all’italiana.
Altro che comunicare l’archeologia!

Fonte: ArcheoBlog 2008






sabato 27 febbraio 2010

Verona. Lo scavo archeologico nel Seminario di Verona: la foto da Google Earth


Lo scavo archeologico nel Seminario di Verona visto da Google  Earth (2008)


Lo scavo archeologico al seminario  di Verona è stato  una delle  più importanti ricerche  archeologiche effettuate nell’ ultimo decennio, non solo a Verona, ma in  tutto il  nord Italia. I veronesi, di quest’ avvenimento,  non hanno saputo  e visto, praticamente  “nulla”, se non un piccolo articolo, quasi un incidente di percorso, apparso su L’Arena di Verona, il 17 maggio 2008. 
Di tutte le strutture  murarie romane riportate in luce, qualcuno ha chiamato il cortile del seminario “la Piccola Pompei di Verona”, ora, che non esistono più, i veronesi in futuro potranno solo vedere quelle riportate da  questa foto,  che “santo Google” ci ha permesso di avere.  Forse, in un prossimo avvenire, dalle soprintendenze… anche qualche altra foto… Miserevole presupposto  però!


venerdì 26 febbraio 2010

Marco Pantani… la mia verità di Renato Valanzasca. A madonna di Campiglio il 5 giugno 1999 vi fu un complotto.


Scusandomi per il “famigliare Tu” che vuole solo esprimere tutto l’Affetto e il Rispetto che porto a Te e a tutta la Tua Famiglia, immediatamente dopo aver ricevuto il massaggio inviato al sito, mi precipito a rispondere a Te e a Tuo nipote Thomas.

Lascio poi a Te la decisione se dare il via libera ad Antonella se mettere o meno in rete questa mia… Perché se da un lato, per la mia immagine, la cosa potrebbe tornare più che utile… dall’altro, capisco perfettamente che si tratta di un Dolore Talmente Grande e Personale che potresti desiderare di voler tenere tutto per Te!… Decidi Tu!!!…

Nel caso che Tu decidessi di non mandarla blog, come mi dovrei regolare con le domande che mi sono giunte (da Marco, la freccia, Gabriele Guerini, Bruno e…) sempre riguardo alla Tragica vicenda del Tuo Compianto Marco, che mi ha coinvolto a causa del passaggio ne Il fiore del male?… Ignorarle non mi pare corretto… ma altrettanto sarebbe se dicessi loro le stesse cose!… Fammi sapere… Grazie!

Premesso che non vorrei passare per colui che vuol svelare il mistero di Fatima, posso dirti quanto è a mia conoscenza e che dissi senza togliere o aggiungere una virgola, al PM di Trento che venne ad interrogarmi, come persona informata sui fatti, subito dopo che la Gazzetta dello Sport aveva riportato uno stralcio del libro che sarebbe uscito da lì a poco.

Non sapevo e neppure ora so cosa sia successo di preciso: quel che è certo che quattro o cinque giorni prima che fermassero Marco a Madonna di Campiglio, mi avvicinò un amico, anche se forse lo dovrei definire solo un conoscente, che mi disse:
Renato, so che sei un bravo ragazzo e che sei in galera da un sacco di tempo… per questo mi sento di farti un favore”.
Ero in vero un po’ sconcertato ma lo lasciai parlare…
«Hai qualche milione da buttare?… Se si, puntalo sul vincitore del Giro!… Non so chi vincerà… ma sicuramente non sarà Pantani!»
 Da un lato ero certo che nessuno avrebbe mai pensato di potermi fare uno spiacevole scherzo… ma dall’altro vedevo Marco che viaggiava troppo forte!…

Glielo feci presente dicendogli testualmente “Per non farlo arrivare a Milano in Rosa, gli possono solo sparare…” e Lui continuò dicendo:
«Senti Renato, non so come, ma il giro “Non lo Vincerà Sicuramente Lui!!!...” »
 Sapevo chi era e quali erano le sue frequentazioni a livello di scommesse clandestine e così la presi per buona, anche se non avrei comunque scommesso perché, non sono uno scommettitore… ma anche volendo, non avevo disponibile una cifra così consistente da cambiarmi la vita…

Le due sole possibili alternative allo strapotere di Marco erano, seppur molto alla lontana, Gotti e Jalabert, quindi, nella logica di quell’amico, avrei solo dovuto sceglierne uno… Se non ricordo male, Gotti era dato a 2 e 1/2 e Jalabert a 4 o poco meno!… e quando gli risposi no grazie… anche perché soldi da buttare non ne avevo!…
Mi rispose che era talmente certo che la dritta fosse garantita che, se avessi voluto, i soldi della giocata me li avrebbe anticipati Lui… e che se Per Assurdo Pantani avesse vinto… saremmo stati pari…
Era un suo modo per rassicurarmi… ma se io gioco difficilmente con i miei soldi, figurarsi se potrei mai farlo con quelli degli altri: così dissi di no!

Nei due o tre giorni seguenti Marco aveva guadagnato ulteriormente sui due rivali… ed io, dopo ogni arrivo, dicevo all’amico. “Si può solo sparargli…” e Lui che era il solo che capiva anche se lo dicevo in presenza d’altri, mi rispondeva…
«Vedrai… e comunque, più Lui vince e più ci si avvicina a Milano… più le quote degli altri salgono…»

Personalmente sono convinto che neppure Lui sapesse dove stava il trucco… cioè se, per fare un esempio, lo avrebbero fatto cadere, o se… uno spettatore impazzito gli avrebbe dato una martellata… ma era Certo che Marco NON avrebbe vinto!…

Il sabato, il giorno del blitz a Madonna di Campiglio, non erano ancora le otto e chiesi di andare in doccia, mi preparavo per il colloquio… il tempo che mi aprissero e una volta in corridoio, nel tragitto per arrivare alla sala docce, dovevo passare anche davanti alla cella di quell’amico che, vedendomi, ancor prima di salutarmi, mi disse:
«Hai sentito la tv?… C’è stato un blitz dell’antidoping al Giro… Hanno fermato Pantani… ripartiranno senza di Lui!…»
Mi sono detto “ecco dove stava il trucco”!… ma per non far capire nulla a nessuno, fossero essi detenuti o guardie, dissi solo “Mi dispiace…” ma ora devo andare a prepararmi per il colloquio… del resto, se per qualche conoscente a Napoli non era troppo difficile truccare qualche partita di calcio… figurarsi quanto poteva essere semplice impedire al più forte di vincere!… e queste, credimi, non sono supposizioni!!!…

Mia Cara Signora, io non posso dirti quello che non so, ma È Certo che 4 o 5 giorni prima di Madonna di Campiglio sono stato consigliato vivamente di puntare contro il Tuo Ragazzo perché, poteva vincere Gotti, o Jalabert… o, al limite, chiunque altro… ma Pantani non sarebbe arrivato a Milano in maglia rosa!!!

Questi sono i fatti che ho raccontato anche al giudice di Trento!…
Mi spiace che la mia testimonianza non sia approdata a nulla!!… 
Sia perché avrei tanto voluto salvare l’Onorabilità di un Grande Sportivo qual è stato Marco… ma ancor più perché mi sono convinto (ma questa sì, che è solo una… drammatica supposizione!…) che… quell’episodio ha sconvolto la vita del Tuo Marco al punto, a quanto pare, da… consegnarlo alla droga!…

Mi rendo conto che questa mia, più che lenire il Tuo Dolore… finirà probabilmente per acuirlo… ma Tu mi hai fatto una domanda e io non ho potuto far altro che rispondere, pur consapevole che poco o nulla avrei potuto aggiungere a ciò che ho scritto nel libro e detto al magistrato! Avrei voluto fortissimamente dirti qualcosa per aiutarti almeno in parte a Capire… anche a costo di farti contattare personalmente e non attraverso la rete!!… Purtroppo non posso farti clamorose rivelazioni su quello che non conosco!!!

Ritienimi sempre a Tua completa disposizione per qualunque cosa!… e se un domani riuscissi a saperne di più… anche solo per dare a Te personalmente le risposte a quel che Ti angoscia… Sarà mia premura riferirtelo, hai la Mia Parola!!! Ti Saluto e Ti Abbraccio Unitamente a Thomas e alla Tua Famiglia Tutta. Con Stima ed Amicizia…


Fonte:  da srs di Renato Vallanzasca  (16 novembre 2007)


(VR giovedì 26 febbraio 2010)



giovedì 25 febbraio 2010

Simeon della Riva dell’Isolo


Simeon della Riva dell’Isolo con la so consorte


Verona: Nel 1409, nasce la contrada dell’Isolo, divisa a sua volta  in Isolo Superiore e Isolo Inferiore
C’acqua era nella Verona Antica il motore di ogni commercio e industria, specialmente della più fiorente di Verona, quella del legname, con scafi, segherie e laboratori vari Gia al tempo  del libero comune esisteva una Corporazione (o mistir)  dei Radaroli veronesi, con un loro Statuto  del 1260. I radaroli o satari ( da ratis= zattera) erano i conduttori  di zattere.
Uno degli scali principali era quello di Santa Maria in Organo, sul quale gli Olivetani avevano un diritto di Ripatico.
Come é nato il Simeon?..... un'iscrizione lo dice proveniente dall'Isolo e appartenente al mistier dei radaroli, comperato per loro uso dal massaro Randolfine, sotto la gastaldia di Simeon de la Riva dell'Isolo, nel 1326.
Eccolo il Simeon, vivo quanto mai, cittadino dell'Isolo e capo di tutta l'attività che si svolgeva qui sulla sua epoca (l'epoca di Dante e di Cangrande...).
Proprio uno di noi anche se vissuto sei secoli fa.
Non é un nobile, non é un industriale, ma un capo d'arte umile come i suoi amministratori, eletto da loro democraticamente. Senz'altro anche lui un radarolo, forse sataro, forse segato, diventato con i suoi mezzi qualcuno. Quale simbolo migliore per il nostro buon popolo, per un rione che ha sempre cercato di difendere con i denti le sue tradizioni di laboriosità, mal rassegnandosi a diventare una zona residenziale!
E su questa figura storica Veronetta poté così costruire la sua maschera che ebbe fortuna e continua ad averne perché come tutte le cose reali, ha le sue radici nell'animo del popolo e nelle sue tradizioni.

Fonte: circoloveronetta.it

mercoledì 24 febbraio 2010

Pakistan – Latore. Avvocati musulmani: “bruceremo vivo” chi difende la 12enne cristiana uccisa



Nessun legale intende assumere la difesa di Shazia Bashir, la giovane domestica uccisa dal suo datore di lavoro. La potente associazione degli avvocati di Lahore, schierata a difesa dell’assassino, lancia minacce di morte e impedisce l’accesso all’aula di tribunale. Associazione cristiana: condanniamo questa nuova forma di terrorismo.

Islamabad (AsiaNews) – A causa delle minacce lanciate dalla potente Lahore Bar Association – organizzazione che riunisce i legali della città – nessun avvocato cristiano o musulmano è pronto ad assumere le parti della difesa nell’omicidio della 12enne Shazia Bashir. È quanto denunciato ieri da un’associazione cristiana pakistana che si occupa di assistenza legale.

La ragazza, di fede cristiana, è morta il 23 gennaio scorso in seguito alle violenze – anche sessuali – inflitte dal suo datore di lavoro, un ricco e potente avvocato musulmano di Lahore. Il presunto assassino, Chaudhry Mohammad Naeem, è un ex-presidente della Lahore High Court Bar Association. La giovane, di soli 12 anni, negli ultimi sei mesi aveva lavorato come domestica nell’abitazione di Naeem.

Il Centre for Legal Aid Assistance And Settlement (Claas) denuncia l’impossibilità di accedere all’aula del tribunale dove si sono svolte le udienze a carico dell’imputato, perché un gruppo di avvocati musulmani (nella foto) ne ha “impedito l’ingresso”. L’associazione che si batte – a titolo gratuito – per la difesa dei diritti dei più poveri ed emarginati ha subito le minacce di migliaia di legali – amici dell’assassino – che promettono di “bruciare vivo chiunque voglia rappresentare la vittima in tribunale”.

M. Joseph Francis, direttore di Claas, chiede a membri della società civile, leader politici e religiosi di ribellarsi e assumere in prima persona l’iniziativa per “condannare questa nuova forma di terrorismo” ad opera di avvocati che “dovrebbero garantire la giustizia”. Il quotidiano pakistano The News riferisce che il 4 febbraio scorso la polizia ha condotto l’imputato davanti ai giudici fra “rigide misure di sicurezza”. E, come di consueto, gli agenti hanno impedito ai giornalisti e ai parenti della vittima di entrare in aula per “motivi di sicurezza”.

I familiari di Shazia Bashir non hanno potuto accedere al tribunale non una, ma tre volte; un fatto anomalo, per quanto concerne il sistema giudiziario pakistano. Gli ufficiali di polizia spiegano che “non sarebbe possibile” impedire scontri e violenze, nel caso in cui “i parenti di Shazia e i rappresentanti delle minoranze entrassero in aula”.

Nel frattempo Ashgar Ali, titolare dell’inchiesta, ha chiesto la comparizione dell’imputato davanti ai giudici e un prolungamento dei termini di custodia cautelare per altri sei giorni. Il magistrato aggiunge che non è ancora stata recuperata l’arma usata per il delitto e l’accusato potrebbe fornire i nomi dei complici, che hanno partecipato alle torture e all’omicidio della 12enne cristiana. Il tribunale, tuttavia, ha accolto in parte la richiesta, disponendo solo quattro giorni di carcere.


Fonte:  srs di Fareed Khan;  da AsiaNews.it del 06 febbraio 2010





Egitto: Restaurato il più antico monastero del mondo




L'Egitto ha completato il restauro del monastero cristiano reputato il più antico del mondo, chiamato di Sant'Antonio.
Il monastero è reputato avere 1.600 anni. Il costo del progetto di restauro ha superato $ 14 milioni, sponsorizzato dal governo, e ha richiesto più di otto anni.
Il monastero è un luogo importante per i pellegrini cristiani copti.
Il restauro viene subito dopo l'incidente più grave in Egitto di violenza settaria in un decennio, quando sei copti sono stati uccisi nella notte di Natale.
La corrispondente BBC dal Cairo Yolande Knell dice che si spera che il monastero recentemente restaurato nella città di Suez si dimostri come un segno di convivenza tra la maggioranza musulmana d'Egitto e la minoranza cristiana.

Parlando del sito, il capo archeologo d'Egitto Zahi Hawass ha sottolineato che i lavori di restauro presso il monastero sono stati effettuati da parte dei musulmani. "L'annuncio che stiamo facendo oggi dimostra al mondo quanto siamo desiderosi di restaurare i monumenti del nostro passato, siano essi di cultura copta, ebraica o musulmana, " ha dichiarato Hawass.
Sant'Antonio si stabilì in una caverna nelle montagne remote vicino al Mar Rosso, alla fine del III secolo, a vivere in isolamento. Quando morì, i suoi seguaci costruirono il monastero e lo intitolarono al suo nome.
Il progetto ha restaurato un antico muro, una torre, due chiese principali e i quartieri dei monaci.


Fonte:  news.bbc  (5 Febbraio 2010)

(VR 24 febbraio 2010)

BARDOLINO DI VERONA: Resti romani tra gli scavi
 ma i parcheggi non si fermano




In Consiglio l’indicazione della Soprintendenza di proteggere l’area e ricoprire.  Dietro l’ex chiesa della Disciplina possono proseguire i lavori Verranno ricavati 80 box auto sotterranei da mettere in vendita
                             
La conferma arriva dalla Soprintendenza per i Beni archeologici del Veneto. Nell'area alle spalle dell'ex chiesa della Disciplina, dove sono in corso lavori per la costruzione di una ottantina di box auto sotterranei, «è stato individuato un complesso di strutture abitative romane d'interesse archeologico». Il ritrovamento fa seguito a quello segnalato lo scorso agosto dalla stessa ditta proprietaria, in parte, dell'area: la Rio San Severo srl dei fratelli Gianfrancesco e Carlo Mantovani.

In quella occasione furono ritrovati una moneta e alcuni frammenti sempre risalenti al periodo romano. Il tutto fu catalogato e portato via, sul posto non rimase nulla d'interesse anche perché si trattava solo di un'appendice di una possibile villa che si estende in un altro appezzamento, a fianco delle scuole medie. Con la ripresa dei lavori, in autunno, si è arrivati alla scoperta di altri reperti, com'è emerso in consiglio comunale grazie all'interrogazione avanzata dal rappresentante della Lega Nord Pierangelo Zorzi.

A dir il vero nell'occasione il sindaco Ivan De Beni non è stato prodigo d'informazioni limitandosi a leggere, in risposta all'interrogazione, la relazione predisposta dagli uffici comunali competenti in materia. Nello specifico, il consigliere di minoranza della Lega Nord chiedeva se durante i lavori erano stati ritrovati manufatti archeologici per poi addentrarsi in aspetti più tecnici, a partire dalla corretta dizione riportata nell'oggetto del permesso di costruire rilasciato alla ditta Rio San Severo srl. Ma non solo. Pierangelo Zorzi ha avanzato anche richieste di delucidazioni in merito alla costruzione dell'ottantina di autorimesse sotterranee, che risultano libere da qualsiasi vincolo residenziale. In due parole autorimesse in vendita a libero mercato a chiunque e non solo a chi vive in paese.

«L'area interessata dall'intervento ricade parte in centro storico zona A del Prg e parte in zona di completamento C1, pertanto la dizione riportata nell'oggetto del permesso di costruire appare corretta», ha risposto il sindaco Ivan De Beni, che in merito alla liceità della costruzione dei garage sotterranei si è appellato alle varianti parziali degli ultimi anni per i centri storici, che consentono «la realizzazione di autorimesse interrate nelle aree scoperte di pertinenza degli edifici».

Quanto ai ritrovamenti, la Soprintendenza ha autorizzato «la rimozione delle strutture di età romana rinvenute nella proprietà Mantovani Rio San Severo», a patto che «la demolizione della struttura avvenga con il controllo di operatori specializzati in scavo archeologico e che le paratie e le opere di sostegno del parcheggio siano precedute da adeguati interventi di protezione delle strutture archeologiche individuate».

Fonte: srs di Stefano Joppi  da  L’Arena di Verona di Martedì 23 Febbraio 2010;   PROVINCIA,  pagina  34


martedì 23 febbraio 2010

I misteri della vita di Tutankhamon



È stato eseguito il primo studio del DNA mai condotto su antiche mummie reali egizie. Apparentemente ha risolto molti misteri su Tutankhamon, tra cui come morì, chi fossero i genitori, e altro ancora. Oltre alla sua sono state esaminate 15 mummie, di cui 10 sospettate di essere suoi vicini parenti.

La morte di Tutankhamon


La maschera funebre d'oro di Tutankhamon (Kenneth Garrett, National Geographic)

Lo studio ha mostrato che il giovane faraone fosse fragile, afflitto dalla malaria e da una malattia alle ossa. E la sua salute venne forse compromessa anche dall’incesto dei genitori.

Gli esami del corpo di Tutankhamon hanno rivelato deformazioni precedentemente sconosciute nel suo piede sinistro: soffriva di piede equino e del morbo di Köhler che, limitando l’afflusso di sangue agli arti, causò la necrosi, o morte, del tessuto osseo.  Il genetista della University of Tübingen Carsten Pusch dice: “La necrosi è sempre cattiva, perchè significa che hai materia organica morente nel tuo corpo”.

Ciò sarà stato doloroso e avrà costretto Tutankhamon a camminare con un bastone (ne sono stati trovati più di 130 nella sua tomba), ma non sarebbe stata una minaccia mortale.

Lo era invece la malaria.

Gli scienziati hanno trovato del DNA di più specie di parassiti che causano la malaria tropica, la forma della malattia più virulente e mortale.    “Non era un faraone molto robusto. Non correva sui cocchi”, dice Pusch. “Immaginatevi invece un ragazzo fragile e debole che aveva un po’ di piede equino e aveva bisogno di un bastone per camminare”.  “L’unione tra consanguinei non è un vantaggio per la forma fisica. Normalmente la salute e il sistema immunitario sono ridotti e le malformazioni aumentano”.

Incisione su avorio di Tutankhamon col bastone, e sua moglie Ankhesenamon (Kenneth Garrett, National Geographic)

Insomma Tutankhamon contrasse molteplici infezioni di malaria che indebolirono un sistema immunitario già compromesso dall’incesto dei genitori, e che interferirono con la guarigione del piede. Inoltre proprio a ridosso della sua morte si fratturò il femore sinistro (che infatti non fece in tempo a guarire).  Finora le ipotesi sulla sua morte avevano incluso un incidente durante la caccia, un’infezione del sangue, un colpo alla testa e l’avvelenamento. In ogni caso, è improbabile che fosse stato assassinato.

Tutankhamon fu faraone durante il Nuovo Regno. Salì al trono all’età di nove anni, ma regnò solo dieci anni prima di morire a diciannove anni intorno al 1324 a.C.  Nonostante il breve regno, è forse il faraone più conosciuto grazie al gran numero di tesori trovati nella sua   intatta   tomba nel 1922.

Akhenaton era il padre di Tutankhamon

Identificando le sequenze genetiche comuni nel cromosoma Y (quello passato di padre in figlio), i ricercatori hanno determinato che la mummia finora conosciuta come KV55 è il “faraone eretico” Akhenaton, e che questi era il padre di Tutankhamon.

Vengono dunque scartate le ipotesi Smenkhkhara e Amenhotep III.  Amenhotep III era il nonno di Tutankhamon . La sua mummia era conosciuta come la KV35.

I due feti nati morti e sepolti con Tutankhamon sarebbero stati proprio le figlie di questi. Vennero procreate con la regina Ankhesenamon, la cui mummia potrebbe anch’essa essere stata finalmente identificata.

La regina Tiye è la moglie di Amenhotep III nonché la nonna di Tutankhamon.  La sua mummia era precedentemente conosciuta come Elder Lady (KV35EL).  L’dentità della madre di Tutankhamon è ancora un mistero. Probabilmente non era Nefertiti

La mummia della madre di Tutankhamon viene chiamata Younger Lady (KV35YL). Stando alle analisi del DNA, era figlia di Amenhotep III e di Tiye, e di conseguenza era sia sorella che moglie del suo marito Akhenaton.

La sua identità rimane comunque un mistero. Secondo alcuni egittologi era Nefertiti, ma le nuove scoperte sembrano contraddire quest’idea: nei resoconti storici Nefertiti non era imparentata con Akhenaton; la madre di Tutankhamon invece sì.

Questa era forse una moglie ’secondaria’ (Hawass crede che sia Kiya) oppure una concubina di Akhenaton (il che non sarebbe certo una cosa strana).

La mummia Younger Lady (Kenneth Garrett, National Geographic)

Akhenaton non era androgino (né tanto meno ermafrodito)

Akhenaton (Richard Nowitz, National Geographic Stock)


 Un’altra congettura è quella per cui Akhenaton aveva una malattia genetica che gli fece sviluppare le caratteristiche femminili presenti nelle sue statue (fianchi larghi, pancione, ginecomastia).  Ma siccome lo studio non ha rilevato anormalità di questo tipo, i ricercatori hanno concluso che quelle caratteristiche vennero create durante il suo regno per motivi religiosi e politici.

Nell’Antico Egitto Akhenaton era un dio. Hawass spiega: “Le poesie dicono di lui: ‘tu sei l’uomo, e tu sei la donna’. Ecco perchè gli artisti mettevano l’immagine di un uomo e di una donna nel suo corpo”.
L’egittologo John Darnell, della Yale University, propone nel suo libro Tutankhamun’s Armies che l’apparenza androgina di Akhenaton nell’arte fosse un tentativo di associarsi ad Aton, il dio creatore originale che non era né maschio né femmina.


Un bellissimo DNA



La qualità generalmente buona del DNA di tutte queste mummie reali ha sorpreso molti ricercatori. Il team sospetta che il metodo di imbalsamazione usato per preservare il corpo abbia involontariamente protetto anche il DNA.  Gli scienziati sono stati in grado di creare un albero genealogico di 5 generazioni.


Zahi Hawass commenta: “È l’inizio di una nuova era. Sono molto felice che sia un progetto egiziano, e sono molto orgoglioso del lavoro che abbiamo fatto”.

Lo studio è pubblicato sul Journal of the American Medical Association.

Fonte:  Il Fatto Storico del  17 febbraio 2007

Fonte:  National Geographic; Discovery
Link:  http://news.discovery.com/archaeology/king-tut-dna-lineage.html



I misteri della vita di Tutankhamon/2



Pochi giorni fa sono stati pubblicati sul Journal of the American Medical Association i risultati del primo studio del DNA mai condotto su 16 mummie reali egizie
Tra i vari risultati è stato ricostruito l’albero genealogico di Tutankhamon (figlio di Akhenaton e nipote di Amenhotep III) e ne sono state identificate le cause di morte (incesto dei genitori che aggravò il sistema immunitario e causò deformazioni quali piede equino e morbo di Köhler, poi malaria e frattura del femore).

In una conferenza stampa tenutasi mercoledì, Zahi Hawass ha svelato nuovi elementi sul lignaggio di Tutankhamon e sulla sua morte.

Hawass ha confermato le conclusioni principali dello studio e dice che il padre di Tutankhamon era verosimilmente il “faraone eretico” Akhenaton (che quindi non ne era il fratello), il cui corpo è ora quasi certamente identificato con la mummia KV55.

A sostegno di ciò ci sarebbe un blocco di calcare (ricomposto proprio da Hawass nel 2008) con incisi Tutankhamon e Ankhesenamon seduti insieme. Il testo identifica Tutankhamon come “Figlio carnale del re, Tutankhaten (king’s son of his body, Tutankhaten)”; mentre sua moglie Ankhesenamon come “figlia carnale del re, Ankhesenaten”.

Hawass identifica (forzatamente?) Ankhesenaten con Akhenaton e lo identifica come padre anche di Tutankhamon.

La madre di Tutankhamon, la cui identità è ancora dubbia, era la mummia nota come “Younger Lady”, sepolta nella tomba di Amenhotep II (KV 35).

Nella stessa tomba è stata trovata la mummia “Elder Lady”, che può ora essere definitivamente identificata come la nonna di Tutankhamon, la regina Tiye.

Hawass aggiunge che probabilmente Tutankhamon morì a causa delle complicazioni risultanti da una grave forma di malaria: “Abbiamo trovato prove dal DNA che dimostrano che aveva una forma di malaria molto grave. Era malato, debole, camminava col bastone”.  “Quando aveva 19 anni e la malaria, cadde [fratturandosi il femore]… Quando cadde, ed era debole a causa della malaria, morì”.

Il professore di radiologia Ashraf Selim, autore dello studio, afferma che la malaria potrebbe essere stata proprio la causa di morte: “Il tipo di malaria trovato è ciò che a volte è detto una malaria maligna dato che la più pericolosa di tutti i tipi e certamente potrebbe averlo condotto alla sua morte”.

In ogni caso Selim non esclude altre cause: “La frattura del suo femore potrebbe aver avuto complicazioni come setticemia (infezione del flusso di sangue) ed embolia lipidica (grasso nel sangue che arrivava ai polmoni). Entrambe possono condurre alla morte di un individuo”.


(Reconstruction by Elisabeth Daynhs; photograph by Kenneth Garrett; copyright; June 2005 National Geographic magazine)

Ci sono però alcuni esperti che hanno espresso cautela e scetticismo, e dubitano che malaria e necrosi dell’osso possano aver causato il decesso di Tutankhamon.

Frank Rühli è a capo dello Swiss Mummy Project all’Università di Zurigo e ha partecipato alle TC eseguite su Tutankhamon nel 2005.

Il lavoro è stato importante e dimostra il valore di moderne tecnologie come la TC e le analisi molecolari. Tuttavia, bisogna essere cauti nell’esprimere diagnosi mediche definite. C’è ancora una serie di possibili cause di morte che avrebbero potuto interagire: l’infezione dell’osso è possibile, ma senza gli organi interni questa valutazione sarà sempre incompleta. Dal punto di vista medico la presente condizione della mummia non ci permetterà mai di escludere di escludere tutte le possibilità.

Stephen Buckley, dell’Università di York; lavora alla tomba KV35.

È sorprendente che il DNA possa sopravvivere in queste mummie date le severe condizioni di cui sono stati oggetto questi corpi negli ultimi 3000 anni. Mi riferisco, per esempio, ai metodi di imbalsamazione, le temperature relativamente alte e gli ambienti ossidanti. Se tutto va bene, esami approfonditi indipendenti e più accurati eseguiti da esperti di DNA antico potrebbero aiutare a spiegare questi sorprendenti risultati.

Gino Fornaciari, direttore della divisione di paleopatologia all’Università di Pisa.

È uno studio scientificamente rigoroso. Effettivamente quel tipo di malaria potrebbe aver causato la sua morte. In ogni caso, la diagnosi della necrosi dell’osso non è chiara dalle immagine pubblicate.  C’è anche la possibilità che la necrosi fosse stata causata dall’infezione della malaria.

Sanjeev Krishna, professore di medicina e parassitologia molecolare alla St George’s, University of London.

Se hai il parassita (della malaria) e arrivi all’età di 19 anni, è probabile che tu abbia sviluppato una qualche immunità.


Fonti: Il Fatto Storico del 19 febbraio 2010

Fonti: Discovery;

The Times;


Al Ahmra.



***

Aggiornamento: Antonio Crasto fa notare che l’analisi del DNA ha dimostrato che la mummia KV55 appartenesse al padre di Tutankhamon, ma non può svelarci la sua identità.

Hawass sostiene che fosse Akenhaton (e non Smenkhkhara o Amenhotep III) per via dell’incisione sopra citata; tuttavia Tutankhaton e Ankhesenpaaton (futuri sposi Tutankhamon e Ankhesenamon) sono detti figli carnali di re, ma non figli carnali di uno stesso re.

(VR  23 febbraio 2010) 








lunedì 22 febbraio 2010

Attilio Benetti (el Tilio): Il cercatore di tesori pietrificati della Lessinia


El Tilio

Verona. Che si tratti di tradizioni o di reperti fossili, per Attilio Benetti la montagna veronese non ha segreti:Vive in un contrada di Campolsivano l’esperto di paleontologia riconosciuto da premi internazionali: E non è certo una casualità se il brachiopode più grande  rinvenuto al mondo  è stato battezzato con il suo nome
Dietro ad un grande paleontologo, si nasconde un semplice segreto: la curiosità. Quel  sano desiderio di conoscenza  che, ormai da ottantasei anni, accompagna le giornate di Attilio Benetti.

«Al mondo devi sempre essere curioso,  altrimenti non scoprirai mai niente» sostiene infatti chi curioso lo è oggi, che è un affermato studioso di paleontologia riconosciuto da premi internazionali, e lo era  anche ottant'anni fa, quando ha cominciato a esplorare ogni angolo della Lessinia alla ricerca di tesori pietrificati.

Una passione «nata quando avevo appena cinque anni» racconta Benetti, nella sua casa di Camposilvano, a pochi chilometri da Velo Veronese.  Un luogo apparentemente isolato, ma aperto alle meraviglie del mondo, nel quale fanno mostra libri (per di più ricercati) e cataloghi scritti in diverse lingue, assieme ai più svariati reperti provenienti dalla montagna scaligera, ma non solo.
Non ultimo un computer, con tanto di collegamento internet, tecnologie indispensabili per  raccogliere  informazioni  e diffonderle   agli appassionati.

«Mio padre aveva fatto una strada nel bosco e, nello scavo, sono affiorati fossili e ammoniti. Allora si diceva fossero serpenti fossilizzati dalle acque del Diluvio Universale...» ricorda l'esperto, ripensando a quando iniziò a muovere i suoi primi passi come paleontologo. Un interesse cresciuto nel tempo: studiando da autodidatta, andando alla ricerca di nuovi reperti da catalogare, recandosi a congressi internazionali per esporre le proprie relazioni, pubblicando articoli su riviste specializzate, scrivendo volumi di interesse scientifico e culturale. «È stata veramente dura», ammette: «Allora avere un libro era un affare serio!».

Alla curiosità, però, non si resiste nemmeno davanti alle difficoltà e Attilio Benetti ha fatto dell'attività di ricerca, studio e conservazione di reperti la propria ragione di vita. Con determinazione che lo accompagna ancora adesso.
«Ogni scoperta, sul momento, mi da soddisfazione», rivela. «Ma sul momento... Altrimenti non farei più niente!». Anche i ritrovamenti più piccoli hanno grande valore. E così, guidato da questo spirito, ha individuato diversi nuovi generi e centinaia di specie fossili. Pure il brachiopode più grande fino a ora scoperto, proprio dallo studioso della Lessinia, è stato battezzato a suo nome. Gli esemplari più interessanti? Le ammoniti, fossili guida del Mesozoico: le ultime sono state trovate ai Parpari, scavando con pazienza, ma è con l'esperienza che impari a conoscere, ad un primo sguardo, ciò che una roccia può contenere.

Malgrado quanto si possa pensare, in gioventù Attilio Benetti non è stato quello che si può definire un alunno modello. «Ho frequentato fino alla terza elementare. Andavo a scuola solamente quando pioveva...» dice, confessando che quando era giovane preferiva ai banchi di scuola le mattinate all'aria aperta sul  Monte Purga di Velo. «A quell'età già sapevo leggere e scrivere. Mi seccava sentir ripetere cose che conoscevo». Merito della nonna e dei genitori che, pur abitando in una sperduta contrada di montagna, amavano la lettura e hanno trasmesso questa passione al figlio: «Papà era appassionato di storia. La mamma di geografia, letteratura e poesia: recitava a memoria Dante e Ariosto. La nonna mi raccontava fiabe, assieme a segreti sulla medicina popolare». Un ambiente stimolante, sebbene lontano da quello dei coetanei: «Gli altri ragazzi mi sembravano tutti “insulsi” - sottolinea scherzando -. Se ne stavano lì, a giocare con le biglie...».
Così, ai giochi da bambini, lo studioso-autodidatta ha iniziato a preferire la cultura come testimonia la sua ricchissima biblioteca. Un esempio? Solo sulle ammoniti possiede una raccolta da far invidia a un’università: conta ben 1.300 libri.

Nato in una contrada di Camposilvano, Attilio Benetti (che nei dintorni conoscono tutti come “Tilio”) è stato in Jugoslavia, Grecia, Albania e in Germania come prigioniero. Ha fatto l'operaio in Belgio, Francia e Inghilterra. Ma, alla fine di ogni viaggio, è sempre ritornato sui Lessini, un territorio con il quale conserva un legame speciale. Forse perché, accanto alla sua abitazione, sorge il Museo che ha fondato oltre trent'anni fa quando gli hanno proposto di rendere accessibile al pubblico la sua collezione. Nella sede museale si possono vedere minerali, calcari, ammoniti, insetti, vegetali pietrificati. Fossili dai nomi curiosi (almeno per chi non è del mestiere) come lamellibranchi, gasteropodi, nautiloidi, pesci macroforaminiferi... Esemplari perfettamente conservati e provenienti, per la maggior parte, dalla montagna scaligera. Basta percorrere pochi passi e qui attorno «c'è molta vita - conclude, lasciando intendere parecchio della vitalità che lo contraddistingue -, ma rimane ancora molto da scavare e da scoprire...».

Marta Bicego marta.bicego@giornalepantheon.il


Il Museo geopaleontologico di Camposilvano





La nascita del Museo geopaleontologico di Camposilvano è legata a due aspetti: da una parte alla storia geologica che caratterizza la zona dei Monti Lessini veronesi e, dall'altra, all'attività di ricerca compiuta negli anni da Attilio Benetti. A Benetti (con il sostegno dell'allora direttore del Museo di storia naturale di Verona, Lorenzo Sorbini) si deve infatti creazione del Museo, avvenuta ne11975. La sede (inaugurata nel 1999) è accogliente: ospita oltre una ventina di teche che accompagnano i visitatori in un viaggio alla scoperta della paleontologia e della geologia. A partire dai minerali provenienti dalla montagna veronese, ai fossili e alla spiegazione del processo di fossilizzazione. Il percorso espositivo prosegue con resti vegetali e reperti appartenenti a diversi periodi geologici, fino al Quaternario e alle prime testimonianze della presenza dell'uomo  primitivo nel territorio. Accanto al Museo è stata realizzata una  struttura polifunzionale adibita a laboratorio-deposito per lo studio  dei reperti.

Per informazioni: telefono e fax 045.6516005
e-mail fossili.camposilvano@libero.it.
sito internet:  http://www.lessiniapark.it

.

Attilio Benetti testimone della Lessinia




L' incontro con l'ardente cantore della Lessinia Attilio Benetti in occasione della festa del fuoco, magica notte di S.Giovanni, celebrata a Ljetzan - Giazza il 24 Giugno 1998, mi ha lasciato il desiderio di farmi raccontare qualcosa sull'esperienza ed il pensiero maturato da questo settantacinquenne con lo sguardo curioso di fanciullo.

Una mattina di Luglio parto con la mia amica Clara, originaria di questi luoghi, verso il Covolo di Camposilvano di Velo Veronese per una chiaccherata e una visita al Museo dei fossili della Lessinia, da Attilio fondato, diretto e amorevolmente curato. Parliamo liberamente, Clara in dialetto, e subito scopro che Attilio è amico del mio professore di liceo Marcello Bondardo, studioso e autore di un dizionario sul dialetto veronese.

Come si è avvicinato alla Paleontologia?

Da piccolo, a cinque anni, me ne andavo nel bosco, e lì raccoglievo fossili di animali, serpenti. Li classificavo così: se era piccolo dicevo che un lombrico, più grande era un pitone, non è poi così strano, anche nel settecento facevano in questo modo. Era una passione, avevo sentito che alcuni aviatori russi sorvolando il monte Ararat avevano avvistato i resti dell'Arca di Noè, e pensavo che un giorno avrei voluto partire per ritrovarli.

Come avvenne il Diluvio Universale?

Universale si riferisce a tutto il mondo allora conosciuto, il Tigri e l'Eufrate spazzarono via tutto con grande potenza, come ci racconta la Bibbia; sono stati ritrovati gli strati relativi al diluvio, e sotto c'erano le ceramiche a dimostrare l'insediamento umano precedente.

Che animali trasportava l'Arca?

Non tutti, furono salvati dall'estinzione quelli che non c'erano nelle altri parti del mondo.

Pensa che il Diluvio Universale sia stata una punizione divina?

Io penso di sì, Sant'Anselmo d'Aosta diceva che Dio è la cosa più grande che esiste, ma la nostra colpa è che non sappiamo rispettare la natura. La natura ha il metodo di salvarsi, le cavallette si moltiplicano ma dopo un periodo di distruzione spariscono, altrimenti distruggerebbero tutto il mondo, quindi la natura si difende, si difende da noi: che ad esempio ci moltiplichiamo troppo, come possiamo stare bene?

Come vede la condizione della donna?

Il problema della donna è la maternità; ad un certo momento sente il bisogno di avere un figlio. L'uomo, per certe ragioni culturali e sociali esce di più, ha più credito parlando con gli altri. La donna per realizzarsi dovrebbe aspettare ad avere dei figli, e trovare prima la propria strada.

Cosa pensa della scienza moderna, della divisione in specializzazioni distaccate da una concezione filosofica generale?

Oggi c'è un ritorno ad un sapere più vasto, anziché “le cose stanno così”, si comincia a dire “potrebbe essere così, ma potrebbe anche essere in un altro modo”. Vediamo l'esempio della medicina popolare, è stata abbandonata, adesso si comincia a rivalutarla.

La medicina popolare mi fa pensare alle streghe. Erano forse donne che tramandavano un sapere acquisito con l'esperienza?

Sì, sì, ma allora gli uomini di chiesa non erano religiosi ma politici, e coloro che davano fastidio venivano interdetti. Per fortuna nella nostra zona questi fenomeni di persecuzione non sono avvenuti; da noi c'erano le vicinie a decidere, il vicario era uno straniero e non poteva fare il bello e cattivo tempo perché la gente del posto non l'avrebbe permesso; a Roverè un vicario con la spada sguainata requisì il cavallo ad un uomo, il vicario poi fu ucciso, ma il responsabile non fu mai consegnato.

C'era quindi qui una forma di autonomia?

Sì, la Repubblica di Venezia concedeva l'autonomia e in cambio richiedeva la sorveglianza dei confini, fu così che nacquero i trombini, si sparava qualche colpo e dall'altra parte credevano ci fosse l'artiglieria.La Repubblica di Venezia lasciava libertà perché la sua attività era sul mare, era là che c'erano i suoi interessi economici.

Suona il telefono, Attilio si accende una sigaretta, ci ritroviamo a parlare delle dipendenze:

Perché i giovani cadono nella droga, per sopperire a qualcosa che manca?

Spesso cadono per leggerezza, mancanza d'informazione. C'è anche un fatto religioso: per chi crede togliersi la vita è peccato, questo funziona da deterrente. Manca il valore della vita, anche perché molti giovani non sono abituati a sudare per trovare il cibo come succedeva in passato o come succede ancora in altre parti della terra. Oggi c'è un grande egoismo ma anche un grande altruismo, ad esempio parlando dei giovani ci sono molti che si prestano per opere di bene.

E i ragazzi che hanno gettato i sassi dal cavalcavia?

Certo non pensavano che facendo questo potevano uccidere qualcuno.

C'è un'influenza della TV?

Sì, la televisione ha portato cultura ma anche ha stimolato ad imitare dei comportamenti senza rendersi conto delle conseguenze.

Cosa pensa dell'evoluzione dell'uomo, crede ci sia una linea di progresso oppure al contrario siamo sempre peggiori?

Allora, rispetto ai tempi antichi, quello che frena i comportamenti aggressivi è la paura della legge: l'uomo se non uccide è per timore della punizione, non perché è immorale uccidere.

Lei non ha paure?

No, le paure sono cose naturali, se c'è un pericolo ho paura anch'io, ma non senza una situazione reale. Dobbiamo imparare questo: immaginare di essere seduti su una galassia e guardare giù, elaborare un distacco, che non è indifferenza, anch'io mi commuovo quando vedo una persona che soffre.

Ha frequentato la scuola?

Non ci andavo molto, solo quando pioveva o faceva freddo.

Dunque si annoiava a scuola?

Sì, quando sono andato a scuola sapevo già scrivere, mi hanno messo a fare le aste allora ne ho fatto un paio di righe, poi mi sono stancato e allora per punizione ne ho dovuto fare tre pagine.

Cosa pensa degli insegnanti?

Gli insegnanti sono molto bravi adesso, un tempo i ragazzi erano più cattivi, si facevano dei dispetti, si picchiava la maestra; un po' di ragione c'era perché gli insegnanti erano troppo severi, appena il maestro sentiva qualcuno parlare il primo che capitava veniva punito. Noi avevamo un maestro che quando si arrabbiava diventava rosso e picchiava con la bacchetta. Però c'erano anche dei buoni insegnanti, che riuscivano a stabilire un colloquio coi ragazzi, allora i ragazzi stavano calmi e seguivano la maestra perché le volevano bene.

Lei comunque ha studiato.

Io studiavo ancora prima di andare a scuola, ci trovavo piacere, e poi erano anche la condizione in cui mi trovavo, senza altri bambini della mia età che mi abitavano vicino con cui giocare, a portarmi all'interesse per i libri, la natura e le storie che mi raccontava mio padre, mio padre era un appassionato di storia e di leggende.

Conosce anche le favole popolari?

Sì, ho scritto dei libri di favole.

Lei si considera una persona sociale o antisociale?

Sono una persona sociale, non giocavo con i bambini perché non c'erano, abitavamo isolati.

Cosa pensa dell'amore?

L'Amore è una scala d'oro che ti porta in Paradiso”. Ad esempio se troviamo una persona che non ci piace noi la evitiamo, facciamo male perché questa persona forse ha sempre trovato altri che lo evitavano e si è indurito sempre di più. Io per ragioni di lavoro sono stato a Napoli negli anni '70. Ora come si può condannare chi è cresciuto nella fame, sulla strada, e soprattutto senza un'educazione? Sono passato in una bidonville e per riuscire a parlare ho chiesto la strada per l'acquario, io la conoscevo, ma questa persona parlando a fatica mi ha spiegato, poi mi ha portato dentro e ho visto la fogna a cielo aperto ed i bambini che ci camminavano scalzi.

Lei non è mai stato innamorato?

Sempre, io sono sempre innamorato, di tutte le donne, soprattutto le giovani, perché sopra i 25 anni faccio fatica ad andare d'accordo, a meno che non le conoscessi da prima.
Ho avuto una vita movimentata, sono stato sul punto di sposarmi con una ragazza, ma a lei interessava solo una casa ed i soldi, io volevo andare avanti con le mie ricerche, mi sono salvato appena in tempo. Quando si ha una vocazione non si deve farsi soffocare, bisogna andare avanti per la propria strada.

E sente la solitudine?

Io non sono mai solo, qui sono anche troppo in compagnia, ho tanti amici, di giorno passano di qua e a volte ho da fare e li devo mandare via e la sera ho sempre qualcuno che mi viene a prendere con la macchina.

Arrivano gli operai perché si sta lavorando al nuovo Museo, costruito col contributo della Comunità Economica Europea, la Comunità della Lessinia e la regione Veneto. Rinnoviamo l'appuntamento ad un incontro successivo.

Quali sono i fossili il cui ritrovamento l'ha maggiormente emozionata?

Nessuno in particolare perché ogni ritrovamento mi emoziona, ma anche non sono mai contento, non mi fermo. Ci sono alcuni fossili più interessanti, i fossili guida ad esempio, che servono a determinare l'età delle rocce. Sono come i personaggi storici, vissuti in un piccolo spazio di tempo uno di seguito all'altro, quando li troviamo riusciamo a conoscere l'età delle rocce.



Vao in tel bosco

di Attilio Benetti



Sol fogo no gh'è pì legna
e le brase le stà par morir
bisogna ben che me indegna
se no voi el fredo patir.

Vao en tel bosco co la sigoréto
anca se la neve la séita cascar
in serca se cato on qoalche foéto
che co la so legna me possa scaldar.

In tel bosco, apena son rento,
goardo qoal sia che gh'è da tajar
J'è tuti bei co le rame al vento
che me manca el corajo de siguretar.

 Gh'è me mama el me fradeleto
con me nona meda malà
j'è tuti in casa sentè sul scaneto
che i speta che mi riva là.

 No podendo farde de manco
sero i oci e scominsio a tajar
prima col drito e dopo col sanco
finchè sento la pianta cascar.



Questa poesia è tratta dal libro «Favola leggenda e realtà nei racconti dei "filò" dei Monti Lessini» di Attilio Benetti, stampato nel mese di aprile 1995 presso la Cooperativa Litotipografica Novastampa di Verona Srl - Verona

M. Bondardo, “Dizionario etimologico del dialetto veronese”, ed. Centro per la formazione professionale S.Zeno