sabato 31 gennaio 2009

IL CAPPELLO COLOR PORPORA




LE DONNE...

A tre anni Lei si guarda e vede una Regina.


A otto anni Lei si guarda e vede Cenerentola.


A quindici anni Lei si guarda e vede una Brutta sorella ("mamma non posso andare a scuola con questo aspetto qui").


A vent'anni Lei si guarda e si vede "troppo grassa/troppo magra, troppo bassa/troppo alta, con i capelli troppo lisci/troppo arricciati", ma decide che uscira' di casa lo stesso.


A trent'anni Lei si guarda e si vede "troppo grassa/troppo magra, troppo bassa/troppo alta, con i capelli troppo lisci/troppo arricciati", ma decide che non ha tempo di risistemarsi e che uscira' di casa lo stesso.



A quarant'anni Lei si guarda e si vede "troppo grassa/troppo magra,troppo bassa/troppo alta, con i capelli troppo lisci/troppo arricciati", ma dice: "almeno sono pulita", ed esce di casa lo stesso.

A cinquant'anni Lei si guarda e si vede "esistere" e se ne va dovunque abbia voglia di andare.



A sessant'anni Lei si guarda e ricorda tutte le persone che non possono piu nemmeno guardarsi allo specchio. Esce di casa e conquista il mondo.


A settant'anni Lei si guarda e vede saggezza, capacita di ridere e saper vivere, esce e si gode la vita.

A ottant'anni. Non perde tempo a guardarsi. Si mette in testa un cappello color porpora, esce per divertirsi con il mondo.



Manda questo messaggio a tutte le donne che hai la fortuna di avere come amiche.
Chissa' che non imparino ad afferrare piu' presto quel cappello color porpora!


venerdì 30 gennaio 2009

Verona, San Giovanni Lupatoto: Per l' Ex Ricamificio, è stata
una demolizione voluta



Il sindaco Maurizio Zerman



L’Arena è venuta in possesso di due fotografie che documentano la deliberata operazione di abbattimento, avvenuta lo scorso 8 ottobre
Il Comune aveva autorizzato solo la pulizia e l’intervento sugli edifici retrostanti. Chi ha dato il via alla ruspa?

L’abbattimento di metà capannone del vecchio stabilimento del Ricamificio automatico non è casuale né frutto di una manovra maldestra di una ruspa in movimento. Lo dicono chiaramente le foto di cui L’Arena è venuta in possesso.
Ad abbattere la metà del vecchio capannone di tremila metri quadrati (destinato a trasformarsi, una volta ristrutturato, nella «Fabbrica delle idee», futuro centro comunale di aggregazione culturale e associativo) è stato un intervento deliberato.
Le immagini mostrano infatti una ruspa all’opera mentre sta demolendo il tratto di capannone adiacente all’edificio degli uffici della fabbrica. L’intervento è stato messo in atto l’8 ottobre  2008, con inizio dalla prima mattinata.
Le foto mettono fine al dibattito su come metà capannone sia stato raso al suolo. Non è quindi vero che si sia trattato di un crollo per cedimento delle strutture portanti, come era stato inizialmente ipotizzato.
Non è neppure vero che a determinare la caduta sia stato un improvvido tocco di una mezzo per il movimento terra che stava ripulendo l’area circostante alla vecchia fabbrica. Si era infatti parlato di un urto a un giunto di tenuta inserito nel muro portante, giunto che, tranciato, avrebbe fatto crollare metà del vecchio opificio.
Le immagini mostrano chiaramente che la ruspa ha aggredito prima il tetto poi la parete nord-est del capannone.
Il comune, che doveva ricevere la Fabbrica delle Idee (i capannoni risistemati a centro culturale) in cambio della volumetria residenziale (40 mila metri cubi) concessa sulla rimanente aree già a destinazione industriale, dovrà ora chiarire chi abbia dato l’ordine alle ruspe di abbattere il capannone.
Il 14 ottobre scorso il sindaco lupatotino Fabrizio Zerman, rispondendo a una interrogazione del consigliere del Pd Aldo Marcolongo aveva confermato in Consiglio comunale che la caduta non era accidentale. Aveva anche tenuto a precisare che il Comune non aveva rilasciato nessuna autorizzazione per la demolizione della vecchia struttura e che, trattandosi di un abuso edilizio, il fatto era stato segnalato alla magistratura.
Il primo cittadino aveva infine reso noto che erano stati rintracciati due testimoni che avevano visto come si erano svolte le cose. Il loro racconto era stato verbalizzato dagli agenti di polizia municipale.
Resta ora da capire, alla luce delle foto, e considerato che il Comune aveva autorizzato solo la pulizia dell’area e l’abbattimento degli edifici retrostanti, come si sia potuto dare corso all’intervento sul capannone e su ordine di chi.
La ditta incaricata dovrebbe essere intervenuta su indicazione del direttore lavori o della proprietà, che è una società cooperativa. Questa società ha rilevato la proprietà dopo che il Comune ha stipulato la convenzione con il Tribunale per il piano di recupero e ristrutturazione dei terreni dell’ex fabbrica.
I fabbricati del vecchio Ricamificio ricadevano, con la casa del titolare Giusto Zweifel e i vicini campi, nell’intera proprietà entrata nella disponibilità del Tribunale di Verona a seguito della crisi finanziaria della fabbrica risalente al 1991 e successivamente acquisita dalla cooperativa.
Risulta che l’amministrazione comunale (lo aveva dichiarato il vicesindaco Giuseppe Stoppato in consiglio comunale) avesse in animo di ridurre i tremila metri quadrati della Fabbrica delle Idee, ritenendoli eccedenti rispetto alle esigenze della comunità e troppo onerosi sotto l’aspetto della gestione. Soluzione non condivisa dal centrosinistra e dagli ispiratori del progetto della Fabbrica delle Idee.
A seguito di quanto emerso nell’incontro di domenica 18 gennaio, nel corso del quale Flavio Veronesi ha dichiarato che l’abbattimento era frutto di una decisione presa in municipio la sera prima, il sindaco Zerman ha totalmente smentito questo fatto e annunciato una denuncia nei confronti di chi aveva rilasciato tali dichiarazioni.



Vogliamo realizzare
il centro culturale

«L’amministrazione comunale vuole il centro di aggregazione culturale nel vecchio Ricamificio e lo farà entro i tempi del mandato amministrativo». Le dichiarazioni sono del sindaco Fabrizio Zerman.
«Quel centro è uno dei nostri obiettivi e lo conseguiremo, del come realizzarlo si potrà ancora discutere», aggiunge il primo cittadino di San Giovanni. Zerman dice la sua anche sull’abbattimento.
«Tengo a precisare che il Comune non ha mai autorizzato alcun abbattimento del capannone che costituiva il beneficio pubblico dell’intera operazione del piruea Ricamificio», mette in chiaro Zerman.
«Era stata solo autorizzata la pulizia dell’area circostante, ovviamente senza toccare il vecchio manufatto che, secondo la convenzione sottoscritta, doveva essere risistemato a spese della proprietà e ceduto al Comune.
Ora che l’edificio è stato abbattuto per metà si pone anche un problema sull’accordo sancito». «Le foto dell’abbattimento erano già state consegnate alla Procura della Repubblica con le testimonianze raccolte dalla polizia municipale per le indagini di competenza», conclude Zerman.  (R.G).




E' bello essere donna perchè...




Sorridono quando vogliono gridare, 
cantano quando vogliono piangere, 
piangono quando sono felici, 
ridono quando sono nervose, 
lottano per quello che vogliono, 
amano senza condizioni, 
si rompono il cuore quando muore un amico, 
si accontentano delle piccole cose....
Ognuno di noi è nato da una donna, 
è il cuore delle donne che fa girare il mondo...
e non dimentichino mai
quanto siano incredibili!



Verona: Chiesa Santi Apostoli, appello alla città - la Chiesa è pericolante






TESORI IN PERICOLO. Sopralluogo nella pieve che sorge nel cuore del centro storico nella quale da tempo sono apparse crepe e parte del soffitto va in briciole, il Comune stanzia 35mila euro per i primi interventi e chiede aiuto a enti e cittadini

Per la chiesa dei Santi Apostoli il Comune ha già trovato circa 35mila euro, cui si aggiunge all’intenzione di lanciare una sottoscrizione pubblica ad aziende e privati per creare una sorta di «solidarietà cittadina» per la chiesa dei Santi Apostoli.
Come aveva annunciato fin dall’emergere del problema, l’assessore comunale all’edilizia pubblica Vittorio Di Dio non ha perso tempo, attivandosi tempestivamente per salvare dal degrado un gioiello di arte e storia della nostra città, l’antica pieve dei Santi Apostoli e il vicino sacello delle sante Tosca e Teuteria.

IL SOPRALLUOGO. E lo ha ribadito ieri mattina, quando ha effettuato un sopralluogo insieme alla commissione comunale ai Lavori pubblici: lo staff del Comune ha incontrato ai Santi Apostoli il parroco monsignor Ezio Falavegna e l’ingegner Massimo Raccosta, amministratore delegato di Technital, l’azienda che si è occupata di fare una prima valutazione sulla situazione della chiesa per indicare il lavoro necessario almeno per la messa in sicurezza dell’edificio, ed è stato poi condotto dal professor Gianni Lollis, presidente della Società Belle Arti, a visitare chiesa e sacello.
«Sono convinto della necessità che anche il Comune si attivi per salvare questo gioiello», ha detto Di Dio.
«È chiaro che il Comune non può finanziare l’intervento per una realtà privata, quale di fatto è una chiesa, ma, anche cercando nelle pieghe del bilancio, siamo riusciti comunque a reperire per il momento una cifra pari a circa 35mila euro che potrà servire come inizio del lavoro».
«E la mia intenzione è di lanciare personalmente un appello ai veronesi, privati, aziende ed enti vari, scriverò personalmente a tutti perchè tutti si sentano chiamati a salvare dal degrado questa che è una delle quattro antiche pievi della nostra città».

LE CREPE. I problemi che gravano sulla chiesa dei Santi Apostoli in realtà sono due: da una parte infatti c’è il problema del tetto della chiesa, dall’altro quello delle crepe evidenziate lungo le pareti del sacello. Per quanto riguarda la prima questione, il tetto risulta pericolante già da un paio di anni: dall’agosto 2006 per l’esattezza, quando alcuni temporali particolarmente intensi hanno evidenziato sulla volta della navata lesioni con distacchi di frammenti e film pittorici in particolare in corrispondenza alla quarta e quinta campata.
Per far fronte all’emergenza, sono state posizionate delle reti all’interno della chiesa per proteggere i fedeli, ma la situazione statica della chiesa è ancora precaria: le capriate minacciano cedimenti anche improvvisi. L’altro problema riguarda il sacello, sulle cui pareti sono apparse alcune crepe: qui sono stati posizionati dei vetrini che vengono ora monitorati per capire se le pareti siano soggette ad ulteriori movimenti.

LA COPERTURA. «La prima emergenza, quella della chiesa, comporta un intervento a carattere prevalentemente strutturale sulle strutture di copertura e di sostegno della volta di rifacimento del tetto stimabile per circa 450mila euro», ha spiegato Raccosta. «Poi sarà necessario un secondo intervento che verterà sulla volta e sul ripristino e restauro della stessa chiesa per altri 350mila euro».
«Per quanto riguarda il sacello», prosegue, «nel giro di un mese potremo capire se la situazione è ferma o si sta aggravando: e questo ci dirà se il problema è o meno legato ai lavori per la realizzazione del parcheggio in piazza Santi Apostoli. Non è difficile pensare che l’assestamento generale del terreno dovuto allo scavo abbia compromesso la stabilità del sacello».

IL PARROCO. «L’attenzione che ho avvertito per la chiesa mi ha confortato molto», spiega don Ezio. «Nel frattempo abbiamo avuto già alcuni incontri con i fedeli e si è pensato di organizzare eventi culturali (concerti, ma anche visite guidate) per raccogliere così altri fondi e insieme per far conoscere a tutta la città questo luogo che rappresenta il punto di inizio della comunità cristiana a Verona».

Fonte:srs di  Alessandra Galetto, da L’Arena di Verona di Venerdì 30 Gennaio 2009, cronaca, pagina 7

«Ma il nostro cantiere non c’entra»

«Non siamo intervenuti perchè nessuno ci ha avvisato del sopralluogo».
Luca Mantovani, titolare della ditta che sta eseguendo i lavori per il parcheggio di piazza Santi Apostoli, spiega così l’assenza di un attore fondamentale all’interno del problema relativo alla sicurezza del sacello della chiesa quale è, appunto, l’azienda Mantovani.
E aggiunge: «Da come viene in genere posta la questione, pare che noi stiamo danneggiando le chiese di Verona. Mi pare che si dovrebbe fare maggiore chiarezza: innanzitutto, il tetto della chiesa è pericolante da due anni, quindi si tratta di un problema col quale non abbiamo nulla a che fare».
«Per quanto riguarda il sacello», prosegue, «sono stati posizionati i vetrini per monitorare la situazione: se stanno fermi, anche in questo caso noi non c’entriamo nulla, se si muovono (ma questa è solo un’ipotesi) siamo pronti ad intervenire per quanto è nostra responsabilità. Le due cose però sono distinte e indipendenti».
Intanto i lavori per il parcheggio sotterraneo proseguono: la fine è prevista per la fine del 2009. Al termine dei lavori saranno disponibili 40 posti auto. All’inizio i lavori erano stati rallentati dal ritrovamento di resti romani.
(A.G.)

A RISCHIO. Il gioiello di architettura sacra è uno degli esempi più antichi della città
Infiltrazioni di pioggia e cedimenti del tetto

La chiesa dei Santi Apostoli è una delle chiese più antiche del Veneto, nata sulla fondazione paleocristiana, ed è una delle quattro pievi battesimali di Verona, già basilica nel 1077.
Originariamente a tre navate, nel 1300 venne trasformata a navata unica e nel 1705 fu rialzata e rifatta la volta della chiesa. Dell’interno originario oggi non si legge molto, poiché fu trasformato nell’aula unica odierna a partire dal secolo XVI fino al 1904, quando vennero aperte le cappelle laterali. Nell’interno della chiesa si trovano alcune opere di grande rilievo artistico.
La navata oggi è costituita da due ordini di capriate: le prime hanno sin dall’origine la funzione di sorreggere il tetto, le seconde di sorreggere la volta dipinta, ma i due ordini di capriate dovevano restare indipendenti.
Nel tempo, il secondo ordine, visti i cedimenti della copertura, fu utilizzato anche a sostegno del tetto: questo ha determinato l’assoggetarsi della volta sulla navata ai carichi e i conseguenti cedimenti di fronte a temporali. A.G.


Fonte:  L’Arena di Verona di Venerdì 30 Gennaio 2009, cronaca, pagina 7

SOLDI E MULTE. Semafori truccati, Nei guai 109 persone



Semaforo di Vago di Lavagno; uno dei semafori contestati

Avevano privatizzato il sistema delle multe. Arrestato il progettista, sequestrati gli impianti in 64 Comuni di tutta Italia. Irregolarità anche nella compilazione dei verbali, tra loro 63 funzionari di polizia locale e 40 amministratori pubblici 

I 109 indagati avevano organizzato un piano per installare in 64 comuni un sistema semaforico, fondato sulle irregolarità a partire dal modello mai omologato dal ministero, per finire alla redazione dei verbali delle multe, compilate da aziende private e non da pubblici ufficiali così come richiesto dalla legge. Sullo sfondo un giro di soldi milionario perchè l’obiettivo degli amministratori delle aziende «era quello di fare cassa». 
Ne sono convinti il sostituto procuratore Valeria Ardito, regista dell’inchiesta e i carabinieri di San Bonifacio, coordinati dal capitano Salvatore Gueli insieme ai marescialli Bruno Fera, Umberto De Luca e di Colognola ai Colli, Stefano De Rita. E ieri sono stati svolti 64 sequestri preventivi in altrettanti comuni coinvolgendo anche quelli veronesi, già noti, di Illasi, Colognola ai Colli, Caldiero e Mezzane di Sotto. Quegli impianti, a parere dell’accusa, erano taroccati e facevano durare il giallo in un tempo inferiore ai 4 secondi così come prescritto dalla legge. 

L’ARRESTO. Due sere fa, è finito agli arresti domiciliari Stefano Arrighetti, 45 anni, amministratore unico della Kria srl, l’ideatore del T red. Il dirigente è accusato di truffa: avrebbe ottenuto fraudolentemente, si legge nel provvedimento del gip Sperandio, l’omologazione del dispositivo T red dal ministero dei trasporti a Roma, 
Di più: Arrighetti avrebbe posto in errore con «alcuni artifizi e raggiri» il ministero, l’Unione dei Comuni di Verona est e almeno settemila automobilisti solo nella nostra provincia, senza contare tutti quelli degli altri paesi coinvolti nell’inchiesta. Il dirigente della «Kria srl» di Seregno nel Milanese, infine, è accusato di frode nella fornitura pubblica perchè ha fatto vendere a 64 Comuni un dispositivo T red senza che il «nullaosta» ministeriale.

I SEQUESTRI. I primi due municipi visitati dagli inquirenti furono Illasi e Colognola ai Colli, perquisiti il 24 gennaio dello scorso anno dai carabinieri anche se, in quel caso, il sequestro era solo probatorio. Con il provvedimento di due giorni fa, firmato dal gip Sperandio, la misura cautelare si è ulteriormente rafforzata, trasformandosi in «sigilli» preventivi. Si sono anche delineate le accuse a carico dei 109 indagati, tra amministratori pubblici e privati, anche se ognuno ha una posizione diversa rispetto all’intera vicenda. Nei guai sono finiti, 63 funzionari di polizia locale, 40 amministratori pubblici e 6 amministratori di società private. Nel provvedimento della procura le accuse parlano di truffa aggravata, abuso in atti d’ufficio, frode nelle pubbliche forniture, falsità materiale e turbativa d’asta.

GLI INDAGATI VERONESI. Come già noto, i veronesi indagati fino ad oggi sono due: si tratta del sindaco di Illasi, Giuseppe Trabucchi, 56 anni e il capo dei vigili urbani del consorzio Verona est, Graziano Lovato, 45 anni, residente a San Bonifacio. 
Tutti e due sono accusati di truffa, in concorso con Raoul Cairoli della Citiesse di Rovellasca vicino a Como, per aver installato in località di Donzellino di Illasi all’incrocio tra via Stra e via Montanara e in via Filzi sulla Provinciale 10 in val d’Illasi, un semaforo intelligente che faceva scattare automaticamente il rosso se il veicolo superava una certa velocità. In tal modo, sostiene l’accusa, la durata del giallo era inferiore ai quattro secondi ed impediva l’arresto del veicolo in condizioni sicure.

I VERBALI «PRIVATIZZATI». C’è poi il lungo capitolo delle verbalizzazioni delle decine di migliaia di multe agli automobilisti di mezza Italia. Qui gli inquirenti fanno un discorso chiaro: l’unico che può compilare il verbale è il pubblico ufficiale. E in quei 64 comuni, ciò non è avvenuto. In pratica, la Citiesse di Rovellasca vicino a Como, aveva incaricato due aziende, la Maggioli spa di Sant’Arcengelo di Romagna e la Traffic Tecnology di Marostica di redarre i foglietti gialli e di inviarli ai multati senza, sostiene l’accusa, alcun controllo dei vigili urbani. 
Si arrivava così al già noto fenomeno di 200 verbali compilati nel giro di pochissimi secondi. In tal modo, si commetteva il reato di falsità materiale perchè non era il vigile, sottoscrittore della multa, a compilare il verbale bensì un dipendente di un’azienda privata.

APPALTI TRUCCATI. L’ultimo capitolo dell’inchiesta, infine, riguarda gli appalti e rappresenta forse la parte più delicata dell’inchiesta e, soprattutto, non conclusa. 
A parere dell’accusa, i 64 comuni coinvolti avrebbero concesso alla Citiesse la fornitura dei T red, violando le norme sulle gare pubbliche. 
Alcune amministrazioni avrebbero addirittura preparato dai bandi di gara ai quali poteva corrispondere solo l’azienda di Como. 
Altre poi avrebbero promosso una trattativa privata per importi sotto i 20mila euro (limite oltre il quale bisogna indire una gara d’appalto) quando poi stipulavano contratti con la Citiesse per importi ben superiori.


T-red, Verona rinuncia:
 Il Comune scaligero aveva stanziato 250mila euro, soldi girati a telecamere per le corsie preferenziali

Anche Verona avrebbe potuto avere i T red, i semafori con la macchina fotografica che immortalano e multano un automobilista che passa col rosso. La Giunta della passata amministrazione comunale (Giunta Zanotto) aveva infatti approvato un progetto definitivo (delibera numero 484 del 20 dicembre 2006) per realizzare e implementare «il sistema elettronico di controllo per la rilevazione della infrazioni del Codice della strada», cioè i t-red.
L’amministrazione attuale ha però deciso di non applicare il provvedimento, destinando invece la cifra stanziata, 250mila euro per tre semafori in altrettanti incroci pericolosi della città, ad acquistare telecamere per il controllo della circolazione sulle corsie preferenziali.
La decisione della precedente amministrazione scaligera di installare quel tipo di semafori si rifaceva alle direttive del Piano nazionale della sicurezza stradale, varato 10 anni fa, finalizzato a creare una mobilità sicura e sostenibile. Per attuare quegli indirizzi il ministero delle infrastrutture e trasporti l’8 giugno 2001 aveva poi emanato le Linee guida per l’analisi della sicurezza stradale e quelle per la redazione di Piani urbani della sicurezza stradale. Questi piani, in pratica, davano le direttive per rendere più sicure le strade e obbligavano i Comuni a dotarsi di piani urbani del traffico e di strumenti per migliorare la sicurezza e ridurre gli incidenti automobilistici. Il Comune scaligero, approvando il Piano direttore della sicurezza stradale, aveva quindi individuato i luoghi a rischio più elevato di incidenti, constatando che la maggior parte erano dovuti a violazione dei limiti di velocità e al mancato rispetto della segnaletica.
Da lì la decisione di installare il sistema T red per rilevare le infrazioni negli incroci a rischio, senza necessità di agenti del traffico. La spesa messa a bilancio, come detto, era di 250mila euro. L’intervento era inserito nel programma triennale dei lavori pubblici del Comune per gli esercizi finanziari 2006-2008 e nell’elenco annuale delle opere pubbliche da avviare per l’esercizio finanziario 2006. 
Quella delibera, però, non è mai stata attuata e i semafori con l’impianto elettronico e la macchina fotografica non sono mai stati acquistati. A bilancio i soldi però sono rimasti in eredità all’amministrazione Tosi. Che ha girato lo stanziamento ad altre spese, sempre finalizzate alla sicurezza stradale. «Quei 250mila euro vengono impiegati ad acquistare telecamere per controllare le corsie preferenziali», spiega l’assessore comunale alla mobilità, Enrico Corsi.

E Lerici li oscura, a La Spezia cancellate subito tutte le multe date con il sistema elettronico.  In realtà, anche il comandante dei vigili urbani di Lerici vicino a La Spezia, aveva fiutato che qualcosa non quadrava. Il comandante Roberto Franzini già due anni fa si rese conto che i dispositivi erano «taroccati»: si rifiutò di avallare 8.500 sanzioni emesse sulla base degli autovelox e 1.600 del semaforo. 
«Fui oggetto di intimidazioni» racconta il comandante, «l’azienda privata mi disse che sarei stato denunciato per danno erariale, perché impedivo un bel guadagno. Non mi sono spaventato. Sentivo di essere nel giusto e mi rivolsi alla Procura. La ditta incassava 30 euro su ogni multa da 138». (E.G.)



Fonte: L’arena di verona di Venerdì 30 Gennaio 2009, cronaca,  pagina 8



SOLDI E MULTE: Il comandante dei vigili lo aveva certificato nel 2007 quando ottenne anche un aumento dell’indennità

I semafori T-red per incrementare del 400 per cento le contravvenzioni
Nuovi particolari nell’inchiesta di procura e carabinieri che vede indagate 109 persone tra le quali anche l’inventore dell’impianto, finito nella bufera 

Aveva previsto un'entrata di 950 mila euro, provenienti dalle violazioni del codice della strada. In tal modo, quella voce di bilancio tra il 2006 e il 2007 aumentava del 400 per cento. 
A garantire questo maxi incremento, il comandante dei vigili urbani dell'Unione dei comuni di Verona est, Graziano Lovato, 45 anni.

Ecco uno dei tanti particolari che spunta nella maxi inchiesta sui T red della procura di Verona che vede indagate 109 persone, accusate a vario titolo di truffa, falso in atto pubblico, abuso d'ufficio fino alla frode in fornitura pubblica. 
Nei giorni scorsi, i carabinieri di San Bonifacio, Tregnago, Illasi e Colognola hanno posto sotto sequestro preventivo in 64 diversi comuni i T-red, i semafori che fotogravano gli automobilisti indisciplinati. L'inchiesta ruota su due filoni: uno riguarda l'irregolare omologazione del ministero a Roma di questo tipo d'impianto mentre l'altro è rivolto, soprattutto, ai 40 amministratori pubblici, 63 funzionari di polizia locale e 6 amministratori di società private, per l'irregolare compilazione dei verbali delle multe, inviate solo nella provincia di Verona a 7000 automobilisti

IL CASO LOVATO. A prevedere, un incremento del 400% delle multe, riporta il decreto di perquisizione, firmato dal gip Sandro Sperandio, è il piano esecutivo di gestione approvato dalla giunta dell'Unione dei Comuni Verona est nel 2007. 
Sempre in quell'anno, l'indagato per truffa e falso in atto pubblico, insieme al sindaco di Illasi, Giuseppe Trabucchi chiede e ottiene un aumento dell'«indennità di posizione» pari a duemila euro, in base a quanto riporta il piano esecutivo di gestione di quell'anno, passando dai diecimila a dodicimila euro. 
Nel 2005, inoltre, Lovato aveva previsto come entrate per sanzioni per violazioni al codice della strada di 250mila euro. L'Unione quell'anno incassò di più: 253mila euro. Un fiore all'occhiello per il comandante che l'anno successivo chiese e ottenne l'aumento. 


LE FOTO DAI SEMAFORI. Emergono poi importanti considerazioni dalle dichiarazioni di un altro indagato Raoul Cairoli, amministratore delegato della Citiesse srl, l'azienda comasca che ha fornito l'impianto T red, finito sotto inchiesta, a 64 Comuni. 
Nel mirino degli inquirenti, c'è dal 18 dicembre 2007, giorno in cui è iniziata l'inchiesta, la compilazione dei verbali con le immagini delle violazioni al semaforo rosso. Come è noto, a parere dell'accusa, questo importante capitolo era gestito dalle aziende private come la Maggioli di Sant'Arcangelo di Romagna. In particolare, era un impiegato di questa società a visionare i fotogrammi ed a sua discrezione decideva quali costituivano un illecito. Queste immagini poi venivano masterizzate (copiate) su un Cd o un Dvd che veniva trasmesso al comando di polizia locale. A parere degli inquirenti, ed è qui l'illecito, «è evidente che il privato si è sostituito in tutto al pubblico ufficiale», violando così il codice penale. Ma è stato lo stesso Cairoli, sentito dagli stessi investigatori, a dichiarare che lo scarto delle foto «non costituenti infrazioni» è stata chiesta dalla maggior parte dei comandanti di polizia locale dove la sua società ha installato il T red. Il motivo? «Non avevano tempo da perdere» ha rivelato Cairoli.

Fonte: srs di  Giampaolo Chavan da Sabato 31 Gennaio 2009, cronaca,  pagina 9




CONFESSIONE




Aspettando la morte come un gatto
che sta per saltare sul letto

mi dispiace così tanto per mia moglie
lei vedrà questo corpo rigido e  bianco

lo scuoterà una volta, e poi forse  ancora: "Giò!"
Giò non risponderà.

Non è la mia morte che mi preoccupa, 
è lasciare mia moglie con questa pila di niente.

Però  vorrei che lei sapesse
che tutte le notti dormite accanto a lei

anche le discussioni inutili
erano sempre cose splendide

e le più difficili delle parole
che ho sempre avuto paura a dire
ora possono essere dette:  Ti  amo.


Fonte: liberamente tratto  da - Evita lo specchio e non guardare quando tiri la catena


I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi




I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

che tu venga all’ospedale o in prigione

nei tuoi occhi porti sempre il sole.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi 

questa fine di maggio, 
dalle parti d’Antalya, 

sono cosi, le spighe, di primo mattino;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

quante volte hanno pianto davanti a me 

son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi, 

nudi e immensi come gli occhi di un bimbo

ma non un giorno han perso il loro sole;

i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi 

che s’illanguidiscano un poco,
i tuoi occhi gioiosi, 
immensamente intelligenti, perfetti:

allora saprò far echeggiare il mondo del mio amore.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

Così sono d’autunno i castagneti di Bursa

le foglie dopo la pioggia

e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.

I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi

verrà giorno, mia rosa, 
verrà giorno che gli uomini si guarderanno l’un l’altro fraternamente

con i tuoi occhi, amor mio,

si guarderanno con i tuoi occhi.


Nazim Hikmet

giovedì 29 gennaio 2009

Gazzo Veronese: Abusi edilizi nella Bassa sei arresti eccellenti a Gazzo Veronese


Il sindaco Stefano Negrini


Capannoni per i maiali in importanti zone archeologiche e ricoveri per attrezzi agricoli trasformati in industrie

Terremoto nella Bassa: sei arresti e  84 indagati per presunti  abusi edilizi. il sindaco di Gazzo Veronese, Stefano Negrini, l'ex segretario comunale Antonio Tambascia, il responsabile dell'ufficio tecnico del Comune e tre componenti della commissione edilizia, sono stati posti agli arresti domiciliari. L'accusa è quella di associazione  per delinquere finalizzata a compiere reati contro la sede pubblica e la pubbliCa amministrazione in materia di abusi edilizi. Il  provvedimenti  sono stati emessi dal gip di Verona Taramelli su richiesta del pm scaligero Ballarin. Sono però 84 gli indagati nell'inchiesta della Procura: tra questi persone legate a studi privati ed esterni che facevano da prestanome.


Quando la polizia, intorno alle 10.30 di ieri, carica sull’auto un infagottato e provatissimo sindaco Stefano Negrini, arrestandolo per una sfilza di reati legati ad almeno tre anni di abusi edilizi - salvo novità che emergeranno nelle indagini che sono ancora in corso - è già il culmine di una giornata campale per Gazzo.
Una giornata che fa tremare dalle fondamenta il paese: amministrazione, imprenditori, ex amministratori come Fausto Fraccaroli, privati cittadini; 84 persone, tutte indagate per aver ottenuto e concesso licenze edilizie per costruire, o ampliare immobili.
Il sindaco viene prelevato dal suo studio, in via Bersai a Nogara, dopo che è stato svuotato di tutto: computer e ogni documento della sua attività privata di geometra. Alle 10.30 lo studio è completamente vuoto. Tre ore prima, però, 100 uomini della sezione di Polizia giudiziaria della Procura, della Questura, del Corpo forestale con il suo nucleo di polizia, erano in giro per Gazzo a perquisire abitazioni e studi e a sequestrare documenti e recapitarne altri, di tenore assai diverso.
L’ordine del sostituto procuratore Pier Umberto Vallerin era infatti quello di dare esecuzione a sei ordinanze di custodia cautelare ai domiciliari: oltre al sindaco, sono agli arresti anche Vittorino Baldi, responsabile dell’ufficio tecnico, il geometra Massimiliano Marconcini, assessore, e Antonio Persi, l’ingegner Alessandro Accordi, tutti membri della commissione edilizia. Una parte degli uomini del nucleo investigativo della polizia Forestale intanto eseguiva il sesto ordine di custodia cautelare, a Foggia, nei confronti di Antonio Tambascia, segretario comunale per 11 anni, dimessosi pochi mesi fa per tornare in Puglia.
La sfilza di reati contestati ad arrestati e indagati è lunghissima: associazione per delinquere e falso in atto pubblico, elusione continuata e in concorso delle normali procedure autorizzatorie, abuso d’ufficio, falso ideologico, violazioni di norme edilizie che sarebbero state commesse soprattutto utilizzando procedure «privilegiate» in commissione edilizia per la concessione di permessi di costruzione in zone agricole e di interesse ambientale e approvate senza seguire le procedure previste. Oltre alla violazione dell’articolo 6 della legge regionale che regola le edificazioni in zone agricole.
Ci si chiede come in questi anni sia stato possibile, per esempio, che un allevamento intensivo di 2.600 maiali sia sorto in zona di interesse archeologico, o come un allevamento di polli (abbattuto dopo una lunghissima querelle giudiziaria) sia stato eretto a distanze irregolari dalle abitazioni e ancora, come i rustici siano diventati villette o come privati, che non avevano mai visto in vita loro una vanga da contadino, abbiano potuto costruirsi magazzini per gli attrezzi per la campagna che poi si trasformavano in capannoni artigianali o industriali.
Nessun mistero. Piuttosto, secondo l’accusa, molti «trucchi» e tutti ben orchestrati, almeno secondo quanto è stato riferito nel corso della conferenza stampa dal dirigente della Mobile Marco Odorisio e dal vice questore aggiunto Paolo Colombo, comandante reggente della Forestale di Verona mentre spiegavano i contorni dell’operazione «Gaio», dall’antico nome di Gazzo.
Di gaio però, c’è ben poco in questa vicenda di aggressione al territorio, di cementificazione di aree verdi tutelate e di zone archeologiche. Vi sarebbero invece - stando ai tre anni di esame di una mole elevatissima di documenti - salti a pié pari di valutazioni di impatto ambientale, omissioni di produzione di documenti fondamentali, come i pareri della Sovrintendenza o di elaborati tecnici dove si dice dove andavano a finire - ad esempio - le deiezioni degli animali.
E ancora, distanze di legge dalle abitazioni di attività imprenditoriali modificate addirittura nelle mappe catastali, approvazioni di varianti al Piano regolatore generale ad hoc per trasformare zone del paese a seconda delle richieste di edificazione, uso di tecnici «prestanome» per presentare progetti in commissione edilizia perché non risaltassero i conflitti di interesse tra il progettista e colui che approvava un elaborato.
Le complicità che sarebbero emerse dalle indagini sono fittissime e coinvolgerebbero anche imprese costruttrici di case o capannoni abusivi: gli investigatori hanno calcolato che quasi il 70 per cento delle ditte che si occupavano di edilizia erano «complici» di tecnici e di amministratori.

Fonte: srs di Daniela Andreis, da L’Arena di Verona di giovedì 29 gennaio 2009, cronaca, pagina 10/11



È stato l’unico vigile del Comune ad aprire le porte del municipio ai colleghi della polizia giudiziaria

Gazzo è un paese piccolo e ha un vigile solo che si chiama Graziano Fava. Quando ieri alle 7.15 l’agente Fava con il suo mazzo di chiavi tintinnanti è andato ad aprire le porte del municipio c’era già un sacco di gente ad aspettarlo. Ma non era giorno di scadenze particolari. Difatti tutti quegli uomini erano poliziotti della questura, agenti della Forestale e carabinieri di Gazzo. Erano lì prestissimo perché già sapevano il lavoro «grosso» che dovevano fare: svuotare gli uffici del sindaco, dell’edilizia pubblica e privata e prelevare carte anche da altri servizi del Comune. Un lavoro lungo e certosino: gli agenti hanno riempito scatoloni su scatoloni di faldoni e visionato file e prelevato anche qualche hard disk di computer. Insomma, tutto quello che potrà servire alla magistratura per completare l’indagine che, come abbiamo detto, coinvolge tantissimi. Il dossier predisposto dalla procura è formato da 147 pagine.
Chi entra in municipio è esterrefatto. Chi vi lavora un poco meno. Di fronte alla «casa pubblica» c’è il bar della signora Teresa, l’attuale compagna del sindaco Stefano Negrini. Anche la donna sembra presa dallo stesso fatalismo dei dipendenti comunali, ma forse è solo un suo modo di difendersi dalla tegola che è piombata in testa a lei e al suo compagno. Il «botto» è arrivato alle «sette meno un quarto», ha detto, «si sono presentati e hanno perquisito la casa. Non so altro, però, perché stavo uscendo per venire ad aprire il bar. Sto aspettando che qualcuno mi chiami e mi dica qualcosa», conclude guardando il cellulare appoggiato sotto il bancone. Nel pomeriggio il bar non ha riaperto.
Nel locale, mattiniero come tutti i preti di campagna, c’è don Piergiorgio Mortaro, parroco di Macaccari e Roncanova, che saluta sbracciandosi. Quando gli chiediamo come l’ha presa questa storia del paese che si ritrova il sindaco arrestato, alza le spalle e si guarda le scarpe: «Abbiamo due datori di lavoro diversi, però entrambi siamo chiamati a fare il nostro dovere», dice. Evangelico. Ma la parabola che ha portato alla paralisi la vita amministrativa non è edificante, anche se di edifici si tratta. Gazzo è una piccola perla per l’ambiente, dentro com’è al parco Tartaro-Tione e con le sue ricchezze archeologiche e storiche. Tanto è vero che mancava un soffio per ottenere dalla Regione il via a un progetto pilota di Comune museale. Ora lo sa Dio cosa succederà. D.A.


I RETROSCENA. La bufera era attesa
da almeno venti giorni, il terremoto giudiziario non ha colto di sorpresa gli avversari politici storici del primo cittadino

A innescare l’inchiesta i ripetuti esposti della minoranza «Un partito degli affari si era impadronito del Comune»

Il terremoto giudiziario che si è abbattuto sul sindaco di Gazzo, Stefano Negrini, sull’assessore Massimiliano Marconcini, sull’ex segretario comunale Antonio Tambascia, sul responsabile dell’ufficio tecnico Vittorino Baldi e sui componenti della commissione edilizia Antonio Persi e Alessandro Accordi era nell’aria da almeno una ventina di giorni, da quando la minoranza del Patto aveva inviato l’ennesimo esposto zeppo di dettagli su presunti atti illegittimi che sarebbero stati commessi dal sindaco nel tentativo di sanare con il «Pati» i progetti da lui firmati nell’arco degli ultimi anni.
«Il sistema si è radicato sul territorio in quasi 15 anni», commenta Giampaolo Boninsegna, uno dei principali firmatari delle decine di esposti inviati in Procura dai consiglieri di minoranza del «Patto per Gazzo». «È una questione morale e non politica. In tutto questo tempo è entrata nella testa dei cittadini l’idea che si può fare tutto, anche ciò che è illegittimo o illegale. Basta andare dalla persona, dal tecnico, dal politico giusto. Tutti sanno e sapevano, nonostante sequestri di immobili, abbattimenti degli stessi e condanne. Tutto ciò non ha fatto modificare minimamente l’atteggiamento di chi ha voluto continuare nella reiterazione. Con questo non posso che esprimere amarezza e dispiacere per quanto ha subito il territorio, hanno subito i cittadini e ora sta accadendo, sul piano personale, a cittadini e amministratori coinvolti».
A settembre del 2008 Boninsegna, dopo uno scontro verbale con Negrini al termine di un Consiglio comunale particolarmente infuocato, ha rassegnato le dimissioni da capogruppo del Patto lasciando quindi il suo posto tra le file della minoranza che rimane tutt’oggi scoperto.
Uno scontro quello tra i due politici avversari che ovviamente aveva come oggetto del contendere le rimostranze del sindaco sugli esposti che la minoranza aveva inviato in Procura.
Ad aspettarsi l’intervento della magistratura per far luce sulle presunte illegittimità commesse da Negrini c’è anche Roberto Mazzali, attuale capogruppo del Patto.
«Ricopro il ruolo di capogruppo da pochi mesi», spiega il consigliere di Minoranza. «Erano anni e anni che noi dicevamo che qualcosa non andava nel sistema degli affari di Gazzo. Alla magistratura abbiamo sempre segnalato tutto quello che a nostro avviso era illegale o illegittimo e l’ultimo nostro esposto sulle irregolarità del Piano di assetto urbanistico intercomunale ha evidenziato con chiarezza cose scandalose. Basti pensare a tutto l’elenco delle aree che sono passate da agricole a residenziali per sanare gli edifici che il sindaco intendeva far passare come magazzini e invece erano abitazioni. Occorre ricordare poi anche l’annosa faccenda dei tre capannoni avicoli in località Paglia progettati da Negrini e dichiarati illegittimi da quattro sentenze della magistratura (Tar e Consiglio di Stato). I capannoni sono stati demoliti solo quando oramai il Consiglio di Stato ha minacciato di far intervenire un commissario ad acta per ottemperare alle sentenze passate in giudicato. Negrini ha sempre confuso la sua professione con quella di amministratore e i risultati sono sotto gli occhi di tutti».
La minoranza intanto attende le decisioni del Prefetto Italia Fortunati sul futuro della giunta Negrini.
«Mi aspetto lo scioglimento del Consiglio comunale dopo un fatto così grave», conclude Boninsegna, «non ha senso continuare ad amministrare con dei provvedimenti giudiziari che hanno coinvolto sei persone».  (Riccardo Mirandola)


LE REAZIONI/. «È una brava persona che aiutava i paesani»

Molti esprimono incredulità e manifestano solidarietà agli arrestati: «Non facevano i loro interessi»
Ma c’è anche qualche  voce contraria: «Tutti erano a conoscenza  che c’era una banda  di affaristi»

Solidarietà con gli arrestati, incredulità e condanna. Erano questi i commenti che ieri mattina si potevano cogliere tra gli abitanti di Gazzo alla notizia dell’arresto del sindaco Negrini e dell’assessore Marconcini. Dopo aver visto le auto di polizia, Forestale e carabinieri parcheggiate fin dall’alba davanti al municipio di Roncanova, tutti hanno capito chiaramente che era successo qualcosa di grave ai loro amministratori.
Le voci di arresti eccellenti sono subito circolate quando i passanti hanno notato auto delle forze dell’ordine ferme a casa di Negrini, di Marconcini e del responsabile dell’edilizia privata Vittorino Baldi.
«Stefano è un bravo sindaco», commenta un giovane appena sceso dall’auto per recarsi all’ufficio postale. «Non credo che abbia commesso quei reati che gli vengono contestati. E solo una invenzione della minoranza che cerca da anni di farlo andare in prigione. Il sindaco ha sempre agito per il bene del paese e non per interessi personali».
Erano comunque anni che in paese si sapeva dei problemi di Negrini legati a questioni edilizie, ma pochi si aspettavano un suo arresto. «Il sindaco arrestato assieme a Marconcini e Baldi?», commentano due anziane all’uscita della Posta. «Per carità, non vogliamo giudicare. Sono brave persone che si sono sempre dedicate ad aiutare i cittadini che avevano bisogno. È possibile che ci sia un errore e che Stefano, Massimiliano e Vittorino possano ritornare liberi. Non hanno fatto male a nessuno e quindi speriamo che tutto si chiarisca».
Difficile comunque per i giornalisti che ieri mattina sono accorsi a Roncanova avere dichiarazioni da parte dei concittadini degli arrestati. «Avete montato tutto voi giornalisti», accusa un agricoltore fermo davanti al municipio. «La stampa è sempre stata contro il nostro sindaco e ha voluto a tutti i costi creare un mostro, quando in realtà Stefano è una delle persone più buone del paese. Boninsegna e i suoi hanno esagerato in tutti questi anni con le loro denunce. Il risultato è che ora hanno distrutto sei famiglie, ma loro a queste cose non ci pensano».
Condanna senza appello arriva invece da un anziano nella tabaccheria in via Roma. «Tutti sapevano che in Comune c’era una banda di affaristi legati all’edilizia. Per ottenere una concessione edilizia si sapeva che bastava farsi fare il progetto dal sindaco o qualcuno dei suoi amici e poi tutto sarebbe filato liscio. Per troppi anni in questo Comune le cose sono andate avanti in questo modo e ora spero che ci sia una inversione di tendenza».
Piena solidarietà arriva invece a Vittorino Baldi, considerato da tutti come «una persona mite e disponibile». Sorpresa anche per l’arresto dell’assessore Marconcini, anch’esso geometra come Negrini. «Massimiliano non è il tipo da commettere certi reati». (R.M.)


Ossi di porco e laboratorio politico

Era il 2000. Era l’inizio dell’ascesa politica di alcuni degli arrestati di ieri. Era il tempo in cui nelle campagne si ammazza il porco per farne salami, cotechini, ossa da sgranocchiare, perchè com’è tradizione dire, del maiale non si butta via niente. Metà gennaio, ora come allora. Il via all’iniziativa che proseguì fino al 2005 lo diede l’allora sindaco, il geometra Fausto Fraccaroli, che in quelle serate riusciva a far diventare il piccolo paese della Bassa il centro del mondo della politica locale, Stefano Negrini, geometra, era all’epoca vicesindaco e assessore all’edilizia. Da sempre la sua professione, secondo alcuni, è stata eticamente incompatibile con la sua delega.
Primo tra tutti a quelle cene il presidente della Regione Veneto, Giancarlo Galan. C’erano però tutti quelli che all’epoca dettavano le regole della politica locale da Angelo Cresco a «Rambo», Roberto Bissoli a Gabriella Zanferrari ad Aleardo Merlin.
Gazzo per una sera, a metà gennaio diventava laboratorio politico di quella che poi è diventata una realtà frastagliata costituita da fuoriusciti, o soprattutto orfani, di quello che era stato il partito socialista e democristiano, perchè come spesso si dice con le gambe sotto a un tavolo si discorre meglio. Anche di strategie politiche.
Le ultime elezioni Negrini le ha vinte con la sua civica per una manciata di voti, un centinaio. Ma la lunga permanenza nei palazzi del potere gli ha fatto credere negli anni di godere di una sorta di impunità nonostante opposizione e rappresentanti politici facessero fioccare le denunce una dietro l’altra, per anni. Stando agli atti della procura l’atteggiamento di Negrini negli anni l’avrebbe reso sempre più disinvolto.A.V.



Concessioni. Ha preso due anni e aspetta l’appello

Una maggioranza, quella che appoggia Stefano Negrini (da sempre proclamatosi socialista), formata da una civica composta quasi interamente da iscritti a Forza Italia e da indipendenti che fanno riferimento all’area di centro destra.
Da lunedì 26 gennaio, dopo le dimissioni del consigliere Alessandro Segala che non aveva partecipato alla votazione del Pati nel consiglio convocato all’alba del 29 dicembre, tra i banchi della maggioranza siede un rappresentante della Lega Nord. Gianfranco Prada ha salutato il proprio ingresso in consiglio comunale sventolando la bandiera della lega per rimarcare l’appartenenza al Carroccio e la fiducia al sindaco.
In minoranza un’altra corrente leghista rappresentata da Ugo Vecchini, legato alla lista «Patto per Gazzo» nella quale sono presenti anche An e esponenti della sinistra.
Un’amministrazione che negli anni non è stata esente da «rapporti stretti» con la giustizia. Iniziò nel 2000 l’inchiesta del pm Antonino Condorelli, che coinvolse i vertici del Comune: all’epoca sindaco era Fraccaroli e Negrini vicesindaco. Sette anni dopo la sentenza: tutti assolti, Negrini (nel frattempo eletto primo cittadino) condannato a due anni. Sentenza appellata.


Fonte: L’Arena di Verona di giovedì 29 gennaio 2009, cronaca, pagina 10/11



Abusi edilizi, bufera a Gazzo Veronese «Il sindaco a capo del comitato d'affari»

In oltre 140 pagine il gip Taramelli ripercorre i passaggi dell’inchiesta su abusi e illeciti
Per l’accusa si tratta di un comportamento adottato sistematicamente Attenzione su decine di pratiche, almeno una trentina quelle «sospette»

Gazzo Veronese. «Un comitato d'affari» al cui vertice c'era Stefano Negrini, il sindaco. Questo il convincimento che sta alla base di una corposa richiesta di misura tradotta con un'ordinanza di custodia cautelare di oltre 140 pagine. Quel documento firmato dal giudice Guido Taramelli che ha, in parte, accolto le richieste del dottor Pier Umberto Vallerin condividendone però l'impianto. Ovvero che a Gazzo Veronese da anni era in atto una sistematica violazione di norme. Condotte che, per l'accusa, avrebbero portato alla commissione di numerosi reati contro la fede pubblica, la pubblica amministrazione e il territorio in grado di permettere agli amministratori di gestire in modo «personale» la cosa pubblica.

Decine le concessioni edilizie prese in considerazione (una trentina quelle riportate nell'ordinanza) e questo ha fatto lievitare il numero degli indagati. Non solo amministratori, tecnici e consulenti esterni. Nei 28 faldoni che compongono l'indagine durata anni e inframezzata, nell'estate del 2006, da perquisizioni e sequestri non solo in municipio a Gazzo ma anche nello studio di un professionista (che contestualmente venne indagato) entrano i nomi di coloro che chiesero, e ottennero, licenze a costruire e poi sanatorie su quanto non avrebbero potuto edificare ma che fu invece «regolarmente» approvato dalla commissione edilizia.

Ottantaquattro indagati, altrettante notizie di reato che contribuirebbero a delineare lo scenario di un comportamento non occasionale. Sistematico appunto, per la procura. Un quadro in cui entrano tutti, non solo gli amministratori ma anche i consulenti esterni, i professionisti chiamati a collaborare con il Comune e a firmare progetti in vece del geometra-sindaco Stefano Negrini che solo dopo una serie di richiami da parte della Prefettura si decise a non presiedere più la commissione edilizia che deve essere composta solo da tecnici. Lui e Massimiliano Marconcini uscirono.

Ma per l'accusa questo non avrebbe assolutamente decretato l'effettivo «abbandono», i «suoi» progetti venivano presentati con la firma di altri professionisti, per evitare incompatibilità. Quelle che comunque non sembrerebbero aver avuto un peso particolare negli ultimi anni. Già perchè pur essendo sindaco di Gazzo Veronese Negrini aveva tenuto per sè le deleghe all'Edilizia privata e contemporaneamente svolgeva la libera professione, secondo l'accusa, strumentalizzando la commissione edilizia per scopi privati. In ciò aiutato sia dai collaboratori interni - il capo dell'ufficio tecnico Vittorino Baldi e il segretario comunale Antonio Tambascia (entrambi ai domiciliari) - che da liberi professionisti - Massimiliano Marconcini, Alessandro Accordi e Antonio Persi (anche loro ai domiciliari). Per questo per il pm è lui che riveste il ruolo di «promotore, organizzatore e attuale capo dell'associazione».

Comportamenti tenuti anche negli anni in cui Negrini (all'epoca vicesindaco), altri amministratori e tecnici, erano imputati nel processo celebrato davanti al collegio presieduto da Dario Bertezzolo per una gestione non corretta delle pratiche edilizie. Quel procedimento terminò nell'ottobre 2007 con l'assoluzione per tutti tranne che per lui, diventato nel frattempo sindaco: fu condannato a due anni, pena sospesa, perchè ritenuto responsabile di aver indotto in errore la commissione edilizia presentando un certificato catastale falsificato al fine di ottenere una concessione edilizia per la costruzione di un'abitazione da lui stesso progettata. Il processo finì, lui era già stato oggetto della perquisizione per questo procedimento ma per la procura il modus operandi non solo non si modificò, ma venne «sistematicamente adottato». Da qui il convincimento del pm che solo la misura cautelare avrebbe potuto interrompere un'attività ritenuta continuativa e illegale. Divieto di esercitare la professione per due geometri (di cui si parla a fianco) e per Fiorenzo Martinelli, agronomo. È solo l'inizio.

Fonte: srs di Fabiana Marcolini da L’arena da L’Arena di Verona di Venerdì  30 gennaio 2009, cronaca,  pagina 10/11





Considero Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca

Considero valore il regno minerale, l’assemblea delle stelle.

Considero valore il vino finchè dura il pasto,
un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e’risparmiato,
due vecchi che si amano.

Considero valore quello che domani non varra’piu’niente,
e quello che oggi vale ancora poco.

Considero valore tutte le ferite.

Considero valore risparmiare acqua,
riparare un paio di scarpe,
tacere in tempo,
accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordarsi di che.

Considero valore sapere in una stanza dov’e’ il nord,
qual’e’ il nome del vento che sta asciugando il bucato.

Considero valore il viaggio del vagabondo,
la clausura della monaca,
la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.

Considero valore l’uso del verbo amare
e l’ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

Erri de Luca, Opera sull’acqua e altre poesie, Einaudi (2002)

All’ombra del proprio viso

Il tramonto avvolge la giornata
all’ombra del proprio viso
una giovane donna stringe una piccola mano
l’altra avvolta in una fascia di dolore,
solleva il coperchio di un cassonetto,
un dignitoso sguardo nel fondo di esso
la certezza della povertà
andemo, andemo, forse  quello la'

G.B.

GRAZIE AI MIEI GENITORI, ANZI AI MIEI ANTENATI…..







Da Voi ho avuto la vita e tutti quei frammenti fatti di storie, di giochi d’infanzia, di personaggi raccontati, di cui immagino i volti, alcuni dei quali perfino ricordo appena i contorni….

Immagino il vociare per le scale di palazzi antichi, le strade, le salite, i prati ancora là, senza cemento, con i papaveri, le fontanelle, i giardini con la siepe profumata, i cancelli, i muretti……..

Frammenti di cui ho vissuto per racconti, ormai quasi leggende, personaggi da favola, ognuno con la propria stranezza, sembrava quasi di visitare un mondo a parte eppure mi sembra che ero già là anch’io, già presente a quelle birichinate ingenue, agli aneddoti di un paese in guerra, dal carrettino delle carrube al gioco…come si chiamava quel gioco, forse “nizza”?

Grazie a te nonno, avo mai conosciuto, circondato da un aura che ancora adesso incute rispetto, sempre è trapelata dai tuoi figli una severa bonarietà, un senso del dovere di altri tempi , un timore reverenziale di quel “babbo” di cui immagino avrei amato quegli occhi neri profondi, quello sguardo che chissà come si sarebbe posato su di me…. so che ci saremmo amati se avessimo potuto..

Grazie a tutti i miei antenati e alle loro scelte obbligate, dolorose, ai loro viaggi ed esili, alle incuranze di un tempo che non guardava tanto per il sottile, perché necessità superiori incombevano e i piccoli destini si intrecciavano con la grande storia, ma proprio quelle scelte ora mi fanno essere qui, in questo tempo e portatrice, dentro, di tutti questi frammenti, di tutte queste esistenze fatte di scelte impellenti, eppure per tanti tratti gioiose, di quella spensieratezza, di quella ingenuità che auspicherei, oggi, per noi, che proviene dal poco da spartire e dal tanto da sognare…

Grazie a queste due famiglie che si sono intrecciate e confuse dietro ai destini dei miei genitori e di cui ho vissuto la pienezza di un unico grande pazzo clan, un pò circense, rocambolesco e poetico, ma di cui mi strugge dentro una tenerezza infinita….

Grazie a coloro a cui non ho potuto mai dare voce piena, che non ho mai potuto conoscere, perché tanto indietro in un tempo che non ne ha potuto fissare i volti né i nomi. Ma so che sono sbriciolati dentro di me in tante schegge anonime e sparse, a cui non so dare provenienza né origine, ma è sicuramente vero che da tutti loro provengo, ed io loro onoro da lontano in questi scampoli di anno vecchio, questa fila di avi che immagino alle mie spalle, prima bambini e poi adulti e poi nei loro intrecci d’amore , di progenie e di morti…e che adesso forse vegliano, svegliandosi, dentro di me.

Grazie a quelli che non sono potuti nascere e coloro che appena nati ci hanno lasciato, vi amo tutti e a voi tutti riconosco un posto in questa tribù scombinata.
Non mi avete lasciato mai, ora lo so.
Per questo ora vi guardo tutti, una grande fotografia di gruppo, uno per uno.
Per sentirvi finalmente tutti miei, per sentirmi, amorevolmente, vostra.

Fonte:  srs di  Eva 

Giuseppe Garibaldi: un gran rompicoglioni





Malgrado il plurisecolare e inossidabile mito che ha elevato  Giuseppe  Garibaldi a grande eroe  dei due  Mondi, eroe Nazionale,  padre della Patria, invincibile, intelligente, bellissimo, coraggioso, romantico, idealista, difensore degli oppressi e della libertà dei popoli, colui il quale metteva a repentaglio la propria vita per la libertà altrui, il solo vero eroe senza macchia e senza paura; era per me principalmente e fondamentalmente,  anzi con una  assoluta certezza, un rompicoglioni.
Ma… vederlo  vergato da lui stesso  e tutta un’altra cosa.

Negli anni ’40, scrisse  a un amico: 

"Io son fatto per romper i coglioni a mezza umanità; e l 'ho giurato; sì! 
Ho giurato per Cristo! Di consacrare la mia vita ali 'altrui perturbazione, e già qualcosa ho conseguito, ed è nulla a paragone di ciò che spero, se mi lasciano fare, o se non possono impedirmi di farlo".

 Fonte: da srs di  Claudio Fracassi

Morte di Anita Garibaldi, 4 agosto 1949, referto autopsia: unico indizio, strangolamento



Pietro Nanini




La Repubblica di Roma aveva preso una piega diversa dalle aspettative.
Garibaldi, braccato dalle guardie papaline è in fuga verso Venezia, una delle ultime città italiane che resiste all’assedio degli austriaci.
A Cesenatico, il 2 agosto prende il mare con tredici bragozzi ma viene quasi subito intercettato
dalla marina austriaca. I due bragozzi superstiti  con Garibaldi e un  trentina di persone si 
arenano sulla spiaggia della Pialassa, fra la Mesola e Magnavacca.

La situazione è tragica, Garibaldi, resta solo con il legionario Maggior Leggero e Anna Maria Ribeiro da Silva, è questo il nome Anita, che è ormai agonizzante. 
Poco dopo compare un compatriota di Ravenna, Nino Bonnet, che richiamato dalle cannonate austriache, è accorso sul posto. Questi, con i mazziniani del luogo, organizza una rete di soccorso. 
Si rifugiano in un casolare dove i due uomini abbandonano l'uniforme per vestirsi da contadini.
 Per l'intera giornata del 3 agosto si spostano a piedi e in barca per sfuggire alle pattuglie dei gendarmi,
 Il pomeriggio e la sera si rifugiano a Villa Zanetto, ospiti della signora Patrignani che cerca di convincere Anita a fermarsi lì e permettere al Generale di fuggire più facilmente. 
Ancora una volta però Anita chiede al marito di non lasciarla. 
Garibaldi si rivolge a Bonnet: 

 "Voi non potete immaginarvi quali e quanti servigi mi abbia resi questa donna! Quale e quanta tenerezza ella nutra per me. lo ho verso di lei un immenso debito di riconoscenza e di amore... lasciate che mi segua".

La fuga continua il giorno dopo, con un carretto, su cui viene adagiata Anita ormai morente. 
Nel tardo pomeriggio  del 4 agosto   del 1949, alla fattoria Ravaglia del marchese Guiccioli, alle Mandriole, a 29 anni, Anita muore.

Il medico Pietro Nannini, chiamato da amici patrioti, non può che constatarne il decesso. 
 “avendola dopo alcuni minuti nuovamente visitata riconobbe che era morta, e lo verificò dopo averle nuovamente tastato il polso, e fatte quelle altre esplorazioni, che in simili casi sono ordinate dall'arte medica. Che nessun segno di Maleficio riscontrò in quel cadavere" 
(Ivàn Boris e Mino Milani, op.cit., pago 164).

Garibaldi, a questo punto, si abbandona a una scenata fuori di ogni controllo,  urla e impreca, esce all'aperto, si strappa gli abiti con i quali si era travestito.
Poi si calma, rientra in casa, chiude gli occhi di Anita e scoppia in un pianto irrefrenabile. 
Prega i presenti di portare la salma di Anita a Ravenna e di farla imbalsamare. Gli fanno notare l'impossibilità dell'operazione e allora lui chiede che ne conservino almeno le ossa.
Bonnet  lo sollecita di allontanarsi prima dell'arrivo dei gendarmi: prega.
Dopo che Garibaldi se ne è andato, Anita viene sepolta frettolosamente sotto un cumulo di sabbia. 
Dopo qualche giorno, dei ragazzi vedono una mano che affiora dal terreno. 
Arrivano le guardie, se ne dissotterra  la salma e si richiede un’ autopsia, del cui risultato viene redatto  un  regolare verbale in cui si ipotizza la morte per strangolamento della donna.

Testo del rapporto stilato dal Delegato Pontificio di Polizia in Ravenna, conte Lovatelli, e consegnato a monsignor Bedini, Commissario Pontificio Straordinario di Bologna, il 12 agosto 1849:

"Eccellenza Reverendissima, mi reco a premuroso dovere rassegnare rapporto a Vostra Eccellenza Reverendissima sul reperimento d’ ignoto cadavere. Venerdì scorso 10 corrente da alcuni ragazzetti in certe lande di proprietà Guiccioli alle Mandriole in distanza di circa un miglio dal Porto di Primaro, e di circa 11 miglia da Comacchio, fu trovato sporgere da una motta di sabbia una mano umana. 
Presso la ricevuta notizia accedette ieri la Curia in luogo, dove giunta fu osservata la detta mano e parte del corrispondente avambraccio, che erano stati divorati da animali, e dalla putrefazione.
Fatta levare la sabbia, che vi era, per l'altezza di circa mezzo metro, fu scoperto il cadavere di una femmina, dell’altezza di un metro e due terzi circa (1,65 cm) dell’apparente età di 30 in 35 anni alquanto complessa, i capelli già staccati dalla cute e sparsi fra la sabbia, erano di colore scuro piuttosto lunghi, così detti alla Puritana. 
Fu osservato avere gli occhi sporgenti, e metà della lingua pure sporgente fra i denti, nonché la trachea rotta ed un segno circolare intorno al collo, segni non equivoci di sofferto strangolamento. 
Ne alcuna altra lesione fu osservata nella periferia del di lei corpo; fu veduto mancarle due denti molari della mandibola superiore alla parte sinistra ed altro dente pur molare alla parte destra della mandibola inferiore. 
Sezionato il cadavere, fu trovato gravido di circa sei mesi. 
Era vestita di camicia di cambrik (tela di cotone) bianco, di sottana simile, di sournous (un corto mantellino) egualmente di cambrik, fondo paonazzo,fiorato di bianco. 
Scalza nelle gambe e nei piedi, senza alcun ornamento alle dita, al collo, alle orecchie, tuttoché forate. 
Li piedi mostravano di essere di persona piuttosto civile, e non di campagna, perché non callosi nelle piante. 
La massa delle persone accorse da Mandriole, da Primaro, da Sant ‘Alberto e altri finitimi luoghi non seppero riconoscere il cadavere. Non si è potuto stabilire il colore della carnagione per essere il cadavere in putrefazione, nel qual caso non rappresenta il color naturale. 
Ne si credette trasportarlo in più pubblico luogo per lo ricognizione, atteso il gran fetore per cui fu subito sotterrato anche per riguardo della pubblica salute. 
Tutto ciò conduce a credere che fosse il cadavere della moglie o donna che seguiva il Garibaldi, sì per le prevenzioni che si avevano del di lui sbarco da quelle parti, sia per lo stato di gravidanza.
Fin qui è oscuro come sia giunta quella donna in quei siti, e come sia rimasta vittima. 
Si stanno però praticando le opportune indagini, delle quali sarà mia premura sottomettere all'Eccellenza Vostra Reverendissima alla opportunità l'analogo risultato" 

(Riportato da: Ivàn Boris e Mino Milani, op.cit., pagg. 156- I 57).

Dopo l'autopsia, il corpo venne sepolto nudo, avvolto in una stuoia di canne, nel piccolo cimitero delle Mandriole, 1’11 agosto 1849.


Fonte: liberamente tratto da srs di Gilerto Oneto

Giuseppe Garibaldi e Anita: un amore da far morire




Siamo a cavallo degli anni ’39,  in piena guerra dei  Farrapos.

Garibaldi ha perso parte dei sui uomini in seguito al naufragio del Rio Pardo. Annegano sedici dei trenta componenti dell'equipaggio, tra cui gli amici Mutru e Carniglia; il nizzardo è l'unico italiano superstite.

È un duro colpo che lui tenta di superare, gettandosi con più vigore nelle sue  lotte. 
A Laguna ricostruisce  la sua piccola flotta e assume il comando dell' Itaparica. 
Ma il suo spirito non è dei più felici. 

Nelle sue Memorie descrive, nel ricordo di quei giorni, uno degli episodi più importanti, ma nello stesso tempo più misteriosi della sua vita: l’incontro con Anita

"(...) Infine, avevo bisogno d'un essere umano che mi amasse, subito! Averlo vicino; senza di cui, insopportabile mi diventava l'esistenza. (...) 

Una donna! Sì una donna! Giacchè sempre la considerai la più perfetta delle creature! 
E checchè ne dicano, infinitamente più facile di trovare un cuore amante fra esse.

 Io passeggiavo sul cassero della Itaparica, raavvolgendo mei nei miei tetri pensieri; e dopo ragionamenti d'ogni specie, conchiusi finalmente di cercarmi una donna per trarmi da una noiosa ed insopportabile condizione. 

Gettai a caso, lo sguardo verso le abitazioni della Barra, così si chiamava una collina piuttosto alta, all 'entrata della Laguna, nella parte meridionale, e sulla quale scorgevansi alcune semplici e pittoresche abitazioni. 

Là, coll'ajuto del cannocchiale che abitualmente tenevo alla mano quando sul cassero d'una nave, scopersi una giovine.

 Ordinai mi trasportassero in terra nella direzione di lei. Sbarcai; ed avviandomi verso le case ove dovea trovarsi l'oggetto del mio viaggio, non mi era possibile rinvenirlo: quando m'incontrai con un individuo del luogo, che avevo conosciuto ai primi momenti dell'arrivo nostro. Egli invitommi a prender caffé nella di lui casa.
 Entrammo; e la prima persona che s'affacciò al mio sguardo era quella il di cui aspetto mi aveva fatto sbarcare. 

Era Anita!
 La madre dei miei figli!
La compagna della mia vita, nella buona e cattiva fortuna! 
La donna, il di cui coraggio io mi sono desiderato tante volte!

 Restammo entrambi estatici, e silenziosi, guardandoci reciprocamente, come due persone che non si vedono per la prima volta, e che cercano nei lineamenti l'una dell'altra qualche cosa che agevoli una reminiscenza. 

La salutai finalmente, e le dissi: "tu devi esser mia". 

Parlavo poco il portoghese, ed articolai le proterve parole in italiano.
Comunque, io fui magnetico nella mia insolenza. 
Avevo stretto un nodo, sancito una sentenza, che la sola morte poteva infrangere!.. lo avevo incontrato un proibito tesoro, ma pure un tesoro di gran prezzo!

Se vi fu colpa, io l'ebbi intiera! 
E... vi  fu colpa!  
Sì!... si l'annodavano due cuori con amore immenso, e s'infrangeva l'esistenza d'un innocente!... 

Essa è morta!
Io infelice! 
E lui vendicato... 
Sì! Vendicato! 
Io, conobbi il gran male che feci, il dì, in cui sperando ancora di rivederla in vita io, stringeva il polso d'un cadavere: e piangevo il pianto della disperazione! 
Io, errai grandemente ed errai solo!"    

Si tratta di un episodio - e di una narrazione – di fondamentale  importanza

È infatti il solo caso in cui si assuma, nelle sue Memorie, la responsabilità piena di un misfatto, che però è riluttante a descrivere fino in fondo.

Cosa è successo quel giorno al calzolaio Manuel Duarte de Aguiar, con cui era sposata giovanissima Anita? 

Aninha Maria de Jesus Ribeiro,  (poi detta Anita) era nata nel 1821 a Merinhos, nella provincia di Santa Caterina, figlia di Bento Ribciro da Silva e di MariaAntonia de Jesùs. Era quasi certamente una creola. 
Aveva sposato il 30 agosto 1835   Manuel Duarte de Aguiar, che era molto più anziano di lei. 
In realtà anche Garibaldi aveva 14 anni di più. 
Ci è stata descritta come una donna "alta di statura, robusta, con seni lunghi e turgidi, viso ovale un po' lentigginoso, grandi occhi neri, capelli neri sciolti 
(Alfonso Alfonso Scirocco, op.cit., pago 80).

La fortuna non viaggiava  certo dalle loro parti, il Bento trasferitosi a Lagina moriva poco dopo, seguito dai sui tre figli maschi, lasciando in una catapecchia, la moglie Maria Antonia de Jesùs, con tre femmine: Manuela, Felicidad e Anita e dove ogni giorno c'era da risolvere il problema del pranzo e della cena. La loro abitazione venne chiamata: "La casa de las tres ninas ", la casa delle tre ragazze.

Anita era la più bella, ma anche quella dal  carattere più  riottoso e difficile. 
Respinse un buon partito, il maggiore Juan Conçalves Padilha, e sposò Duarte, calzolaio squattrinato.

Forse il povero Duarte si limitava a badare solo alla sua modesta bottega, e come sembra più probabile anche sulla base di quanto ha scritto lo stesso Garibaldi  sarebbe stato proprio il Duarte ad averlo amichevolmente e imprudentemente invitato a casa propria. 
In quest 'ultimo probabile caso, il povero Duarte si sarebbe propiziato la fine della sua esistenza terrena, perchè da quel giorno se ne persero le tracce terrene.

Del Boca ha scritto che "probabilmente, per conquistare il cuore di Anita è stato necessario ammazzarle lo sposo. Il povero calzolaio protestò? Tentò di reagire? Cercò aiuto per affrontare il rivale? Non lo videro più in paese e le ricerche non ebbero esito.  Scomparso.
 Anita seguì Garibaldi sul battello e vissero come marito e moglie". 
(Lorenzo Del Boca, Maledetti Savoia, op.cit., pago 48).

Sulla sua scomparsa storici  e biografi  riuscirono a creare tante di quelle versioni da far invidia alla mitologia antica.

Secondo Anita Garibaldi (lontana pronipote, per comprensibili ragioni molto benevola nei confronti dell'omonima antenata e del Generale), il Duarte sarebbe addirittura diventato un eroe dell'esercito imperiale.

 Una leggenda patriottica ha in seguito indicato il Duarte come un codardo combattente dalla parte dei brasiliani (biechi e reazionari e per ciò stesso implicitamente meritevole di corna o di perdere la moglie).

Una versione sostiene invece che il povero Duarte fosse addirittura dalla parte di Garibaldi e che giacesse ferito in una sorta di ospedale militare.

Un’altra ancora dice che sarebbe stato Garibaldi, commosso dalle lacrime di Anita, a trasportare il malato nell'ospedale dove sarebbe morto da lì a pochi giorni. 

I biografi più "politically correct"   sostengono che il Duarte sarebbe morto anni dopo, permettendo ai due amanti, che nel frattempo vivevano a Montevideo di regolarizzare la loro posizione con un matrimonio religioso. 

Un’ altra versione sostiene che il Duarte sarebbe morto, sempre  da lì a poco di crepacuore, anche a causa delle ferite infertegli da Garibaldi o da suoi complici (Antonio Pagano, "Giuseppe Garibaldi. Il responsabile della questione meridionale", Due Sicilie, Anno IX, n. 2, 2004, pago II).

Questa sembra essere la versione accettata dagli storici più liberi, sulla base delle memorie garibaldine e su una serie di precedenti comportamentali di Garibaldi e dei suoi soldati che erano abituati a fare i propri comodi con arroganza e violenza.

Ad avvalorare la tesi del delitto viene anche il fatto che nel 1842, quando Garibaldi per poter sposare in chiesa Anita dovrà dimostrare che il Duarte fosse effettivamente morto e non impegnato a fare guerra: giurerà di conoscere con esattezza il luogo dove il Duarte era sepolto. 
Come faceva a sapere che fosse morto di sicuro? 
Come poteva conoscere con precisione il luogo della sua sepoltura? 
(Cfr. Indro Montanelli e Marco Nozza, op.cit., pago 116). .

A sigillare il tutto ci pensò lo stesso Garibaldi. 

“Tanti anni dopo, quando Alexandre Dumas lesse questo passaggio, tuttora manoscritto e smozzicato, delle Memorie, fece rilevare a Garibaldi che non gli sembrava abbastanza chiaro e circostanziato. 
E Garibaldi rispose con un sospiro: 
"Bisogna che resti così ". 
Le cose infatti si erano svolte in maniera assai diversa"
 (Indro Montanelli e Marco Nozza, op.cit., pago 105).


Fonte: liberamente tratto da srs di Gilberto Oneto

mercoledì 28 gennaio 2009

Giuseppe Garibaldi eroe dei due mondi, forse, ma solo per l’Italia




Che Giuseppe  Garibaldi,  come eroe del nuovo mondo, fosse solo una leggenda Italiana, o  al massimo che  la sua magnificazione oltre oceano sia stata  costruita  quasi esclusivamente dalla numerosa colonia italiana che ne ha fatto un proprio eroe, lo si à potuto ben capire  allorquando il Sig. Luigi Scalfaro,  in veste ufficiale di Presidente degli  italiani, durante una visita ufficiale a Montevideo si avventurò in un panegirico su Garibaldi come eroe dei due mondi.

 La replica non si fece attendere,  prontamente Il giornale EI Pais di Montevideo scrisse il 27-7-95 a pag 6: 

“Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al il dott. Scalfaro che il suo compatriota non ha lottato per la libertà di queste nazioni come afferma.  Piuttosto il contrario."

  

Fonte: srs di Antonio Ciano/Giuseppe Oneto

Maggior Leggero, il garibaldino piu’ garibaldino di Garibaldi




Giovanni Battista Coliolo o Culiolo nacque a La Maddalena il 17 settembre 1813, da Silvestro e Rosa Finga, famiglia di origine corsa. 
A 11 anni si arruolò nella Marina Sarda e per la sue doti di agilità e sveltezza, gli fu dato il sopranome di "Leggero". Dopo 15 anni di servizio, ottenne il grado di marinaio di 1° classe. 
Il 3 marzo 1839, avendo la sua nave fatto scalo a Montevideo, disertò per raggiungere la Legione italiana a Montevideo. 

Era forte e coraggioso e conservava tutta la sua energia, nonostante avesse le dita delle mani mozzate in vari arrembaggi. 

La storiografia ufficiale sembra essersi dimenticata di quest’uomo che ha avuto invece un ruolo di primissimo piano nel salvataggio di Garibaldi e nella sua decisione di trasferirsi a Caprera. 
Non era un carattere facile: a Roma aveva ammazzato, con una cannonata, il capitano Ramorino per vendicare il suo amico Risso, che questi aveva ucciso in duello. 
Garibaldi gli aveva perdonato questa sanguinaria bravata, evidentemente in nome dei vecchi tempi.

Era rimasto a Roma, ricoverato per una ferita al piede, ma poi era scappato e aveva raggiunto, claudicante, Garibaldi a Cesenatico.
Dopo l'avventura romana, si ritrova Leggero, nel 1855, in Costa Rica, combattente per la libertà di quel popolo contro i "filibustieri yankees" di WilIiam Wa1ker. 

Qui in una terribile battaglia, è ferito al braccio destro ed è necessario amputarglielo; caduto prigioniero, è fuggito, ancora convalescente e, attraverso peripezie di ogni genere, è riuscito a mettersi in salvo e a trovare un lavoro come guardia di dogana a Punta Arenas.

Allo scoppio della seconda guerra contro Walker, ha ripreso il suo posto di ufficiale nell'esercito costaricano ed è tornato a combattere con tanto eroismo da meritarsi l’encomio dello stesso comandante nemico; viene di nuovo ferito e fatto prigioniero. 
Riacquistata la libertà, il maddalenino si è trasferito nella Repubblica del Salvador, arruolandosi in quell'esercito come istruttore. 
Alla fine del 1860 ricomparirà a Caprera per passare il resto dei suoi giorni accanto a Garibaldi.


Fonte: liberamente tratto da srs di Gilberto Oneto

Maestra Marina, la mia maestra Marina




Marina è la mia maestra di italiano, storia e musica.

Marina ha cinquantaquattro anni, la sua attività lavorativa è fare la maestra e adesso si trova a scuola ad insegnarmi tante cose.

La sua corporatura è robusta, il suo viso è ovale, la sua espressione è allegra. 

Gli occhi neri e il naso normale.

La sua bocca è giusta e i suoi capelli sono biondi.

Indossa dei pantaloni neri, una maglietta marrone, delle scarpe nere con un fiocchetto, un bracciale e gli orecchini d’oro.

Il suo atteggiamento è allegro, la sua voce è bella e il suo hobby è: pianoforte, camminare, suonare la chitarra e leggere.

Marina è gentile.

Lei è la mia maestra, ma io la sento come se fosse una mia parente.


Nora

Università: la maestria dei docenti

Pronunciata con una soave erre moscia, la docente spezza la sua lezione con un:
Scusate ragazzi, ma io adoro sentire parlare me stessa


Fonte: Università di Verona, scienza della formazione

UNIVERISTA' FUGA DAI BARONI

In un’intervista pubblicata sul quotidiano La Stampa, Paolo De Coppi, il ricercatore padovano che lavora allo studio sulle cellule staminali nel liquido amniotico, afferma che in Italia non avrebbe mai avuto la possibilità di portare avanti le sue ricerche. Per quali motivi? Per diverse ragioni.
In breve:
1) Da noi non si crede nei trentenni, anche se sono loro ad avere le idee migliori.
2) All’estero vi sono Università in cui si incontrano grandi scienziati a cui interessa scambiare davvero idee e fare vera ricerca, mentre in Italia questa è una logica difficile da trovare, poiché ognuno pensa e lavora soltanto per fare i propri interessi. E questo nel nostro paese accade in tutti i settori, dalla politica alla cultura, passando per la magistratura, la ricerca, l'università etc..., con il tipico paludismo baronale del Sistema Italia.
3) Infine, negli Stati Uniti si può investire anche negli studi più rischiosi. Proprio come capitò a lui quando nel 2000, il prof. Anthony Atala, autentico luminare della genetica dei tessuti, offrì a Paolo De Coppi piena fiducia e massimo appoggio per la sua ricerca, dicendogli letteralmente: “Caro Paolo, spendi pure tutti i soldi che vuoi!”
E a un certo punto Paolo ci ha pensato per davvero, e così ha preso il primo volo e se ne è andato.

Cultura e coltura





Come ribadiva spesso Don Alberto Benedetti di Shere' (Ceredo) di Sant’Anna d’Alfaedo, non vi e' sola la cultura, che si impara a scuola, all’universita', quella calata dall’alto, dalla toga accademico, la cultura cosidetta ufficiale; ma vie è soprattutto la coltura che viene dal basso, quella che deriva dal latino "colere - coltivare", coltivare il proprio cervello dandogli continuamente nuovi stimoli, farlo crescere con le proprie forze, dove la volonta'  e il concime principale.
Questo perchÈ la cultura non si apprende solo a scuola, ma Ë la coltura pratica, quella basata sull’esperienza, sul lavoro, sull’ascoltare, sul toccare, sull’annusare, sull’apprendere dai propri errori, la cultura data dalla vita stessa, una cultura che nessuna universita' ti puo' insegnare.